“Nei miei anni più giovani e
vulnerabili mio padre mi diede un consiglio che non ho mai smesso di
considerare. «Ogni volta che ti sentirai di criticare qualcuno», mi
disse, «ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i tuoi
stessi vantaggi».”
(Incipit del romanzo Il
Grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald)1
Un topo, fermo a un nasone2,
incomincia a scendere dei gradini di pietra. La macchina da presa su
di lui, che precede il suo movimento nel seguire il piccolo rivolo
d’acqua nato dalla fontanella. Con i suoi brevi e lesti passi
accompagna l’occhio dello spettatore da una Roma che ben conosce
verso un suo angolo buio e apparentemente nascosto. Allora flash
allucinati appaiono sullo schermo. Iniziano a delinearsi pian piano i
contorni di alcune lettere e, quasi fosse un’indicazione stradale,
il titolo del film chiarisce finalmente dove il piccolo roditore ci
ha condotti: Bassifondi.3
È significativo, in un’opera che
ritrae Roma come un vero e proprio inferno dantesco, che a fare da
Virgilio allo spettatore sia un topo, animale simbolo del marciume,
del degrado e della povertà. Perché la vera Roma, che non è di
certo l’idilliaco Paradiso che vivono i turisti, da sempre si
nasconde dietro l’intoccabile maschera di una tradizione millenaria
fatta di grandi storie e ineffabili bellezze.
L’artista romano Francesco Pividori,
noto ai più sul web con lo pseudonimo Trash Secco, ha cercato con le
sue opere di smascherare questo inganno, di demolire dall’interno
questa rappresentazione stereotipata di Roma come città dei sogni,
proponendone una diametralmente opposta, nella quale i riflettori
vengono puntati sulle brutture e le contraddizioni che la abitano.
Lo ha fatto con Nefasto: Er Mostro de Zona (2012)4,
un mockumentary “illegale” nel quale viene mostrata la squallida
vita delle borgate romane, tra abuso di sostanze e prostituzione; lo
ha fatto poi con i videoclip musicali di artisti come Ketama126,
all’interno dei quali tenta di abbattere il tabù della droga5;
lo fa ora con il suo debutto alla regia cinematografica Bassifondi
(2022) che, seppur presentato in anteprima nella sezione Freestyle
della Festa del Cinema di Roma6,
riscuotendo grande approvazione da parte di pubblico e critica, è
purtroppo rimasto oscurato da altri titoli nella successiva fase di
distribuzione nelle sale.
Da sinistra a destra: Gabriele Silli, Trash Secco e Romano Talevi |
I bassifondi che Trash Secco mostra e
racconta in questo suo film non hanno nulla a che fare con l’ormai
stereotipata periferia a cui la cinematografia (e televisione)
italiana, in una lunga tradizione che passa per il neorealismo e per
Pasolini, ci ha abituati. Qui si è nel cuore pulsante della città
ma in quella parte di essa estranea al continuo via vai di turisti e
lavoratori che riempie le vie del centro. Un cono d’ombra in cui
tutte quelle persone che si sono ritrovate a vivere in strada,
costretti o per scelta, hanno deciso di rifugiarsi. Un ritirarsi che
non significa però arrendersi, ma che corrisponde ad una forte presa
di coscienza: in una società in cui a regnare sono l’egoismo e
l’indifferenza, paradossalmente, non resta altro che isolarsi. Per
ricominciare da capo, per provare a creare un’alternativa più
giusta. Allora l’auto-isolamento non rimane a lungo un muto e
disperato pianto, ma si trasforma presto in un urlo collettivo verso
l’opprimente ingiustizia che regola il mondo.
L’ultimo film di Trash Secco si pone
così il difficile obiettivo di raccontare una realtà diversa che,
guidata da un sentimento comune di rifiuto nei confronti della
società, il grande (e piccolo) schermo ha rifiutato di mostrare per
troppo tempo.
“La prima idea di Bassifondi è nata
fra noi due (Francesco Pividori e il fratello ndr), una sera. Una
Peroni di troppo, giravamo tra i senza tetto di Ponte Sisto. Io avevo
15 anni e lui 20. Litigavamo, ubriachi, e lui disse: pensa se
facessero un film su due barboni. Così ho cominciato a scrivere la
storia, che mi sono portato dietro per tanti anni.”7
Nasce così, dal semplice desiderio di
raccontare il rapporto col fratello, l’idea embrionale di un film
dalla forte carica politica e sociale come Bassifondi, e non è un
caso che la sceneggiatura finale, che sviluppa il soggetto di Trash
Secco e Greta Scicchitano, sia firmata da due fratelli: Damiano e
Fabio D’Innocenzo (La terra dell’abbastanza, Favolacce, America
Latina).
Attraverso la loro penna Francesco
Pividori e suo fratello si re-incarnano nei corpi dei protagonisti
Romeo e Callisto (rispettivamente interpretati da Gabriele Silli e
Romano Talevi), due senzatetto che vivono sulle sponde del Tevere ai
piedi dell’isola Tiberina.
Come due “perfetti” fratelli (anche
se fratelli non sono) sono agli antipodi, sia nelle loro
conformazioni fisiche sia nei loro modi di fare. Romeo alto, snello e
piuttosto taciturno, Callisto basso, tozzo e che non smette mai di
parlare, spesso a sproposito. Callisto ormai non ha nulla da perdere
ed è spinto da un rancoroso odio nei confronti della società, Romeo
è invece desideroso di recuperare quel qualcosa (o quel qualcuno)
che la vita in strada gli ha portato fin troppo lontano.
Un po’ alla Paterson di Jim Jarmusch
il film mostra e rimostra le monotone giornate dei due clochard
costretti a risalire ogni mattina le scalinate che conducono alla
Roma “di sopra” e ad affrontare la massa indifferente di gente
che affolla le sue strade all’urlo di “spiccetto, spiccetto!”,
nella speranza di racimolare quel poco che basta per un misero
quadratino di pizza bianca o per una pasticca che concili il loro
sonno.
L’asciutta ed essenziale scrittura
dei fratelli D’Innocenzo riesce a costruire sapientemente, a
partire dalle parole e dai gesti quotidiani e ripetitivi di una vita
in convivenza, l’imperfetta sintonia che lega questi due senzatetto
talmente diversi tra loro che, messi assieme, non possono non
ricordare una classica coppia di comici alla Stanlio e Ollio o,
meglio, alla Franco e Ciccio.8
Eppure di comico nel film c’è ben
poco. Viene utilizzato, a partire dalla sceneggiatura, ogni possibile
strumento per impedire, il più a lungo possibile, l’immedesimazione
o almeno un certo avvicinamento emotivo e patetico con i personaggi.
Lo spettatore si ritrova a sentirsi quasi in colpa di provare una
certa ripugnanza nei confronti di Romeo e Callisto, ma è esattamente
ciò che Trash Secco ha voluto suscitare. Perché quell’istinto di
distogliere lo sguardo è, in fondo, il germoglio dell’indifferenza
e l’unico modo per contrastarla oggi sembra essere attraverso
l’arte: costringere lo spettatore a fare i conti col mondo in cui
vive, risvegliarlo dal torpore indotto dalle fantasmatiche illusioni
che lo circondano, sbattendogli in faccia tutto lo schifo in cui è
invischiato.
Così la scenografia e la regia
arrivano a dividere nettamente in due Roma, una divisione in cui,
come in Parasite di Bong Joon-Ho, le differenze a livello
architettonico-spaziale delle varie ambientazioni sono funzionali ad
evidenziare una profonda crepa sociale.
La fotografia illumina gli ambienti,
prevalentemente esterni, in cui si muovono i protagonisti di colori
smorti, spenti, acidi. Quasi come una scia tossica che, proveniente
dal degrado della Roma “di sotto”, segue costantemente i due
senzatetto, ovunque essi vadano.
A sua volta la scrittura è brutalmente
cruda e realistica, specie nei dialoghi. Callisto in particolare
utilizza un volgare vocabolario “di strada” impregnato di
omofobia e misoginia che, oltre a rappresentare un’assoluta novità
sul grande schermo, soprattutto oggi dove la libertà dell’artista
si ritrova ingabbiata all’interno dei paletti imposti dal
politicamente corretto e da una censura sempre più pressante,
finisce per distanziare ancor di più lo spettatore.
Addirittura gli zoom in avanti che
portano ai primissimi piani sul volto rigato dalle lacrime di Romeo,
in un procedimento speculare a quello che Kubrick in Barry Lyndon ha
utilizzato per rendere un certo effetto di straniamento, lasciano lo
spettatore assolutamente impassibile. Perché l’occhio di
quest’ultimo, pur seguendo per tutta la durata della pellicola solo
ed esclusivamente i due clochard, è quello alieno e giudicante del
passante.
Non c’è pathos, non c’è
drammaticità. C’è solo indifferenza.
In questo processo di straniamento
gioca un ruolo fondamentale anche il simbolismo filosofico e
religioso che permea tutto il film: frequentemente appaiono sullo
schermo icone religiose, animali, esplicite citazioni artistiche, ma
nulla viene spiegato, non c’è apparentemente alcun legame logico
tra le sequenze che ritraggono i momenti di vita di Romeo e Callisto
e tali simboli. Trash Secco non ha voluto imporre un messaggio né
tantomeno offrire una “giusta” chiave di lettura al suo film, ma
ha consegnato nelle mani degli spettatori tutti gli strumenti utili
per dare un senso alle immagini viste. Ora sta solo a loro trovare le
risposte alle proprie domande. Perché Bassifondi, pur essendo
narrativamente “classico” e lineare, sembra nascondere
costantemente qualcosa, una risposta (o una domanda) che continua a
sfuggire, ma che lascia dietro di sé il bisogno di essere inseguita.
Tutto ciò che il film ha
silenziosamente costruito, inquadratura dopo inquadratura, culmina
nel suo poetico finale onirico. Romeo si ammala gravemente ma
Callisto non può far nulla per salvare il compagno e, disperato per
un’amicizia o forse un amore ormai finito, si tuffa nelle
contaminate acque del Tevere, sangue di Roma sporco dei peccati di
chi la abita. Inizia a nuotare sempre più in profondità, sempre più
lontano dal mondo che conosce, verso un luogo nuovo. Arrivato sul
letto del fiume, al centro di un perfetto cerchio di luci al neon, si
ricongiunge con il suo caro amico. Callisto accoglie il corpo spento
del compagno tra le sue braccia, in un’identica posa della Pietà
di Michelangelo. Un pianto sommesso e soffocato, o forse
l’accettazione stoica del dolore? Un invito a rifugiarsi nel
ricordo e in sé stessi, o forse nella speranza che qualcosa lì
fuori possa finalmente cambiare?
Ancora una volta, lontana e
impassibile, la macchina da presa non dà risposte. I titoli di coda
scorrono inesorabili sullo schermo nero lasciando dietro di sé un
senso di vuoto, portato dalla consapevolezza che esistono un’infinità
di importanti domande che magari, accecati o distratti, non ci siamo
mai posti.
Ma trovare una risposta è
fortunatamente spesso più semplice di porsi la giusta domanda.
Bassifondi rappresenta un invito a
mettersi e a mettere in discussione, a ricercare quella giusta
distanza critica tra noi e il mondo, ad interrogarsi su ciò che ogni
giorno diamo per scontato. Per evadere dalla rassicurante cecità
della società. Per non rimanere più indifferenti.
⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯
NOTE
1 Traduzione
di Tommaso Pincio dall’edizione de Il Grande Gatsby, Scott F.
Fitzgerald, Minimum Fax, 2011.
2 Tipica
fontanella pubblica d’acqua potabile di Roma, diventata uno dei
simboli della città.
3 Bassifondi:
Gli invisibili del mondo di sotto secondo D'Innocenzo e Trash
Secco, Carola Proto, Cooming Soon, 15/6/2023.
4 La bieca censura di Youtube colpisce il film “Nefasto Er mostro de zona” di Trash Secco, L'Antikulturale, La Meteora, via Internet
Wayback Machine, 10/5/2018.
5 Per
approfondire l’argomento si consiglia la lettura dell’articolo
scritto da Francesco Pividori in risposta alle polemiche nate
attorno al suo video musicale Rehab diretto per Ketama126. Il rap italiano ha un problema di droga?, Giacomo Stefanini, Vice,
15/10/2019.
6 Bassifondi, due amici e la vita ai margini di Roma, Giorgio Gossetti, Ansa.it,
9/6/2023.
7 Nella terra di frontiera di Trash Secco: “I senzatetto dei Bassifondi? Sono nichilisti coraggiosi”, Ilaria Ravarino, The Hollywood
Reporter, 31/5/2023.
8 BASSIFONDI
| Intervista a Trash Secco e ai Fratelli D'Innocenzo, HotCorn, via
YouTube, 16/10/2022.
ARTICOLO DI
REVISIONE DI
COPERTINA DI
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