Negli ultimi tempi si sta assistendo a un importante ritorno della pellicola cinematografica, nonostante il suo essere decisamente meno pratica ed economica del digitale, complice forse quella fascinazione feticistica dell'oggetto “tangibile”, fisico e visibile agli occhi che da anni ha colpito irrimediabilmente anche chi sta scrivendo in questo momento.
Certo è che la pellicola stessa è in grado di donare al prodotto audiovisivo finito una sua precisa estetica più o meno riconoscibile, spesso in funzione del voler creare un “contesto metacinematografico” (ad esempio in senso temporale, come nel caso di Anderson col suo Licorice Pizza), definendo un layer in più in quanto mezzo di sensazioni visive, apportate dalla resa estetica tipica della pellicola cinematografica (una certa profondità di campo, la presenza di una vera grana fine, una specifica “morbidezza” dell'illuminazione).
Tuttavia, l'utilizzo del vero film per la produzione cinematografica, ovviamente dominante per la maggior parte della storia del Cinema, è stato soggetto ad ulteriori “variabili” visive. Nell'era pre-digitale, dal punto di vista del “metodo” di ripresa, come ci si poteva distaccare dalla pellicola se questa rappresentava il modello pressoché unico (nastro magnetico a parte) per la ripresa cinematografica?
La risposta ricade sui formati della pellicola stessa. Il modello principalmente utilizzato è stato (ed è) il formato in 35mm a 4 perforazioni, considerato sin dagli albori della settima arte il modello standard in fase di proiezione; un formato che, tuttavia, non rappresenta un unicum nel campo del film inteso come oggetto materiale.
La presenza dei cosiddetti “formati ridotti” è stata sicuramente fondamentale nel portare il cinema (o comunque le immagini in movimento), fuori dal meccanismo “ufficiale” delle case di produzione, portando alla nascita vera e propria della produzione video amatoriale. Per formati ridotti, come è intuibile, si intendono tutti quei formati che, per necessità pratiche ed economiche, risultano essere di dimensioni ridotte rispetto al classico 35mm (dove la definizione del formato rappresenta proprio la sua misura in larghezza). I più conosciuti ed utilizzati sono senza dubbio il Super 8 e il 16mm. Sebbene questi due formati (in particolar modo il primo) venissero utilizzati principalmente per la produzione di filmati amatoriali (i cosiddetti “film di famiglia”), appartenenti quindi ad una dimensione molto diversa del film di finzione, diversi sono i casi in cui tali formati sono stati utilizzati anche per la produzione di corti, medi e lungometraggi (questi ultimi ben più rari nello specifico caso del Super 8).
Riallacciandosi al discorso precedentemente affrontato dell'ulteriore layer tematico che l'utilizzo della pellicola cinematografica comporta, possiamo introdurne ancora un altro nel momento in cui parliamo dei formati ridotti, definendo quello che, in fin dei conti, è un vero e proprio “effetto matrioska”. L'utilizzo dei formati ridotti può essere figlio di una ricerca estetica specifica (vedasi il caso della sequenza “onirica” in Easy Rider, girata in 16mm); essendo il fotogramma stampato su una superficie minore, l'immagine risulta essere di qualità inferiore rispetto al 35mm, un aspetto che può essere particolarmente favorevole quando si parla di horror.
Molto spesso, quando un film è girato interamente in passo ridotto, ci troviamo di fronte principalmente a necessità produttive, visto il costo sicuramente minore delle pellicole sub-standard. L'aspetto interessante è che, pur essendo utilizzate per motivazioni puramente economiche, l'utilizzo di un Super 8 o di un 16mm è in grado di “vestire” il film di un'aura particolarmente suscettibile, che spesso si sposa alla perfezione con le tematiche affrontate in determinate pellicole orrorifiche.
Il caso più eclatante è sicuramente quello di Non aprite quella porta, capolavoro di Tobe Hooper interamente girato in 16mm, e che, forse più di tutti, fa di questa necessità una virtù. Il film, come è noto, fa delle atmosfere della messa in scena il suo principale punto di forza, proprio sotto l'ottica del “trasmettere terrore”. Vien da sé che l'utilizzo di un formato ridotto, meno definito, non può fare altro che esaltare tutto lo “sporco” che Hooper vuole mettere in scena, per certi versi allineandolo (pur sempre inconsciamente) con un mockumentary alla Cannibal Holocaust, facendo forza sull'elemento realistico, avvicinando ulteriormente il film agli spettatori e, di conseguenza, aumentandone, indubbiamente, il senso di paura e la sua atmosfera grottesca. Paradossalmente, una qualità minore dell'immagine su schermo porta lo spettatore ad immedesimarsi in maniera maggiore, aspetto che in un film come Non aprite quella porta, che fa proprio del “se fossi io in quella situazione” uno dei suoi punti forza principali, non fa altro che elevare il film al suo essere innegabilmente un capolavoro della storia del cinema.
Scendendo indubbiamente più in basso, sia come qualità stessa del film, che come dimensioni del formato della pellicola, similare è il caso di Nekromantik di Buttgereit. Parliamo in questo caso di un film indipendente, girato con quasi nessun budget e quindi, per esigenze produttive, in Super 8mm. Non è un caso che il film, come quello di Hooper, affronti tematiche particolarmente scabrose, e di conseguenza non è un caso che l'utilizzo di un formato sub-standard, rappresenti uno dei punti di forza maggiori dell'opera grottesca di Buttgereit.
In un caso specifico, il Super 8 è stato anche utilizzato come elemento horror diegetico, un macguffin inquietante in grado di far funzionare il motore orrorifico di Sinister di Scott Derrickson. Nel film lo scrittore Ellison Oswalt (interpretato da Ethan Hawke) si trasferisce nell'abitazione dove poco tempo prima venne commessa la strage di un'intera famiglia, con l'obiettivo di poter scrivere un libro proprio su questa vicenda. Nella soffitta della casa, lo scrittore trova una scatola contenente diverse bobine in Super 8, che si scoprirà contenere le riprese di efferati omicidi.
Non è quindi un caso che i momenti horror più convincenti del film di Derrickson siano proprio quelli in cui il nostro protagonista visiona i Super 8 rinvenuti (realmente girati su pellicola), in modo da poter garantire un certo realismo e, diegeticamente, incentivare la paura (come nella sequenza del taglia-erba, forse quella che tutti ricordano più nitidamente). In questo caso l'utilizzo del film in passo ridotto risulta essere un espediente figlio della fascinazione per quello che possiamo definire “il mistero dell'amatorialità”, aspetto che tutti noi abbiamo provato almeno una volta: tutti quei momenti in cui abbiamo fantasticato sul contenuto di determinati filmati amatoriali, magari abbandonati, siano essi stati girati su pellicola o su nastro magnetico (VHS), immaginando diverse volte di poter davvero assistere a contenuti macabri ed inquietanti (come, d'altronde, ci ha insegnato il maestro David Cronenberg col suo Videodrome), o anche solo sorprendenti e da lungo dimenticati. Tutto questo è parte del fascino del film.
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