"La scatola di Lemarchand era aperta; l'ultimo meccanismo era scattato. Non c'era più tempo per tergiversare o pentirsi. E poi, non aveva scelto di rischiare sia la vita che la sanità mentale per rendere possibile quella scoperta? La porta si stava aprendo, proprio in quel momento, a piaceri della cui esistenza erano venuti a conoscenza non più di una manciata di esseri umani, e meno ancora li avevano provati; piaceri che avrebbero ridefinito i parametri delle sensazioni, e che l'avrebbero liberato dallo stolido circolo del desiderio, della seduzione e della delusione che lo aveva incatenato dalla tarda adolescenza. Sarebbe stato trasformato da quella conoscenza, giusto? Nessuno avrebbe potuto provare la profondità di una tale sensazione e restare lo stesso."
(Clive Barker, The Hellbound Heart, pp. 11)
Introduzione
Hellraiser
Da outsider a cult
di Carlo Gnutti
Immaginate di tornare indietro nel tempo (o lavorate di fantasia se, come me, non appartenete alla generazione X) al 1987: il magico trio Morandi-Ruggeri-Tozzi vince Sanremo con Si può dare di più, in radio risuonano le note di Never gonna give you up, Maradona incanta una città intera con la sua classe sopraffina e la famiglia Simpson viene introdotta per la prima volta nelle case degli Americani grazie al Tracey Ullman Show. Immaginate quindi di dirigervi al vostro cinema di fiducia, magari con degli amici, per vedere un film horror. Tra tutte le opzioni possibili avete scelto proprio quell'horror in particolare, forse attratti dal poster in cui un essere mostruoso, pallido come un cadavere e con decine di spilli in testa, vi porge minacciosamente ciò che sembra un pacchettino regalo.
Entrate in sala pronti per assistere ad un film di serie b senza troppe pretese, sulla falsariga di uno Street Trash o un Le colline hanno gli occhi 2 qualsiasi. A maggior ragione se prodotto con un budget inferiore al milione di dollari; a maggior ragione se si considera che è la pellicola di esordio di un trentacinquenne, Clive Barker, che non è neanche un regista di professione, bensì uno scrittore.
Una volta iniziato lo spettacolo, però, vi rendete conto di star assistendo a qualcosa di diverso, inaspettato, oserei dire rivoluzionario: un film su una casa infestata da uno spirito maligno (Frank, l'amante edonista e sadico di Julia, matrigna della protagonista Kristy) in cui però questa presenza si manifesta in maniera molto più corporea e tangibile rispetto a quanto si sia mai tentato prima (Robert Wise con Gli invasati) o dopo (pensiamo a tutta l’ondata J-horror). La sequenza in cui una goccia di sangue, attecchendo tra le assi di legno del pavimento, causa la resurrezione dello spirito di Frank, oltre che essere sbalorditiva dal punto di vista degli effetti visivi, è la perfetta rappresentazione di tale concretezza.
Si ritrova la stessa concretezza nel modo in cui viene caratterizzato l’inferno, una prigione di catene e spuntoni in cui la condanna è una perpetua sofferenza corporale, contrappasso del piacere che Julia ricerca nella sua vita e che il marito Larry, fratello di Frank, non riesce a darle.
La vera malvagità infatti (e questo è un elemento che eleva ulteriormente il film) non alberga all’inferno, o in coloro che lo custodiscono, bensì nelle nefandezze di cui Julia si rende colpevole pur di aiutare il suo innamorato e potersi abbandonare con lui ai piaceri della carne.
Ci sarebbero molti altri aspetti da analizzare, quali la tematica LGBTQ+ e l’utilizzo della simbologia pseudo cristiana, ma verranno affrontati con dovizia di particolari nelle sezioni a seguire, vi ho già rubato troppo tempo.
Vi auguro perciò una buona lettura.
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CENOBITES (1/4): Pinhead, the Hell Priest, illustrazione originale di Lorenzo Serrentino |
Capitolo I
Il romanzo:
The Hellbound Heart
di Nicholas Gironelli
È il novembre del 1986 quando la Dark Harvest, una piccola casa editrice statunitense, decide di pubblicare il terzo volume della propria collana antologica horror Night Visions, composto per la maggior parte dai racconti di Ramsey Campbell e Lisa Tuttle, ad eccezione di un romanzo breve che lo conclude, scritto dall’inglese Clive Barker.
L’opera prende il titolo di The Hellbound Heart (nella traduzione italiana Schiavi dell’inferno), un racconto lungo che rappresenterà il primo tassello di un prolifico franchise di culto che inizierà a prendere forma già dall’anno successivo, nel 1987, con l’uscita nelle sale di Hellraiser, una fedele trasposizione cinematografica diretta e sceneggiata dallo stesso Clive Barker.
In un’intervista, che ricostruisce la storia produttiva del film, lo scrittore racconta come è nata l’idea alla base del romanzo. Negli anni '70 Barker, a causa delle difficoltà economiche, lavorava nel mondo della prostituzione: la realtà che ha così imparato a conoscere, con le persone che la vivevano, sarebbe poi diventata una fondamentale e inesauribile fonte di ispirazione per la sua produzione artistica. Quell’esperienza lo ha portato infatti a voler raccontare una storia “sul bene e sul male nella quale la sessualità fosse il tessuto connettivo”.
Da qui il sesso e la violenza sempre indissolubilmente legati nelle pagine di Barker.
Da qui, The Hellbound Heart.
Barker non poteva neanche immaginare tale successo. Il racconto che ha ispirato Hellraiser, come lui stesso ha affermato, è stato scritto “[...] con la specifica intenzione di filmarlo” e ha rappresentato per l'artista l'opportunità di verificare se ciò che stava mettendo su carta fosse proponibile anche sul grande schermo.
Ciò ha portato Barker a prestare grande attenzione all’aspetto visivo della narrazione, al quale ha lavorato costantemente e scrupolosamente. A dimostrarlo è anche lo stile di scrittura estremamente cinematografico, nel suo essere così incisivo e immediato, adottato dall’autore. Barker affermerà poi che lavorare allo script di Hellraiser non ha richiesto un grande investimento di tempo e di energie.
Ne deriva che le differenze tra libro e film siano poche, spesso irrilevanti. Necessitano di essere menzionati un paio di fondamentali segmenti narrativi presenti nel testo, ma omessi dal film, che permettono di ri-vivere la stessa storia da una prospettiva differente.
Su pellicola è stato ad esempio deciso di non inserire la sequenza iniziale dell’overdose sensoriale che i ''Cenobiti'' fanno vivere a Frank. Le allucinazioni qui sperimentate dall’uomo vengono descritte con tale potenza visiva da poter essere immediatamente visualizzate con crudele chiarezza. Le prime pagine non sono altro che una sorta di descrizione sadica, tanto per Frank quanto per il lettore, di cosa sia il piacere per i ''Supplizianti''. In questo sta l’errore fatale commesso dall’uomo, il nucleo della filosofia che permea le pagine del libro: pensare che la sua definizione di piacere, umana e di per sé limitata, potesse coincidere con quella di creature demoniache (o angeliche) come i Cenobiti. Dunque al termine di uno straziante climax fatto di interminabili e orrende visioni che si susseguono l’un l’altra, nelle quali piacere e sofferenza si interscambiano costantemente, l’uomo finisce per eiaculare sul pavimento della stanza lasciando così al mondo, inconsapevolmente, un ultimo e triste ricordo della sua esistenza. Una traccia che però, seccatasi tra le assi del pavimento, permetterà a Frank di reincarnarsi quando il sangue di suo fratello Rory (Larry nel film) vi cadrà sopra.
C’è poi un capitolo centrale nel libro, narrato interamente dal punto di vista di Frank, una sorta di finestra sul mondo altro abitato dai Cenobiti. Una finestra dal vetro opaco attraverso cui si riesce ad intravedere qualcosa che però non può esser messo a fuoco, dal momento che la mente umana non riuscirebbe neanche ad immaginare un mondo simile. Lo scrittore decide infatti qui, e in altri momenti come quello dell’arrivo dell’Ingegnere, di adottare lo stratagemma narrativo che H.P. Lovecraft utilizzava ogni qual volta si ritrovava a descrivere l’incomprensibile, descriverlo senza descriverlo.
Due sono però le importanti modifiche apportate dal film. La prima riguarda la tipologia di rapporto che lega Kirsty a Rory: nella pellicola i due sono padre e figlia ma, originariamente, erano colleghi di lavoro e Kirsty infatuata di Rory. È proprio su questo amore impossibile che Barker edifica l’intera storia di The Hellbound Heart dove il tema dell’eros acquisisce un’importanza quanto mai centrale, e finisce per diventare il motore dell'intera vicenda.
La seconda riguarda invece lo stravolgimento che in Hellraiser è stato fatto del personaggio di Kirsty. Nel libro la giovane ragazza è una completa perdente ed era proprio ciò che a Barker piaceva di lei ma, in una trasposizione cinematografica, la protagonista avrebbe necessariamente dovuto presentare un’indole diversa. Così nel film si ritrova più volte a combattere con Frank o con i Cenobiti stessi, ma questa nel libro sarebbe stata probabilmente per lei l’ultima opzione.
Lo stile adottato da Barker, modulato come detto su modello di uno scritto cinematografico, risulta asciutto, semplice e rapido. Sono essenziali i dialoghi affidati ai vari personaggi, una scelta che permette di esplorare al meglio la loro dimensione psicologica, tra gesti e pensieri. Vivide e visivamente immediate invece le descrizioni, in particolar modo quelle dedicate ai Cenobiti e alle varie fasi della reincarnazione di Frank. Uno stile, quindi, che contribuisce a rendere da una parte la lettura scorrevole e dall’altra avvincente una storia narrata senza alcun tipo di suspense. Ogni capitolo è un invito costante a proseguire, pagina dopo pagina. Finché la scatola non avrà suonato l’ultima nota della sua melodia aliena. Finché l’occhio non si sarà posato
sull’ultima parola.
Le due opere arrivano così a essere le versioni parallele di una storia di cui sì condividono l’idea estetica iniziale e lo scheletro narrativo, ma che in realtà nascondono profonde differenze se messe a paragone. Sono due percorsi che, pur seguendo lo stesso tragitto, arrivano a destinazioni differenti. E forse, per avere una visione completa dell’universo immaginato da Barker, è necessario percorrerli entrambi.
Capitolo II
Creando l'Inferno
Produzione e Pre-Produzione
di Lorenzo Spagnoli
Nei primi anni ‘80 Barker lavorava principalmente in teatro con la sua compagnia d’avanguardia di Liverpool ''The Dog Company'', che si portava dietro dai tempi del liceo ed era specializzata in spettacoli in cui si potevano già riscontrare gli elementi erotici e grotteschi che andranno a caratterizzare la sua poetica. Nonostante il discreto successo principalmente locale della compagnia, la maggior parte dei guadagni venivano spesi nel cercare di soddisfare il regista e realizzare i visionari effetti scenici che aveva in mente. Tra il 1984 e il 1985 vennero pubblicate due raccolte di racconti brevi di Barker, ''The Books of Blood'', le quali riscontrarono il favore dei lettori tanto che la prima edizione statunitense riportava la seguente citazione di Stephen King: «Ho visto il futuro dell’horror, il suo nome è Clive Barker». Contemporaneamente Barker muoveva già i primi passi nella settima arte dirigendo i cortometraggi amatoriali e totalmente sperimentali ''Salomé'' e ''The Forbidden'', più che altro per diletto personale. Quando i suoi primi libri divennero un fenomeno editoriale, il ''Liverpudlian'' abbandonò la carriera teatrale per concentrarsi sulla scrittura, pur mantenendo viva una forte fascinazione per il cinema. Infatti quando Hollywood si presentò per realizzare le trasposizioni di alcuni racconti da ''The Books of Blood'', l’autore rispose presente e si dedicò a scrivere le sceneggiature di ''Underworld'' (1985) e ''Rawhead Rex'' (1986). Il risultato fu piuttosto infelice, Barker trovò compiute ben poche delle sue idee in film di scarsa qualità. Nello stesso periodo però aveva fatto la conoscenza del produttore di Buckinghamshire Christopher Figg, e i due pensarono di cominciare a lavorare insieme. A detta di Figg le storie precedentemente raccolte non erano adatte alla trasposizione su piccola scala che si era prefigurato, e invitò lo scrittore a proporgli qualcosa di nuovo. |
Oliver Smith e Clive Barker sul set del film |
Secondo molti di coloro che hanno lavorato a ''Hellraiser'', l’intenzione principale di Figg/Barker era quella di rendere giustizia all’horror britannico, che era fermo dai tempi della Hammer Films [leggendaria casa di produzione cinematografica inglese che divenne famosa per i remake dei classici horror Universal che propose tra la fine degli ‘anni 50 e i primi ‘70 e che lanciò le carriere di Christopher Lee, Peter Cushing, Donald Sutherland e molti altri], decaduta con l’ascesa dei film dell’orrore americani del periodo Nuova Hollywood. Probabilmente quelle pellicole suscitarono un’influenza profonda su Barker, perché furono tra i primi a cercare di rappresentare nel genere l’eros e il thanatos; lo scrittore se ne potrà in qualche modo considerare tanto il successore spirituale quanto il superamento. Barker, intenzionato a dirigere l’adattamento cinematografico di un suo racconto e disposto a ‘’vendere l’anima al diavolo’’ pur di farlo, scrisse la novella ''The Hellbound Heart''. A Figg sembrò interessante, e a quel punto dovette trovare i soldi necessari a tirare su il progetto. Entrò in contatto con la Virgin Films, che nel 1983 aveva annunciato di essere intenzionata a investire 14 milioni di sterline in una serie di film britannici; incuriosita dalla popolarità di Barker, la casa si dimostrò interessata a ''Hellbound Heart'' e coinvolse come partner la New World Pictures [fondata nel 1970 dal re dei b-movie Roger Corman dopo aver abbandonato la American International Pictures]. Poco dopo la Virgin si sarebbe fatta da parte, intimorita dalle eventuali reazioni di sdegno del pubblico in risposta ai contenuti disturbanti della storia.
Solo grazie agli sforzi di Figg e Barker la New World fu convinta ad assumersi il rischio e concedere ai due il risicato budget di appena un milione, così si sarebbe potuta finalmente organizzare la pre-produzione. Quello sarebbe stato il debutto alla regia di Barker, motivo per cui Figg decise di affiancargli una troupe di cineasti di grande esperienza, primo su tutti il direttore della fotografia Robin Vidgeon che supportò il giovane regista e gli permise di imparare il mestiere a mano a mano. Barker decise di proporre alcuni ruoli ai suoi storici sodali di ‘’The Dog Company’’, anch’essi alle prime armi, ad esempio a Doug Bradley, vecchio amico e membro della compagnia, furono offerte due parti: o quella di operatore dei traslochi o l’altra, vagamente più allettante, di leader dei Cenobiti. Inizialmente Bradley non era sicuro di esordire al cinema con un ruolo che avrebbe richiesto così tanto trucco e parrucco, ma finì per convincersi e divenne l’iconico Pinhead. Fu più faticoso arruolare Claire Higgins, interprete di Julia, attrice di teatro di cui Barker apprezzava particolarmente le doti attoriali che però rifiutò un paio di volte, prima di essere rassicurata dalla visione autoriale del regista, perché non avvezza all’horror; durante il suo provino si lasciò trasportare talmente tanto che stette per colpire inavvertitamente Doug Bradley, che le dava le battute, con un vero martello. In questa fase l’unica imposizione da parte della New World fu quella di assumere un attore americano nel cast e la scelta ricadde su Andrew Robinson a rivestire i panni di Larry, tra tutti fu l’unico che poteva definirsi una stella [dato che era piuttosto conosciuto per avere interpretato Scorpio in ‘’Dirty Harry’’ (1971) di Don Siegel], eppure si integrò da subito data la sua formazione teatrale. Robinson si affezionò al ruolo e si divertì molto a giocare tra il personaggio di Larry e quello di Frank che veste la sua pelle, tant’è che sarà lui a improvvisare la famosa frase finale a effetto, che Barker apprezzò molto. Il film fu girato in sole otto settimane presso il Cricklewood Production Village [un complesso fondato nel 1920 dal pioniere del cinema britannico Sir Oward Stoll, allora il più grande del Regno Unito, che nel mentre era diventato un bar-discoteca e risultava privo di un vero e proprio teatro di posa o di qualsivoglia installazione sonora]. Per quanto riguarda la casa di Frank (ambientazione principale di tutto il film), essa non fu costruita come set ma era una vera abitazione fatiscente che Figg trovò per caso durante dei sopralluoghi, non solo gli sembrò vicina al tipo che cercava Barker ma pensava potesse ricordare subliminalmente la casa di ‘’Amityville Horror’’ (1979). Ovviamente l’immobile non era pensato come set cinematografico, per questo motivo fu molto difficile per la troupe organizzare le riprese e riuscire a girare negli interni. Barker, complice il team che gli venne cucito intorno da Figg, riuscì a creare un ambiente di lavoro sano in cui era ben voluto ed apprezzato per il suo spirito d’iniziativa nonostante l’inesperienza. La New World, però, non era soddisfatta del materiale che le era arrivato a Los Angeles nelle prime settimane e mandò in Regno Unito tre referenti a controllare lo stato delle lavorazioni, oltre che Tony Randel [che dirigerà, l’anno dopo, ‘’Hellbound: Hellraiser II’’]. Il compito di Randel fu rigirare delle sequenze che
i produttori non avevano gradito particolarmente, o che ritenevano potessero essere migliorate. Il suo contributo risultò più utile che altro; nel primo montaggio, ad esempio, non era prevista la celeberrima sequenza della rinascita di Frank, che fu una sua intuizione insieme all’artista degli effetti visivi e speciali Bob Keen [che aveva già lavorato, tra le altre cose, alla trilogia originale di ‘’Guerre Stellari’’ (1977-1983), ‘’Superman’’ (1977), ‘’Alien’’ (1979), ‘’Dark Crystal’’ (1982), ‘’Krull’’ (1983), ‘’La Storia Infinita’’ (1984), ‘’Space Vampires’’ (1985), ‘’Highlander’’ (1986)] quando le riprese principali erano ormai concluse, ma i produttori rimasero talmente affascinati da questa idea che incrementarono leggermente il budget per permettergli di realizzarla. Keen e Geoff Portass (che fonderanno il loro studio, Image Animation, proprio sul set) furono i principali responsabili del dipartimento degli effetti speciali. Per dare vita ai disgustosi make-up, specialmente per rendere il senso di umido appiccicume del corpo spellato di Frank, dovettero spesso andare a comprare nei negozi vicini centinaia di scatole di profilattici e gel lubrificante, essendo grande fonte di lattice. Chiaramente le sessioni di make-up furono scomode e massacranti per chiunque, sia per Oliver Smith (che interpretava il Frank non morto, ed era stato assunto perché abbastanza magro da entrare nelle tute apposite) sia per gli attori dei Cenobiti, che erano ulteriormente limitati nei movimenti dai costumi ai limiti del bondage di Ro Sylvester-Fisher. Doug Bradley, oltre che essere nervoso perché era la sua prima volta su un vero set, inciampava spesso sulla gonnella di Pinhead e non riusciva a fermarsi sui punti contrassegnati col nastro, a causa della scarsa visibilità data dalle lenti a contatto scure. Il povero Nicholas Vince (Chatterer), durante le sei ore di applicazione degli effetti prostetici e del trucco, si addormentava nel costume e finiva per essere spostato di peso o calciato dai tecnici che lo scambiavano per un manichino, o un oggetto di scena. La prima volta che lui e Simon Bamford (Butterball) si presentarono sul set, la crew non aveva idea che non riuscissero a vedere niente e gli fosse pressoché impossibile parlare.
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CENOBITES (2/4): The Female Cenobite, Deep Throat, illustrazione originale di Elettra Eletto |
Aldilà di questi impedimenti tutti ricordano l’esperienza con piacere, un po’ meno Grace Kirby (Cenobita femmina) che reagì male alla prima volta che si vide completamente truccata e infatti non tornò nel sequel, pur ricordando con affetto Barker e i suoi colleghi. Alcune sequenze ricche di effetti speciali, tra le tante valide, palesano i limiti produttivi: il demone scheletrico che nel finale recupera la scatola rompicapo fu pensato e realizzato all’ultimo momento, a riprese in corso, e tutta la sequenza fu organizzata e girata in appena quattro ore; ancora meno credibile è il personaggio del mostro interdimensionale dell’Ingegnere, sicuramente l’effetto meno riuscito di tutto il film per limiti di tempo e budget, che era operato da otto persone alcune delle quali si possono scorgere alle sue spalle insieme alle ruote del carrello con cui venivano mosso. Negli ultimi stadi della lavorazione ci furono le maggiori ingerenze da parte della New World, che decise di ambientare forzatamente le vicende del film negli Stati Uniti andando contro la volontà del regista, e fece doppiare diversi attori (con esiti altalenanti) temendo che il loro accento britannico potesse rendere il prodotto meno appetibile per il grande pubblico.
Capitolo III
Ogni Goccia di Sangue
Analisi del Film
di Andrea Gentili
In Marocco Frank Cotton entra in possesso di un enigmatico cubo che, una volta aperto, lo trasferisce in una dimensione ultraterrena nella quale piacere e dolore si equivalgono, distaccandolo definitivamente dalla sua realtà corporea. Nel frattempo il fratello di Frank, Larry, insieme alla moglie Julia e alla figlia Kirsty, vengono ad abitare nella vecchia casa di famiglia dei Cotton, nella cui soffitta Frank aveva effettuato il macabro rito trasfigurante. Proprio durante il trasloco, Larry si ferisce ad una mano, innescando il processo di resurrezione di Frank, a causa del contatto del sangue col pavimento. Uscito da quella dimensione suppliziante con l'obiettivo di ritornare alla sua forma originale, Frank si affida alla cognata e amante Julia, incaricandola di procurargli vittime sacrificabili in modo da poterne assorbire il sangue. Tuttavia il tempo è limitato. I terrificanti guardiani dell'ordine dei Cenobiti lo stanno cercando per riportarlo nella loro realtà, fatta di torture e sevizie terribili...
Quando nel 1986 uscì Rawhead Rex per la regia di George Pavlou, Clive Barker (che del film scrisse la sceneggiatura, oltre che l'opera originale da cui venne tratto) si rese immediatamente conto dell'enorme discrepanza visiva tra la sua visione e quella del settore cinematografico (in questo caso di Pavlou, che l'anno precedente aveva diretta un ulteriore film sceneggiato da Barker, Underworld, aka Transumations). La riduzione a semplice “slasher” sovrannaturale di Rawhead Rex, oltre che la pessima resa della creatura antagonista su schermo, per certi versi ridicola a causa di un costume che si avvicinava maggiormente al Gorn di Trekkiana memoria piuttosto che ad una terrificante figura demoniaca (oltre che dall'enorme carica metaforica, da un punto di vista sessuale), portarono l'autore britannico a sedersi dietro la macchina da presa per la successiva trasposizione su pellicola di una sua opera. Trasposizione che risulterà poi essere Hellraiser.
Già nella prima metà dell'opera ci rendiamo conto di come si respiri a tutti gli effetti un'aria completamente diversa rispetto a quella del film di Pavlou. Vista la particolarità degli elementi messi in scena (quali oggetti fallici, strumenti di sevizia, creature dal design estremamente folle), possiamo tranquillamente dire che ci troviamo di fronte ad una “parità di rischio” con Rawhead Rex; rischio di cadere in quella dimensione di trash cinematografico, di involontariamente comico, nella quale il film precedente era indubbiamente piombato. Il fatto che questo con Hellraiser non accada può essere preso come esempio generale dell'importanza della figura del regista in quanto creatore di immagini. Barker, a differenza di Pavlou, anche grazie al suo essere creatore degli eventi e dei personaggi che porta su schermo, ha una visione limpidissima della messa in scena, un aspetto questo che colpisce, se ricordiamo che Hellraiser fu la prima volta di Barker come regista di un lungometraggio (ma non la prima in assoluto come regista, visti i precedenti corti girati negli anni '70 in Super 8 e su 16mm), una capacità tuttavia da considerarsi per certi versi “naturale”, visto il suo innato talento come suggestivo “creatore di immagini”, principalmente ricollegabile alla dimensione letteraria. La resa su pellicola dei mostruosi Cenobiti, terrificanti nella loro assurdità, è forse uno degli elementi che riassumono questo aspetto. La presenza di creature dalla forte carica simbolico/visiva, prima fra
tutti quella di Pinhead (Doug Bradley), rischiava di far ricadere il film nella dimensione dell'allora popolarissimo “slasher”, dove la presenza di “mostri” immediatamente riconoscibili ne rappresentava sicuramente la caratteristica principale. Sebbene questo sia accaduto effettivamente in tempi recenti a causa dei pessimi ed innumerevoli sequel direct-tovideo, complice anche la “cultizzazione” della stessa figura di Pinhead, ormai accostata a quella dei soliti Freddy, Jason e Michael Myers, in Hellraiser i Cenobiti sono un tassello importante ma parziale di un fenomeno orrorifico più ampio, che vedono nel “cubo” l'elemento cardine. Questa onnipresenza se vogliamo intangibile del “male” (ma anche del “bene”, vista l'ambiguità di questa dimensione onirico-metafisica che aleggia sui protagonisti del film) è l'aspetto più convincente dell'opera, merito soprattutto del talento anche tecnico di Barker.
Complice anche una strabiliante confidenza col mezzo, Barker comprende perfettamente come arrivare ad una costruzione “tangibile” della tensione, con movimenti di macchina minimi ma efficaci, in grado di sfruttare la verticalità degli spazi (vista anche la continua comunicazione tra il piano terra e quello superiore della soffitta, dove hanno luogo i momenti sicuramente più crudi e spaventosi del film). Una regia completamente asservita agli eventi messi in scena, che non si risparmia di mostrare anche gli aspetti più violenti e raccapriccianti, che contribuiscono a costruire quell'atmosfera “uncanny” che pervade tutta la durata del film, ed è maggiormente presente nel corso del secondo atto. Un'opera, Hellraiser, che parla per immagini, dove non c'è spazio per spiegazioni eccessive e superflue, dove ci troviamo catapultati in una dimensione lontana dalla nostra percezione della realtà, lovecraftiana, totalmente sensata lì dove il senso sembra venir meno. Non c'è la netta duplicità del bene e del male (...diavoli per qualcuno, angeli per altri), ed è anche per questo motivo che la sessualità gioca un ruolo fondamentale. Se c'è una dimensione dell'esistenza nella quale piacere e dolore in qualche modo possono equivalersi, questa è sicuramente la sfera sessuale, e non è un caso che in Hellraiser rappresenti il cuore degli eventi. Come afferma lo stesso Frank in un suo dialogo con Julia poco dopo il recupero della sua forma umana, “Farai l'amore soltanto con me”, presentando il sesso quasi come lo scopo del suo ritorno all'esistenza terrena. Ed è appunto l'elemento sessuale che viene posto come principale di questa meschina ambiguità, dove anche personaggi generalmente “postivi” come Steve (Robert Hines) non ne escono totalmente incolumi, con la sequenza della cena a casa Cotton, dove conosce la giovane Kirsty versandole continuamente da bere quasi a volersi approfittare del suo essere ubriaca, una situazione in cui la ragazza lo ammonirà asserendo “Basta, sennò non mi reggo in piedi”, richiesta alla quale Steve risponderà con un discutibile “E allora sdraiati...”.
Ritornando a un punto di vista prettamente tecnico, notevole è anche il ricorso ad un montaggio efficace in ottica narrativa, specialmente nelle sequenze in cui Julia uccide le sue vittime in modo da permettere a Frank di rigenerarsi, partendo dalla prima, nella quale si adotta un montaggio posato e dedito alla ricerca di tensione convincente, ed i successivi, in cui si predilige un montaggio più serrato e quindi immediato, essendo lo spettatore già a conoscenza della conclusione degli eventi, ovvero la morte del malcapitato di turno per mano di Julia. E' sicuramente questo il personaggio che forse più di tutti riepiloga la dittica fusione fra bene e male, apparentemente una classica donna di famiglia e moglie fedele, in realtà dedita esclusivamente a soddisfare le richieste del cognato, anche quando si tratta di uccidere e dare in pasto le vittime allo stesso. Un servilismo figlio, ancora una volta, di una ricerca sessuale compibile esclusivamente unendosi a Frank, l'unico in grado di soddisfare gli istinti della donna. Rimanendo in ottica puramente “visiva”, sensazionali sono gli effetti speciali diretti principalmente da Bob Keen e non poteva essere altrimenti, vista la necessità del voler mostrare prima ancora di nascondere le brutalità commesse sullo schermo, oltre che i momenti puramente “body-horror”, ancora oggi estremamente convincenti nella loro macabrità, avvicinabile di diritto alle più celebri sequenze trasfigurative della storia del cinema horror, da Un Lupo Mannaro Americano a Londra a Nightmare 4.
Capitolo IV
L'eco dei Cenobiti
L'influenza culturale
di Giulia Ulivucci
La ricezione della critica all’uscita di Hellraiser nelle sale inglesi fu decisamente positiva: sono numerosi gli elogi di testate giornalistiche, generaliste o specializzate, tra cui lo stesso Daily Telegraph e il Monthly Film Bulletin, nelle parole di Kim Newman. A livello internazionale la risposta è più tiepida: il New York Times definisce il cast come composto da “singularly uninteresting actors” (“attori non interessanti presi da soli”) e “the special effects aren’t bad - only damp” (“gli effetti speciali non sono cattivi - solo sottotono“), mentre il Los Angeles Times auspica un futuro in cui la sensibilità di Clive Barker possa coniugarsi con il suo talento per il visivo, giudicando questo debutto registico un prodotto in cui “Barker--perhaps because shock is easiest for a beginning film maker--too often seems to be scraping bloody tongue against gory cheek” (“Barker– forse dal momento che lo shock è la cosa più semplice da ottenere per un regista alle prime armi–troppo spesso sembra essere una lingua insanguinata che raschia una cruenta guancia”). Roger Ebert, unico critico cinematografico ad avere una stella sulla Hollywood Walk of Fame e premio Pulitzer per la critica nel 1975, nel settembre 1987 giudica
in maniera asperrima Hellraiser, rintracciando il problema più grande proprio nella sua struttura e mettendo in discussione il giudizio positivo su Barker formulato da Stephen King: “What fun is it watching the movie mark time until the characters discover the obvious? This is a movie without wit, style or reason, and the true horror is that actors were made to portray, and technicians to realize, its bankruptcy of imagination.” (“Che piacere si ha nel guardare un film scandire il tempo fino a quando i personaggi scoprono l’ovvio? Questo è un film privo di arguzia, stile o ragione, e il vero orrore è il fatto che gli attori sono stati costretti a interpretare, e i tecnici a realizzare, il suo fallimento di immaginazione”). Il successo di botteghino in USA e Canada sembrerebbe smentire queste ultime recensioni, tuttavia è bene ricordare che il prodotto mandato in sala non è quello originale, a causa della censura americana e canadese, a partire dall’iniziale messa al bando di Hellraiser in Ontario da parte dell’Ontario Film and Video Review Board. |
CENOBITES (3/4): Butterball, illustrazione originale di Stefano Vita |
La presa che Hellraiser e il suo corollario di mostri del piacere ha avuto sul pubblico è stata immediata e forte: in breve, infatti, si sono diffuse citazioni ed easter eggs in film e altri media, fino ad arrivare a prodotti totalmente ispirati ad Hellraiser. I camei di personaggi come Pinhead e le citazioni del film spuntano ovunque già nel 1989, con esempi celebri: personaggi che guardano Hellraiser alla TV, come Nick Curran in Basic Instinct (1992), e rappresentazioni dei cenobiti o della locandina del film sparse qua e là nelle scene di film molto diversi tra di loro, compresi Hocus Pocus (1993), Mighty Morphin Power Rangers: The Movie (1995), Thesis (1996), Halloween H20: Twenty Years Later (1998, in cui vi è una raffigurazione meno comune, il cenobita Butterball al posto del diffusissimo Pinhead), Bride of Chucky (1998), Bones (2001), Scooby-Doo (2002), Hellboy (2004), Saw III (2006), Pumpkinhead: Ashes to Ashes (2006, in cui Doug Bradley, l’attore di Pinhead, stavolta nelle vesti del Dr. Frasier, è circondato da scatole puzzle come la Configurazione del Lamento di Hellraiser), Silent Hill: Revelation (2012), e persino Il Divo (2008, dove si vede Andreotti, nella penombra, con il volto pieno di aghi per l’agopuntura, tanto da somigliare a Pinhead). |
Toni Servillo nel ruolo di Giulio Andreotti (Il divo, 2008, regia di Paolo Sorrentino) |
Le citazioni sono numerosissime anche sul piccolo schermo, cominciando da The Simpsons (Treehouse of Horror V del 1994, si può vedere Pinhead far parte della gang di spiriti di Boe; Treehouse of Horror XVII del 2006, nei crediti c’è un certo “Pinhead Adamson”; S18E20 2007, nello scenario immaginato da Bart compare anche Pinhead; S23E01 2011, in un suo flashback, l’agente Wayne è attaccato da Pinhead; Treehouse of Horror XXXI 2020, Patata è vestito da Pinhead), Buffy the Vampire Slayer (S7S07, 2002, Andrew dice a Jonathan di sentirsi come in Hellraiser e di odiare Pinhead), Scooby-Doo Mystery Incorporated (S2E05, 2012, lo Sceriffo Bronson gioca con una scatolina che, aprendosi, crea un varco azzurro da cui si sente, con accento britannico, “Oh such sights”), Ash vs. Evil Dead (S1E03, 2015, viene evocato un demone che somiglia al cenobita Chatterer), Rick and Morty (S5E05, 2017, Rick e Jerry sono nel club Hellraiser, formato da Cenobiti, che si nutrono dell’imbarazzo di Jerry, e Beth deve aiutare Rick a salvare Jerry), Scream: The TV Series (S3E04, 2019, Beth e Amir guardano Hellraiser alla TV) e Doom Patrol (S2E03, 2020, Red Jack, oltre ad essere Jack lo Squartatore, ha molti tratti in comune con Pinhead nell’aspetto e si nutre di dolore).
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Amortycan Griffiti (Rick & Morty, Stagione 5, Episodio 5) |
Altri film, tuttavia, hanno tratto elementi e ambientazioni di Hellraiser in maniera più massiccia. Per questa breve carrellata (per nulla esaustiva, vista la mole di progetti che vengono rilasciati ogni anno), seguendo un ordine cronologico, ci imbattiamo da subito in uno dei franchise caposaldo dello sci-fi, Star Trek. Nel film del 1996 Star Trek: First Impact (diretto da Jonathan Frakes, con Frakes stesso, Brent Spiner e LeVar Burton), l’equipaggio dell’USS Enterprise si ritrova catapultato nel passato, il 4 aprile 2063, alla vigilia del primo contatto fra gli umani e una forma di vita aliena, a causa di un’esplosione
durante uno scontro con una nave Cubo dei Borg, popolo alieno-cyborg il cui design è ispirato ai Cenobiti, compresa la nave reminiscente della Configurazione del Lamento di Hellraiser. |
Star Trek: First Impact (1996, regia di Jonathan Frakes) |
Event Horizon (1997, diretto da Paul W.S. Anderson, con Laurence Fishburne, Sam Neill e Kathleen Quinlan) è un film sci-fi horror ambientato nel 2047 su di un’astronave alla ricerca della nave scomparsa durante un viaggio per Proxima Centauri, la Event Horizon, che però riappare misteriosamente orbitando intorno a Nettuno. Si indaga su dove sia sparita per sette anni la nave Event Horizon e l’equipaggio di soccorso comincia a subire strani avvenimenti ed allucinazioni che porteranno al delinearsi di una macabra realtà: la Event Horizon è finita in una dimensione infernale, fatta di caos e violenza, che ha tutti gli attributi di quella dei Cenobiti di Hellraiser, tanto che alla fine della trasformazione Dr. Weir (Sam Neill) assomiglia molto a una delle creature disegnate da Clive Barker.
Dark City (1998, di Alex Proyas e con William Hurt, Rufus Sewell, Kiefer Sutherland, Jennifer Connelly, Richard O’Brian e Ian Richardson) può essere definito un film sci-fi e neo-noir che segue un uomo affetto da amnesia, Murdoc, accusato degli omicidi di numerose prostitute e per questo in fuga dalla polizia e da un misterioso gruppo di “Strangers”, degli uomini molto pallidi, tutti con un trench di pelle nera. Come si scoprirà questi Strangers sono alieni con una coscienza collettiva che vogliono sfruttare la straordinaria capacità di Murdoc di poter manipolare la realtà (“tuning”), in modo da conoscere appieno l’umanità e poter manipolarla ancora meglio. L’aspetto degli Strangers, dei luoghi che vivono e la città perennemente al buio sono direttamente ispirati ai personaggi e alle ambientazioni notturne di Hellraiser.
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Dark City (1998, regia di Alex Proyas) |
The Cell (2000, di Tarsem Singh, con Jennifer Lopez, Vince Vaughn e Vincent D’Onofrio) è un thriller psicologico sci-fi in cui la psicologa Catherine Deane cerca di entrare, attraverso la realtà virtuale, nella mente di un serial killer in coma per scoprire dove egli abbia nascosto la sua ultima vittima, presumibilmente ancora viva ma tenuta in cattività. Il serial killer, Carl Rudolph Stargher, intrappola le proprie vittime in una cella di vetro che piano piano si riempie di acqua; a causa di un virus, tuttavia, egli cade in uno stato comatoso non appena l’FBI stringe il cerchio delle indagini su di lui. La Deane si ritrova quindi nella realtà della mente malata di Stargher, abitata da versioni bambola delle sue vittime e dalle frammentazioni della propria psiche, la sua parte più innocente, il bambino che ha subito abusi, ma anche una parte totalmente malvagia, anzi demoniaca, che è la causa dei delitti. Deane è tormentata da questo alter-ego malvagio, King Stargher, e le torture che subisce nella
realtà virtuale si manifestano anche sul suo corpo al di fuori di essa. Tutto l’ambiente onirico della psiche del killer è decisamente degno di essere popolato dai Cenobiti e lo stesso King Stargher somiglia molto a loro in quanto a character design e metodi di tortura. |
Fornicus, Lord of Bondage and Pain (Greg Zach) in The Cabin in the Woods (2011, regia di Drew Goddard) |
The Cabin in the Woods (2011, prima opera di Drew Goddard, con Kristen Connolly, Chris Hemsworth, Jesse Williams, Richard Jenkins, e Bradley Whitford) è una horror comedy sci-fi che segue degli studenti universitari mentre cercano di godersi una vacanza in una baita, finendo però per essere vittime di mostri indicibili, manipolati da ingegneri che drogano gli studenti per renderli più docili, soggetti di un esperimento. Una famiglia divenuta zombie a causa di un rito inizia a perseguitare i ragazzi, uccidendoli, insieme ad altre creature, tra cui Fornicus (Signore del Dolore e del Bondage, uno degli Hell Lords), una figura simile a Pinhead, ma con i denti di una motosega nel volto, che porta con sé un rompicapo a sfera simile alla Configurazione del Lamento di Hellraiser.
The Night House (2020, di David Bruckner, con Rebecca Hall, Sarah Goldberg, Evan Jonigkeit, Stacy Martin, e Vondie Curtis-Hall) è un horror psicologico che ha come protagonista Beth, da poco vedova, che cerca di conoscere meglio il marito, Owen, morto suicida; nella casa sul lago si moltiplicano le presenze e gli eventi soprannaturali, portandola a conoscere una verità molto scomoda: suo marito, spinto ad ucciderla da un’entità che si identifica come il Nulla, si rifiuta di uccidere Beth e, dopo aver costruito una casa al contrario, inizia ad uccidere delle donne che somigliano a Beth, in un vano tentativo di saziare il desiderio dell’entità. Oltre alle atmosfere della casa, di quella sottosopra e del lago, le uccisioni rituali e la sfera dell’occulto (oltre al Nulla, Owen studia libri voodoo) sono direttamente ispirate a Hellraiser, proprio perché i produttori del film, prima di arrivare all’idea di The night house, cercarono di acquisire i diritti della saga ideata da Barker per creare un nuovo capitolo della storia, trovandosi davanti però un muro burocratico. |
Mano di Dio in Berserk di Kentarō Miura |
Un altro famosissimo prodotto su cui Hellraiser ha avuto un potente ascendente è Berserk, il
celeberrimo manga, e poi anime, di Kentaro Miura, sul guerriero maledetto Gatsu, originariamente pubblicato fra il 1989 e il 2021, anno della morte di Miura, ma che continua sotto la direzione di Koji Mori dal 2022. Un ruolo di rilevo nella storia ha il gruppo di arcidemoni chiamato Mano di Dio, sotto la guida del sacerdote Void, che popolano un piano astrale labirintico e caotico, direttamente ripreso da un quadro di Escher, e hanno vestiti e attributi del tutto simili ai Cenobiti, compresi Butterball e Chatterer, a cui spesso il pubblico preferisce Pinhead. Anche il Behelit, una pietra a forma di uovo che può essere rossa o verde che è il modo per chiamare la Mano di Dio, sembra essere derivato dalla Configurazione del Lamento di Hellraiser.
Hellraiser ha ispirato numerosi videogiochi, alcuni di grande successo, altri decisamente inaspettati: dal 2021, con il DLC Capitolo 21: Hellraiser, il gioco survival horror Dead by Daylight ha aggiunto al roster dei suoi Killer un personaggio chiamato Il Cenobita, ossia Pinhead, che incatena le proprie vittime. Con l’uscita de Il Cenobita è stata aggiunta allo store del gioco la skin alternativa de Il Chatterer. Anche il gioco action-adventure sandbox Terraria ha aggiunto un nemico nella modalità difficile chiamato Nailhead, durante l’evento Solar Eclipse: il personaggio, che nonostante lo stile pixel del gioco è ben riconoscibile, ha come tipologia di attacco quella di lanciare dei chiodi e il bestiario del gioco lo descrive come “An intelligent being who seeks out souls to steal, utilizing nails from his own body both as a weapon and as defensive measures.” (“Un essere intelligente che cerca delle anime da ottenere, usando i chiodi del proprio corpo come un’arma e, allo stesso momento, come un metodo di difesa”).
Un caso strano è quello del gioco cristiano della Wisdom Tree Super 3D Noah’s Ark, uscito su Super Nintendo Entertainment System nel 1994 e poi su MS-DOS e infine su Steam nel 2015. Se tecnicamente il gioco è simile a Wolfenstein 3D (un first-person shooter del 1992), le grafiche sono non violente e portano il protagonista a percorrere l’Arca di Noè e a tenere sotto controllo gli animali. All’inizio del lavoro di sviluppo il gioco doveva essere a tema Hellraiser, di cui aveva anche ottenuto i diritti, a causa dei limiti della console il progetto venne abbandonato e, seguendo l’immagine che la casa di produzione si era creata negli anni, l’idea si spostò da demoni erotici ad animaletti da sfamare con la fionda nell’Arca di Noè. Non si può parlare di Hellraiser senza parlare della colonna sonora (mancata) creata dai Coil, band sperimentale britannica. La colonna sonora, poi pubblicata nel 1987 con il titolo di “The Unreleased Themes for Hellraiser”, piacque tantissimo a Clive Barker, che arrivò a definirla “bowel churning”,
quindi perfetta per il proprio progetto; tuttavia i produttori della New World la pensavano diversamente, preferendo andare sul sicuro con una colonna sonora classica e arruolare il compositore Christopher Young. Le sonorità dei Coil erano già in linea con Hellraiser, vista la loro traccia “Blood from the Air” del 1986 e parti dell’album del 1984 “Scatology”, ma il problema non era il loro sound, quanto più i limiti economici della produzione del film intero, che già sforava il budget in quanto a effetti speciali; Stephen Thrower, membro della band tra il 1987 e il 1992, in un’intervista a The Quietus dichiara che “The production company had their own composer waiting in the wings and when Clive got into difficulties with Hellraiser because there wasn't enough money to shoot the effects that he wanted to achieve he turned to the producers and showed them a rough cut of the effects scenes. As far as I understand the conversation went something like 'Oh we didn't think this was going to be as commercial as it is. Re-shoot those effects scenes and here's some more money. One stipulation, we want our man to do the score.' I think Christopher Young was a protegee there and was evidently the next big thing as far as they were concerned.” (“La produzione aveva un proprio compositore già preparato e quando Clive ha iniziato ad avere difficoltà con Hellraiser a causa dei pochi soldi con cui girare gli effetti che voleva ottenere si è rivolto ai produttori e gli ha mostrato un girato approssimativo degli effetti di scena. Per quanto ne so la conversazione è andata più o meno così ‘Oh non pensavamo che sarebbe stato così commerciale. Gira di nuovo queste scene e eccoti più soldi. Solo una condizione, vogliamo che il nostro uomo di fiducia faccia la colonna sonora’. Penso che Christopher Young fosse un protegee lì e evidentemente la prossima star per quanto ne sapevano”).
Sono moltissime, oltre alla sopracitata colonna sonora immaginata dai Coil, le opere musicali, singole canzoni o interi album, che prendono ispirazione direttamente da Hellraiser: Hell on Earth dei Mortician (in Hacked up for Barbeque/ Zombie Apocalypse del 2004), oltre ad essere sonoramente ispirata al film, presenta all’interno della traccia stessa un lunghissimo sample, la scena dell’evocazione dei Cenobiti e la fine di Frank; la band idol heavy metal NECRONOMIDOL invece ha inserito nel loro EP “Scions of the blasted heath” del 2019 la canzone Lament Configuration, in cui si fondono darkwave e riff alla city pop anni ‘80, mentre il testo prende il punto di vista di demoni appena evocati dalla Configurazione del Lamento e pronti a divertirsi sulla terra. Revaluation of All Values (Tractatus Alogico Misanthropicus) degli Anaal Nathrakh (in Domine Non Es Dignus, 2004) esplicita la propria ispirazione anche con il sample dell’iconico “Jesus wept.” di Frank/Larry), mentre Hybrid Stigmata (The Apostasy) dei Dimmu Borgir (in Puritanical Euphoric Misanthropia, 2001) si conclude con “Demon to some, angel to others”, uno dei motti di Hellraiser; i Blitzkid si immedesimano nei Cenobiti in Hellraiser, canzone del loro Let Flowers Die del 2001, affermando che “Some Hell is gonna raise and we shall come with it, forbidden pleasures materialized We’ll torture your body by proportions so mythic The puzzle box opens and brings us new life”. Gli Stellar Corpse dedicano una canzone (e il titolo del loro EP del 2018) al racconto Hellbound Heart, prendendo ispirazione dall’immaginifico di Hellraiser per raccontare il rapporto tra un artista consumato e chi si innamora di lui, anche con la partecipazione, per voce e basso di Jimmy Calabrese dei Calabrese. I brani si avvicendano, passando
per i facilmente intuibili Hellraiser degli Entombed (in Sons of Satan Praise the Lord del 2002) e Lament Configuration dei Vatican Falling (in WAR, 2020), ma meritano un discorso a parte gli Ice Nine Kills, noti per il loro grandissimo legame con il cinema horror, dedicando molte canzoni a film cult del genere: è questo il caso di The Box, featuring Brandon Saller e Ryan Kirby, decima canzona di The Silver Scream 2: Welcome to Horrorwood. Un altro discorso meritano le creazioni legate ad Hellraiser, canoniche o meno, nella forma di serie fumettistiche: nel dicembre 1993 esce per Marvel Epic Comics la serie Pinhead, uno spinoff della serie principale Clive Barker’s Hellraiser che raccoglieva in ogni numero (furono pubblicati 20 numeri tra il 1989 e il 1993, sempre per la Marvel Epic Comics) dei racconti ambientati nel mondo di Hellraiser, con la supervisione di Clive Barker. Pinhead, in 6 numeri, con testi di D.G. Chichester e disegni di Dario Corrasco, segue il protagonista titolare, che si scopre essere l’incarnazione dello spirito cenobita Xipe Totec, divinità azteca di solito legata al ciclo di morte e rinascita. Pinhead si trova a combattere contro un gruppo di umani (gli Harrowers) scelto da Morte Mamme, sorella e nemica mortale del Leviatano. Nel 1993, in due numeri, è uscito un crossover fra Pinhead e Marshal Law, personaggio della Marvel Epic Comics che dal 1987 va a caccia di supereroi in una città futuristica, San Futuro, che sarebbe la post apocalittica San Francisco. In questo crossover si scopre che una delle incarnazioni di Pinhead, Captain Spencer, fu coinvolto nella Battaglia di Somme, una delle battaglie più importanti della Prima Guerra Mondiale in cui si scontrarono le truppe inglesi e francesi contro quelle tedesche.
Nel 2011 Clive Barker comincia a lavorare con BOOM! Studios ad un fumetto canonico con i primi tre film di Hellraiser, diretta continuazione di essi in formato fumettistico; dal secondo numero Pinhead assume il nome di “the Priest” e, tornato all’Inferno, è desideroso di avere nuove esperienze, nella forma di un ritorno alle sue fattezze umane e una ricerca della salvazione spirituale. In forma anonima manda degli indizi a Kristy in modo che possa evocare the Priest e scambiare il suo posto con lui: Kristy infatti diventa una Cenobita con il nome di “the Priestess”. Tornato ad essere umano, Elliott Spencer/Pinhead viene arruolato negli Harrowers per opporsi ai Cenobiti, ma ben presto, con un altro demone, decide di dedicarsi a liberare sulla terra le anime dei dannati e sostituirsi al Leviatano. Alla conclusione con il numero 20 nel 2012 sono seguita Hellraiser: The Bestiary, un’antologia dei racconti delle miniserie pubblicate al 2015, compresa la miniserie Hellraiser: The Road Below (2014), che si concentra sulla prima missione da Cenobita di Kristy. Nel 2017, con Seraphim Inc., sono state pubblicate due antologie dei racconti usciti in precedenza per la BOOM! Studios, ma stavolta in maniera totalmente non censurata.
Capitolo V
Angeli per alcuni, Demoni per altri
Sottotesto Queer e Simbolismo Cristiano
di
Robb. P. Lestinci
“Sono un uomo gay, che vive 'allo scoperto' da molto tempo, ed è stancante sentire persone che continuano a parlare di strane e tristi opinioni circa il fatto che gli omosessuali siano contro natura, che pagheranno quando avverrà il Giorno del Giudizio. Tutte queste strane scelte sono fatte in vece di Dio da strani Cristiani che dovrebbero solo stare zitti. ”
Il 5 ottobre del 1952, in quel di Liverpool, nasce Clive Barker. Il suo primo incontro con l’orrido arriva solo tre anni dopo, quando assisterà alla cruenta morte dello skydiver Léo Valentin il 21 maggio 1956, evento che segnerà il futuro autore e che ispirerà la sua fascinazione per il macabro. Già da adolescente, si avvicinerà al teatro, lavorando, nel 1967, assieme alla sua scuola, alle opere “Voodoo” e “Inferno”. Diplomatosi alla Quarry Bank High School assieme al suo amico e futuro collaboratore Doug Bradley, Barker si iscrisse alla Liverpool University per studiare filosofia e Inglese. Proprio in questi anni, tra i 18 e i 19, nonostante avesse avuto in passato diverse relazioni con donne più grandi, lo scrittore inglese realizzerà di essere omosessuale. Parteciperà a diverse produzioni per la The Hydra Theatre Company, Theatre of the Imagination nel 1974 (per cui firmerà A Clowns' Sodom e Day of the Dog), Mute Pantomime Theatre e, infine, una volta che si spostò da Liverpool a Londra, fondò assieme a Doug Bradley la già citata compagnia teatrale avant-guarde "The Dog Company" nel 1978, ispirato al Grand Guignol parigino. 1980, l'autore Michael Shea, principalmente noto per i suoi contributi al Mito di Cthulhu per la casa editrice "Arkham House", pubblica un breve racconto horror, recentemente adattato per il piccolo schermo da David Prior per "Guillermo Del Toro's Cabinet of Curiosities", dal titolo "The Autopsy", ignaro che questo testo sarà alla base di un movimento letterario che prenderà il nome di Splatterpunk. Il genere, mosso dal desiderio di distaccarsi dai canoni classici del genere horror, troverà diversa resistenza e ostilità da parte della critica, Robert Bloch, caro amico di H. P. Lovecraft e autore di "Psycho", descriverà quest'ondata di storie come nauseanti più che terrorizzanti, ma qualcosa si stava muovendo ed era apparente che l'orrore classico non bastasse più a smuovere la società moderna, serviva qualcosa di più estremo, di più trasgressivo, senza limiti.
Negli stessi anni il mondo sarebbe stato sconvolto dalla terribile epidemia d’AIDS, che sembrava colpire principalmente gli omosessuali, dando il via ad una vera e propria caccia alle streghe e a una forte stigmatizzazione nei confronti delle persone queer e dei tossicodipendenti. In Gran Bretagna, il virus fu addirittura rinominato “The Gay Plague”, la piaga gay. In quegli stessi anni, dopo aver tentato di sbancare dapprima al cinema e poi nell’illustrazione, Barker riuscì ad aver successo grazie alla sua raccolta di racconti “Books of Blood”, pubblicata tra il 1984 e il 1985. Per i suoi racconti Barker si allontanò dai canoni classici dell’orrore, divenendo rapidamente il membro più di spicco del movimento Splatterpunk e inserendo una grossa carica di elementi queer nei suoi racconti. In quegli anni Barker non era in una condizione mentale esattamente ideale, a causa dei continui fallimenti e delle pressioni economiche che lo portarono, come precedentemente accennato, anche a prostituirsi quando i suoi lavori non pagavano, ma, ben presto, il romanzo “The Hellbound Heart” del 1986 cambierà tutto, inserendolo di diritto nell’olimpo dell’horror contemporaneo.
Barker, come precedentemente illustrato, aveva già provato ad intraprendere la carriera da cineasta con due corti e con delle sceneggiature basate su suoi racconti, ma debutterà come regista di un lungometraggio solo nel 1987 con l'acclamato cult “Hellraiser”, derivante proprio al suo fortunato romanzo dell’anno prima. Ispiratosi all’estetica fetish e BDSM, Barker sarà fautore di una mitologia horror basata sul sesso e sull’erotismo. Lo stretto rapporto tra piacere e dolore è personificato in Frank, l’antagonista del film, e nella sua amante Julia, uno duo perverso, unito dalla lussuria e dal sadismo che li accomuna. Anche i cenobiti sono avatar di questo concetto, vittime volontarie del dolore più estremo in cerca del piacere, dell’orgasmo, in un connubio che sembra essere una vera e propria metafora anche per l’horror in sé. L’osservare eventi grotteschi, macabri, terrificanti per piacere, in fondo, comporta una certa matrice sadomasochista che Barker non nega e, anzi, glorifica e celebra.
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©STEVE EASON/HULTON ARCHIVE/GETTYIMAGES |
In un’intervista per Fangoria nel 1987, Barker spiega che “L’immaginario che stiamo creando è, almeno per quanto riguarda le creature infernali, qualcosa che non è stato mai fatto prima. Sono sadomasochisti dall’oltretomba. Infatti, [Sadomasochists From Beyond the Grave] è come avrei voluto originariamente intitolare il film”. L’autore ha sempre desiderato, infatti, parlare delle tematiche LGBTQ+ e integrarle nei suoi testi, nonostante non sia sempre stato facile, ricevendo critiche e disapprovazione non solo dai suoi genitori e cari, ma anche dai suoi editori: “Non credi che pensassi ogni giorno che scrivevo, a quello che facevo? Quando un editore ti viene vicino e ti dice ‘Non puoi raccontare questa storia’ è profondamente doloroso. Mi innervosiva molto. Erano sempre spaventati che [se avessi fatto] coming out o avessi parlato positivamente dell’omosessualità, la mia carriera sarebbe stata distrutta, il ché è folle. Assolutamente folle”. “Hellraiser” sarebbe uscito solo un anno prima del tristemente noto provvedimento del governo Margaret Tatcher noto come “Sezione 28”, entrato in vigore il 24 maggio 1988, che consisteva nel bandire e vietare di “promuovere intenzionalmente l'omosessualità o pubblicare materiale con l'intenzione di promuovere l'omosessualità" o “promuovere l'insegnamento in qualsiasi scuola finanziata dallo stato dell'accettabilità dell'omosessualità come pretesa relazione familiare", dando vita ad un periodo buio della storia britannica e di vera e propria censura nei confronti degli omosessuali, come risposta all’incremento delle morti dell’AIDS, contestualizzando ulteriormente i lavori di Barker come opere di resistenza e denuncia, temi che verranno enfatizzati e sottolineati ulteriormente nel suo film successivo, “Cabal”. La Sezione 28 venne abrogata solo nel 2000 in Scozia e tre anni dopo in tutto il Regno Unito.
Per quanto riguarda l’estetica dei Cenobiti, Clive Barker racconta, in un’intervista per The Guardian, come si sia prevalentemente ispirato all’estetica sadomasochista di un locale che frequentava lui stesso a New York, il Cellblock 28. “No drink, no droghe”, ricorda Barker circa il locale, “era molto serio. Era la prima volta che vedevo qualcuno bucarsi per piacere. Era la prima volta che vedevo sangue sgorgare. L’atmosfera austera ha decisamente ispirato Pinhead: ‘Nessuna lacrima, per favore. È spreco di ottima sofferenza!’”. Le ispirazioni non vennero ignorate e, come ricorda il regista, “Pinhead era nel film solo per otto minuti, ma divenne rapidamente palese che piacesse alle persone. Ho avuto una buona reazione dal pubblico sadomasochista – e la ho ancora. Stavo validando uno stile di vita. Era una celebrazione della bellezza di questi strani rituali segreti”. Interessante per le sue origini, in relazione ai caratteri queer di Hellraiser e per i, seppur vaghi, parallelismi con la vera storia di Barker, è il personaggio del Chatterer. Nonostante non abbia una backstory né nel romanzo originale né nel film, essa è narrata nel 2017 nella storia a fumetti "Prayers for Desire", pubblicata in "Hellraiser Anthology Volume 2", firmata da Nicholas Vince (attore originale del Chatterer, anch'egli omosessuale) ai testi e dallo stesso Clive Barker ai disegni. Jim, questo il vero nome del Chatterer, finì in un orarnotrofio da ragazzino a seguito dell'arresto di sua madre per l'omicidio del padre abusivo. Disilluso e senza una direzione, s'innamorò di un altro ragazzo, Seth, con cui avrà una relazione, mentre continuerà ad appellarsi al Dio dell'Amore per ricevere affetto. A sedici anni, il futuro cenobita si unì al suo ragazzo nel circolo della prostituzione dove riceverà diversi complimenti da parte dei suoi clienti per il suo aspetto, causandogli grande disgusto. Uno di questi, una sera, gli chiese quale fosse il suo desiderio, al quale Jim rispose "di essere amato". Al loro secondo incontro, l'uomo pose la stessa domanda, ma la risposta del giovane cambiò in "essere brutto", nella speranza che, senza la sua bellezza, potesse essere amato per ciò che era davvero. Il cliente, a quel punto, gli porse la Configurazione del Lamento, affermando di agire per conto del Dio del Piacere e del Dolore. Jim, divenuto anche lui un servo infernale, distribuirà diversi di tali cubi a sua volta, finchè non abbandonerà la prostituzione. Anni dopo, reincontrando Seth, oramai acciecato dal pappone per cui lavoravano come punizione per la fuga del suo ragazzo, rifiuterà di dargli la Configurazione come richiesto da un altro seguace degli Inferi, avendo invece un rapporto sessuale con lui, durante il quale Seth ammise con rabbia di odiarlo. Al termine di ciò, nuovamente solo, il desiderio di Jim, finalmente, si avveró, la sua faccia venne scarnificata e deturpata al punto da renderne irriconoscibili i tratti, incapace anche solo di comunicare per le sue mutilazioni, se non per il rumore del battere dei suoi denti da cui prenderà il nome: il Chatterer era nato.
Anche Pinhead, almeno nel romanzo originale, presenta tratti di ambiguità sessuale, al punto che non sia mai chiaro quale sia il suo genere, parlando con "la voce di una ragazzina eccitata" e con una serie di mutilazioni diverse da quelle del film (una griglia di tatuaggi ad assi orizzontali e verticali, decorate da degli spilli conficcati fino l'osso ad ogni intersezione, non solo per tutta la testa, ma anche sulla lingua). Il Pinhead originale, molto più androgino e punk, venne alterato per la versione cinematografica dove ebbe la sua rappresentazione più iconica, nonostante il carattere di ambivalenza sessuale del Prete Infernale è stata da poco ripresa dal reboot del 2022 di "Hellraiser", dove a donargli l'aspetto è l'attrice transessuale Jamie Clayton. Anche la Donna Cenobita, lasciata innominata nella versione finale dell'opera, avrebbe dovuto originariamente avere un sottotesto sessuale, con il suggestivo nome Deep Throat (Gola Profonda).
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A sinistra: sketch preparativi di Pinhead (©The Official Clive Barker Website) A destra: Jamie Clayton nel ruolo di Pinhead (Hellraiser, 2022, regia di David Bruckner) |
"Recentemente [per] una rivista mi è stato chiesto di elencare i cinque libri più spaventosi per me, e la Bibbia era uno di quelli." |
- Clive Barker, Nightmare Magazine n. 35, 2015
I cenobiti, “angeli per alcuni, demoni per altri”, devono il loro nome (dal tardo greco κοινοβίτης, coenobita, derivato di κοινόβιον, cenobio) agli omonimi monaci che si riunivano in vita comune ai tempi del primo cristianesimo, ma questa non è la sola influenza cristiana sull’opera di Barker. Come notato da Tara Baldrick-Morrone, il personaggio di Julia riprende il carattere tipico della donna vista come tentatrice della Bibbia ebraica, in particolare della donna malvagia descritta in Proverbi 7:23, pronta a tentare gli uomini in ogni vicolo, esattamente come la donna che rimorchia uomini in modo da sacrificarli al fine ultimo di riportare in vita non l’uomo che amava, ma l’uomo che più di tutti l’appagava sessualmente (non a caso, il film ebbe come nome scherzoso “What A Woman Will Do For A Good Fuck”, “Cosa farebbe una donna per una buona scopata”, in relazione proprio al personaggio di Julia).
In “Apophthegmata Patrum Aegyptiorum” del 5 d.C., si descrive come “Un fratello venne terribilmente tentato dal demone della fornicazione. Quattro demoni si trasformarono in donne bellissime, combattendo con lui per ottenere un rapporto vergognoso. Ma il suo coraggio ebbe la meglio e non venne sopraffatto. Vedendo il suo nobile sforzo, Dio lo graziò”. Descrizioni di demoni lussuriosi e avvezzi al sesso, insomma, non erano una novità ed, anzi, erano un oggetto comune nella tradizione cristiana, in cui l'erotismo era visto come un peccato, ma Barker unì queste idee agli stessi monaci che affrontavano tali entità. L’auto infliggersi punizioni, flagellazioni, sacrifici e pegni per elevare la propria anima, a discapito del corpo, troveranno una nuova dimensione nei Cenobiti Barkeriani: invece che un mezzo per avvicinarsi al divino, saranno visti come un’accentuazione della carnalità e della ricerca sempre più estrema del piacere, in un riflesso distorto e perverso del casto immaginario cristiano. I cenobiti, e in particolare Frank, potrebbero essere visti come martiri, vittime volontarie di sofferenze oltre ogni limite (ricollegandoci al motto dello Splatterpunk, nonché al sottotitolo italiano del film), sacrificati non per Dio a questo giro, bensì per la lussuria.
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Pinhead (Doug Bradley) in Hellraiser III (1996, regia di Anthony Hickox) |
Nonostante queste ispirazioni, Barker fece più volte chiaro che non volesse rifarsi ad un modello medievale per l’Inferno o per il suo immaginario, in particolare per il sequel del suo romanzo “The Scarlet Gospel”, uscito nel 2015, “Non mi sembrava appropriato per Pinhead. Volevo creare qualcosa di moderno. Doveva essere un Inferno dove Pinhead poteva camminare, in un contesto in cui avremmo potuto vedere appartenesse. [...] è un Inferno molto politico”.
La Configurazione del Lamento, il cubo rompicapo tassello fondamentale della mitologia di Barker, noto come La Configurazione (o scatola) Lemarchand nel romanzo, continuamente citata, deve invece la sua origine alla volontà di Barker di introdurre un modo originale per accedere agli Inferi, lontano dalla tradizione giudeo-cristiana o dai canoni della narrazione orrorifica, nonostante nel romanzo si citino altri modi per raggiungerli: uno sarebbe conservato in un codice nascosto in un volume teologico nei sotterranei del Vaticano e un’altro sarebbe stata in possesso del marchese du Sade
. Durante la stesura del libro, riaffiorò nell'autore il ricordo di un cubo intagliato a mano che suo nonno, cuoco di nave, gli portò dopo un viaggio in oriente, di cui si invaghì da bambino. E da quel regalo, nacque uno degli oggetti più iconici della storia dell’horror, de facto McGuffin della saga e oggetto di culto, ispiratore di molti altri cimeli simili nella finzione. Un oggetto maledetto, stregato, ma affascinante, che mette alla prova la volontà umana: fin dove siamo disposti a spingerci per il piacere?
“Jesus wept"
- battuta finale di Frank in “Hellraiser”
Il racconto verrà poi ristampato, dapprima negli USA nel 1991, dalla Harper Paperbacks (ora HarperCollins) come romanzo autonomo in seguito al successo del film Hellraiser (1987)
Con la partecipazione speciale di
ILLUSTRAZIONI DI
COPERTINA DI
REVISIONE E ORGANIZZAZIONE DI
Lorenzo Spagnoli, Robb P. Lestinci, Giulia Ulivucci, Nicholas Gironelli, Eleonora Mori e
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