24 Novembre 2014. Il team di hacker nord-coreano conosciuto con il nome di Lazarus Group accede ai database della Sony Pictures Entertainment e rende pubblici dati estremamente sensibili appartenenti allo studio. L’attacco informatico è di portata spaventosa: vengono pubblicate informazioni riguardanti i dipendenti dell’azienda e le rispettive famiglie, postati interi film non ancora rilasciati o in fase di lavorazione, e-mail private dei vertici della Sony. Tra queste alcune, scambiate tra la co-chairman Amy Beth Pascal e l’allora presidente Doug Belgrad, riguardavano il progetto di un film animato su Spider-Man che, pensato inizialmente con il semplice obiettivo di “ringiovanire” il franchise, avrebbe segnato un importante punto di svolta nella storia dell’animazione contemporanea.
Le prime informazioni che saltano fuori dalle e-mail sul film sono i due nomi di
Phil Lord e
Christopher Miller (coppia di filmmaker e sceneggiatori che in quello stesso ha realizzato
The Lego Movie) e, assieme a loro, una data: gennaio 2015, lo “
Spidey-Summit", un meeting al quale i vertici di Marvel e Sony avrebbero preso parte per discutere sul futuro cinematografico dell’iconico supereroe. Doug Belgrad a riguardo scrisse alla Pascal (nell’ennesima e-mail resa pubblica in seguito all’attacco informatico) delle buone possibilità di riuscire ad ottenere un contratto con la Marvel estremamente favorevole che avrebbe garantito alla Sony totale libertà creativa e produttiva nel progetto, nonché il ruolo di distributrice.
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Design originali dei protagonisti ad opera di Alberto Mielgo (primo art director del progetto) |
Il film verrà ufficialmente annunciato dal chairman della Sony Tom Rothman, a poca distanza dall’attacco informatico e dallo Spidey-Summit, al CinemaCon dell’Aprile 2015 a Las Vegas con il titolo di
Spider-Man: Into the Spider-Verse e accompagnato da una data d’uscita: 20 luglio 2018 (in seguito posticipata al 14 dicembre dello stesso anno). Poche ma importanti le informazioni rivelate sul film in quell’occasione: è stata confermata la partecipazione al progetto di Lord e Miller, i quali avrebbero avuto sia il ruolo di produttori che di sceneggiatori, almeno in una prima fase di scrittura, ed è stato specificato che la pellicola sarebbe stata indipendente dalle altre trasposizioni cinematografiche di Spider-Man, precedenti e successive, e in particolare dalla macrotrama del
Marvel Cinematic Universe.
Nei mesi successivi al CinemaCon del 2015 i nomi di numerosi altri collaboratori sono stati annunciati e in particolare quelli dei registi
Bob Persichetti,
Peter Ramsey e
Rodney Rothman che, affiancati da un’enorme crew di animatori composta da oltre 140 artisti fissi (arrivando a toccare i 177, la più grande mai usata dalla
Sony Pictures Imageworks) avrebbero dato vita al film che Lord e Miller sognavano da tempo. I due filmmaker, infatti, erano in contatto con la Pascal già dall’estate del 2014 per la produzione di un film animato su Spider-Man. I due avrebbero avanzato le condizioni di trasporre sul grande schermo la storyline di Dan Slott “Spider-Verse” (2014) e di avere come protagonista Miles Morales, ma fu loro imposto di utilizzare uno stile di animazione che richiamasse quello convenzionale della Pixar, ragione per cui Lord (con un “It’s too hard to do great work there”) ha ben deciso di abbandonare il progetto allontanando di conseguenza anche il suo collaboratore Miller.
Ma qualcosa era evidentemente cambiato all’interno del reparto creativo della Sony nei mesi subito successivi perché Lord e Miller hanno risposto a un’ultima chiamata della Pascal aderendo finalmente al progetto. I due, spinti dall’irrefrenabile desiderio di sperimentazione e novità, non avrebbero mai accettato alcun tipo di limitazione a livello creativo nella realizzazione di un loro progetto. Ebbene, la Sony era pronta ad ascoltarli e correre il rischio di produrre un film che sarebbe uscito, in tutte le sue declinazioni possibili, fuori da ogni canone. L’interesse primario, per Lord e Miller, era quello di dar vita ad un film che avesse uno stile unico e innovativo, che combinasse in modo originale la computer animation e quella tradizionale dei fumetti, qui fortemente influenzata dai lavori della fumettista italiana e co-creatrice di Miles Morales Sara Pichelli. Un cinecomic autentico quindi, che nasce dall’incontro-scontro del fumetto con il cinema e, in particolare, con l’animazione. Difatti, Into the Spider-Verse, è ispirato, proprio come volevano dal principio Lord e Miller, all’arco narrativo “Spider-Verse” (2014-2015) della saga Amazing Spider-Man (nel quale compaiono pressappoco tutte le varianti di Spider-Man fino ad allora conosciute) con influenze derivanti anche da altre storie quali “The death of Spider-Man” e i cinque numeri della mini-serie “Spider-Men”, nella quale debuttò il personaggio di Miles Morales.
Spider-Man: Into the Spider-Verse è finito così per portare con sé novità dalla portata rivoluzionaria. È la prima volta che un film d’animazione, non indipendente e ad alto budget come questo, riesce a dimostrare una tale consapevolezza delle opportunità che il disegno animato può offrire facendole convergere tutte in modo estremamente organico e creativo nella produzione di un qualcosa mai visto prima d’ora. Non si tratta però solamente dello stile d’animazione utilizzato (fortunatamente la Sony ha ceduto di fronte alle richieste di Lord e Miller abbandonando l’idea di emulare l’estetica Pixar) ma anche dell’inconsueta scelta di portare sul grande schermo uno Spider-Man che non sia il solito Peter Parker. Miles Morales (doppiato dall’attore americano Shameik Alti Moore), un classico adolescente di Brooklyn prossimo al college, figlio di un padre afro-americano e di una madre portoricana, è il protagonista del film. Ma Miles è tanto Spider-Man quanto lo è il Peter Parker a cui gli spettatori (e i lettori) sono abituati. Una novità che fortunatamente ha visto una felice risposta da parte sia del pubblico che della critica, evidenziata dal successo al botteghino con i suoi oltre $380 milioni di incassi a livello mondiale (a fronte dei “soli” $90 milioni di budget) e culminata nella vittoria di un Oscar come miglior film d’animazione e di numerosi altri premi.
La storia doveva originariamente essere una commedia romantica che vedeva come protagonisti Miles Morales e Spider-Gwen ma, a seguito delle diverse riscritture della sceneggiatura, questa scelta narrativa è stata eliminata, o per lo meno lasciata semi-celata, a favore di una narrazione che vedesse Miles Morales (seppur costantemente affiancato da numerosi altri Spider-Man provenienti da dimensioni parallele) come indiscusso protagonista e la sua crescita personale, non solo in quanto supereroe ma soprattutto come
persona. Il film è difatti una vera e propria storia
coming-of-age: Miles è un ragazzino come tanti ad inizio pellicola ma le conseguenze del morso di un ragno radioattivo lo porteranno a maturare. Si ritroverà catapultato in un mondo, o meglio un universo, dove le scelte e le responsabilità che ne derivano hanno un enorme peso che dovrà in qualche modo esser pronto a portare con sé.
Il peso però è troppo grande, tanto che pare lo stia per schiacciare ed è qui che altri Spider-Man vengono in suo soccorso. Miles non è più solo, non è più il classico uomo ragno solitario a cui i fan dei film sono abituati, quello che riesce sempre a scamparla e a vincere il cattivo senza l’aiuto di nessuno. No, Miles ha bisogno innanzitutto di un mentore, il veterano Peter B. Parker (Jake Johnson) a insegnargli il “mestiere” di supereroe. Il ragazzo si rende conto dell’importanza di conoscere sé stesso per trovare la propria strada e allora Spider-Gwen (Hailee Steinfeld) si intrufola pian piano nella sua vita; infine realizza di non riuscire a sconfiggere da solo Kingpin (Liev Schreiber) e i suoi aiutanti (fra i quali c’è anche lo zio dello stesso Miles, Aaron Davis, doppiato dall’attore Mahershala Ali, nei panni del temibile Prowler). Un’intera “spider-squad”, composta da altre inconsuete versioni del supereroe, è lì pronta ad aiutarlo.
Tutte queste “varianti” provengono da altrettante dimensioni alternative a quella di Miles ma proprio in questo mondo finiscono per ritrovarsi. È stata la minaccia di Kingpin ad averli chiamati lì, in maniera consapevole o meno. Il gargantuesco villain di Spider-Man, che visivamente si presenta come una “testa fluttuante” che galleggia in un immenso spazio nero (che altro non è che la sua stessa enorme giacca), ha fatto costruire dalla dottoressa Octavius (che si scoprirà presto essere la dottoressa Octopus) un potente acceleratore di particelle in grado di far viaggiare tra gli universi. Kingpin vuole utilizzarlo per riportare indietro sua moglie e suo figlio, o almeno delle loro versioni alternative, e non si preoccupa minimamente delle conseguenze catastrofiche che un’azione simile può comportare.
È interessante notare che, riguardo il multiverso e le sue regole, poco viene detto allo spettatore. Non sono stati inseriti inutili spiegoni di alcun tipo sull’argomento, i personaggi non sono veramente sorpresi di trovarsi in una dimensione parallela e, così come
zia May rimarrà impassibile nel ritrovarsi davanti a più Spider-Man, lo spettatore è chiamato a dare per scontate alcune dinamiche. Non si sa, ad esempio, cosa possa succedere esattamente se Kingpin usasse l’acceleratore, ma sicuramente nulla di buono, motivo per cui Miles dovrà fermarlo. La scelta di non spiegare le regole del mondo di fronte al quale lo spettatore si ritrova è stata sapientemente gestita: da una parte richiama alla memoria dello spettatore tutta una serie di narrazioni, a partire da quella dell’intricatissimo Marvel Cinematic Universe, sviluppatesi attorno a questo tema, dall’altra offre la possibilità di plasmare dietro ad esso teorie nuove e personali, lasciando ampio spazio alla pura immaginazione.
Così ora anche Spider-Man Noir (Nicolas Cage), Peni Parker (Kimiko Glenn) e Spider-Ham (John Mulaney) sono con Miles nella sua avventura e coesistono tutti assieme, ognuno con la propria personalità, la propria visione del mondo e… il proprio stile di animazione.
Forse è proprio questo il tratto più innovativo e rivoluzionario del film, il riuscire ad amalgamare assieme stili d’animazione differenti, anche all’interno delle stesse sequenze. Così il cartoonesco Peter Porker tira fuori un enorme martello (che ricorda quelli usati da Tom per schiacciare invano Jerry) di fronte al bianco e nero Spider-Man Noir e a Peni Parker che porta con sé un’estetica tutta nipponica, fortemente ispirata agli anime (e manga) giapponesi, che però riesce a sposarsi perfettamente con quella invece più tipicamente occidentale che caratterizza il mondo di Miles. Questa fortunata miscela di stili differenti, a sua volta, finisce per incontrare una colonna sonora altrettanto variegata e innovativa che in modo organico va a definire e rafforzare la potenza delle immagini.
Il compositore del film è l’inglese Daniel Pemberton che aderì al progetto nonostante fosse inizialmente scettico sulle opportunità che un film di supereroi animato ad alto budget potesse offrire alla sua sperimentazione artistica. Fortunatamente le sue preoccupazioni si rivelarono infondate e gli fu offerta, dalla Sony, la possibilità di operare in modo totalmente libero e creativo. Pemberton ha iniziato così a comporre la score del film partendo dalla fondamentale domanda di cosa un ragazzino di Brooklyn dei giorni d’oggi come Miles Morales avrebbe ascoltato. Così le più consuete sezioni sinfoniche ed orchestrali si trasformano pian piano in beat hip hop e trap che vanno a caratterizzare le sequenze d’azione più movimentate. Pemberton, nella composizione dei theme dei vari personaggi del film, ha poi utilizzato un proprio e personale metodo basato sulla semplificazione e la sintesi puntando sull’immediatezza e la riconoscibilità. Kingpin è, ad esempio, accompagnato da un tema musicale nato dal semplice suono del clic di una penna.
La score composta da Pemberton è poirafforzata dalla presenza di una colonna sonora alla cui creazione hanno partecipato numerosi artisti internazionali tra cui
Post Malone e
Swae Lee (che insieme hanno realizzato il singolo, nonché
main song della
soundtrack, “
Sunflower” divenuto in breve tempo un successo mondiale),
Jaden Smith,
Nicki Minaj,
Ski Mask the Slump God,
Juice WRLD e
XXXTENTACION. I brani, anch’essi assai eterogenei come i vari stili d’animazione utilizzati nella pellicola, non solo si sposano perfettamente con le scene nelle quali sono inseriti ma vanno spesso ad accompagnare organicamente e in modo diegetico l’intero film. Anche in questo caso i vari artisti sono partiti dallo stesso quesito che precedentemente si era posto Pemberton: cosa può piacere musicalmente ad un ragazzo come Miles Morales? I brani finiscono così per richiamare le più disparate sonorità passando dal puro hip hop, tipico di una certa cultura suburbana newyorkese, a sound più reggae, che evidenziano invece le origini sudamericane di Miles. La soundtrack e la score sono sempre più interconnesse e dipendenti tra loro arrivando a sovrapporsi e intrecciarsi costantemente. Un esempio fra tanti la canzone “
What’s Up Danger”, prodotta da Blackway e Black Caviar, che finisce pian piano per trasformarsi senza soluzione di continuità in un brano della score di Pemberton.
Spider-Man: Into the Spider-Verse finisce così per diventare un vero e proprio emblema della sperimentazione artistica nell’animazione (e non solo) portando con sé una nuova consapevolezza delle opportunità offerte da questo medium e offrendo ai suoi successori (primi fra tutti i suoi diretti sequel Across the Spider-Verse e Beyond the Spider-verse) una formula, o per lo meno un modus operandi, per utilizzarle al meglio, facendole convergere in un’opera organica e completa che, facendo forza sulla ragnatela degli elementi che la costituiscono, racconta in fondo una semplice storia, quella di un adolescente come tanti avviato ad un personale percorso di maturazione.
Into the Spider-Verse porta necessariamente con sé importanti riflessioni: chiunque è, e può essere, Spider-Man, non si ha bisogno di superpoteri, di una maschera o di un costume per esserlo, queste sono solamente rappresentazioni visive delle responsabilità che gravano sopra ogni essere umano e riuscire a sorreggere il loro peso è difficile a volte se si è da soli. La storia di Miles è un invito a farsi forza nella vita e ad affrontarla di petto, a esser pronti a chiedere aiuto senza vergognarsi quando si è in difficoltà, a trovare la propria strada e la propria visione del mondo, a cadere per poi rialzarsi, a sbagliare e ad aggiustare il tiro, ad amare e a perdonare.
Ognuno è Miles Morales. Ognuno può essere Spider-Man.
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