Fra un atomo e l’altro della nostra anima ci sono interstizi intimi e remoti, ed è proprio lì che vanno ad innestarsi le elucubrazioni più ponderate rispetto al nostro senso d’identità. Tuttavia, questo microcosmo di soggettività viene dissipato nel più dispersivo macrocosmo dell’età contemporanea, teatro di una storia umana nella quale il confine tra gli estremi della moralità diventa sempre più labile. È la teologia del denaro ad aver avuto forse l’impatto più severo sull’uomo contemporaneo, alienandolo in modo attento e studiato dalla propria preziosa bolla di autodeterminazione. È proprio su questo sfondo, infatti, che la storia, sia individuale che del mondo, perde di consistenza spaziale e temporale, rilegando l’uomo in un’area di neutralità, indeterminatezza e irrilevanza, nella quale si corre il rischio di essere inglobati nell’anonimato come “oblio della memoria e dell’autocoscienza”, come sostenuto da Günther Anders. In questo stato di cose così caotico, costituito dall’ambivalenza di un’inerzia umana e di un eccessivo dinamismo secolare di sistemi e impianti, risulta fondamentale trovare un mezzo utile a recuperare la soggettività e l’individualismo, nonché uno strumento che elevi l’uomo da mero aggregato biologico (in greco antico zōḗ, ζωή) a persona con dei tratti identitari ben definiti, autocosciente, che brilli dunque di luce propria e non riflessa, proprio come il guerriero omerico (in greco antico phṓs, φώς).
È proprio l’arte a rappresentare il mezzo più valido tramite cui tagliare drasticamente la distanza fra l’individuo e l’universale. Secondo, ad esempio, il paradigma estetico elaborato da Friedrich Leopold von Hardenberg, detto Novalis, l’arte rappresenta la concretizzazione dell’immaginazione, intesa come estensione dell’attività universale che confluisce nell’inesaustibilità dell’Io. Questa estetica è perfettamente riscontrabile nelle opere di Aldo Callà, il giovane “Pittore ancora vivo”.
Con una magistrale abilità stende sulla tela non solo colori, ma anche storie ed emozioni, permettendo al fruitore dell’opera di immergersi nell’intricata rete di sentimenti e resoconti di vita che con la sua arte lascia al mondo come testimonianza di presenza ma soprattutto di profondità. Incastrata tra i suoi sfondi bordeaux e i suoi soggetti c’è esattamente l’essenza di tutta la soggettività e l’individualismo emotivo che in questo momento della storia umana va recuperato, mettendo in tal modo in primo piano le emozioni più crude, che a conti fatti sono esattamente ciò che ci rende vivi e autocoscienti.
La sua filosofia artistica consiste, infatti, nello smembrare le emozioni con estrema eleganza, raccontandone la genesi e la deriva tramite narrazioni derivanti dalla sua esperienza di vita, senza remore nel mostrarne anche gli aspetti più malinconici, insofferenti e infelici. La classe e la finezza dei suoi dipinti consistono proprio nel trasporto emotivo che generano nell’osservatore, lasciando che siano le immagini a parlare al posto suo, e probabilmente dicendo anche più di quanto non possano fare le parole. Non esiste, infatti, un vocabolario adeguato per descrivere i sentimenti e le passioni, la loro intensità trascende qualsiasi declinazione linguistica, ma le sue tele riescono a carpire quanto di più astratto ci sia nel complesso meccanismo cognitivo che lega indissolubilmente le emozioni e l’esperienza. Si tratta dunque di un’arte intima, personale, ma allo stesso tempo con cui ci si identifica facilmente proprio grazie alla peculiare rappresentazione che riesce a svolgere di quegli interstizi remoti che separano un atomo e l’altro della nostra anima.
La continuità e il legame fra esperienza e sentimenti viene raffigurato dall’artista in modo particolarmente eloquente in una serie di dipinti, che descrivono la genesi, la durata e la fine di una relazione tossica.
Il primo quadro della serie, “L’appuntamento”, rappresenta la fase germinale della relazione, il principio di quello che aveva il potenziale di essere un amore estremamente travolgente. Tramite un raffinato simbolismo, infatti, viene a delinearsi un’atmosfera di speranza e di curiosità, nutrita da un’inconsapevole idealizzazione – quasi platonica – dell’altra persona. L’occhio rivolto verso sinistra, infatti, sembra guardare avanti, galleggiando nel corpo smaterializzato del soggetto dipinto che perde di consistenza nel momento in cui la mitizzazione stessa dell’amata non ha consistenza. La sublimazione dell’amata viene narrata anche tramite l’uso della rosa, poggiata sul tavolo, simbolo di amore e passione a partire da tempi molto remoti. È presso gli antichi greci, infatti, che ha origine il mito della nascita della rosa, a cui si associa la successiva simbologia: la dea della primavera, Cloride, trasformò in rosa una ninfa morta nel tentativo di preservarne la bellezza mantenendola incorruttibile rispetto all’inesorabile mutare delle cose, e le Cariti (le tre dee associate al culto della natura secondo Esiodo) le elargirono una bellezza incantevole. Assieme alla fiamma dell’accendino, questa simbologia suggerisce un clima permeato dall’auspicio e dal desiderio, e intrecciati finemente con l’inconsistenza del soggetto rappresentato quasi riescono ad anticipare l’esito finale della narrazione.
Il secondo dipinto della serie, “Appuntamento con D”, illustra con estrema abilità la tensione fra i due lembi – introduttivi e conclusivi – della narrazione. È un momento di transizione, nel quale sembra che la figura idealizzata abbia soddisfatto le aspettative iniziali. La rosa è posizionata in una bottiglia, quasi fondendosi cromaticamente con lo sfondo, mentre la fiamma della speranza ha acceso una sigaretta. È necessario, tuttavia, tenere presente che entrambi questi elementi sono soggetti al deperimento indotto dal tempo, destinati a esaurirsi nell’etere impercettibile della vuota potenzialità, di un’infausta e bugiarda possibilità.
È, infatti, solo col tempo che la donna raffigurata mostra la sua vera natura. Col terzo dipinto della serie, “La tossicità di aida”, Callà mette in evidenza l’evidente fallacia logica dell’idealizzazione, un’illusione destinata a logorarsi per lasciare posto a una crudele delusione. La rosa è appassita, nel posacenere quello che sembra il mozzicone di una sigaretta consumata è in realtà un Estathè al limone, tutto ciò di materiale che l’artista riusciva ad offrire all’amata. Tramite la metamorfosi della donna in serpente viene illustrata la sua vera inclinazione, in contrapposizione sia alle aspettative e alla curiosità descritte nel primo quadro, sia alla sua versione sublimata del secondo quadro.
L’impianto speculativo di Callà non si esaurisce a riflessioni di questo tipo, ma si estende sino a comprendere anche una critica meticolosa e spietata nei confronti del teatro dell’arte contemporanea. Il suo interesse per l’arte nasce sin dalla tenera età, a partire da quando a 7 anni durante un viaggio in macchina suo zio, docente di storia dell’arte, gli raccontava delle travagliate biografie di alcuni artisti, suscitando in lui grande interesse. Notò subito che, sullo scenario del mercato dell’arte, il valore degli artisti aumentasse spesso e volentieri solo dopo la loro morte, costringendoli così a vivere una vita nell’anonimato. Non si tratta di un anacronismo: al giorno d’oggi, infatti, si sta consolidando una cultura dell’arte incentrata esclusivamente sul denaro e sul guadagno, rilegando l’artista in una zona grigia nella quale la sua creatività, il suo valore e le sue capacità comunicative non vengono valutate nel modo giusto. Da qui l’appellativo di “Pittore ancora vivo”: è un invito a volgere lo sguardo verso un orizzonte diverso, sollecitando la trattazione di una materia ancora palpabile, prima che sia troppo tardi. Questa critica si concretizza nella brillante serie di dipinti che Callà ha realizzato sul teatro dell’arte, i cui soggetti sono la metafora degli attori protagonisti di questa cornice.
“Il gallerista”, ad esempio, assume le sembianze di un cervo, animale regale, elegante, incarnazione del lavoro più bello del mondo. Le corna, tuttavia, hanno fattezze di mani umane, a rappresentare il vizio e l’avidità di chi ha trasformato l’esperienza dell’arte in mero guadagno.
“Il collezionista”, allo stesso modo, è rappresentato da un maiale, simbolo intramontabile di abbondanza e avarizia. Lo sfondo azzurro, un cielo, è metafora della sua irraggiungibilità, mentre i soldi nella sua mano sembrano privi di consistenza, simbolo di un guadagno esclusivamente monetario, che in realtà svaluta incredibilmente l’artista e l’arte stessi.
“Il polipo pittore” dovrebbe tecnicamente essere il protagonista dello scenario in quanto produttore e forza creativa dell’arte. Viene, però, raffigurato quasi come un personaggio secondario, intento a osservare quasi inerme il fluire caotico dell’industria dell’arte, depersonalizzante e svilente. Lo sfondo giallo senape è carico di valore, in quanto è, secondo l’artista, un colore che non dovrebbe esistere, ma esiste, e proprio perché esiste che è possibile l’esistenza di tutto il resto. Nonostante la sua marginalità e impotenza in quello che è lo spietato mercato dell’arte, infatti, l’artista è in realtà il nucleo vivo e acceso dell’arte.
“La musa” svolge allo stesso modo un ruolo chiave in questo scenario: la peculiarità del dipinto è che la musa è l’unica raffigurata dietro a un tendone chiuso, mentre le precedenti tre tele mostrano i personaggi di questo teatro in rapporto dinamico e partecipativo. La musa, infatti, siede dietro le quinte, ispira l’arte e l’artista, operando sia una funzione costruttiva che distruttiva nella duplice accezione attribuibile alla più generica accezione di sentimento, di piacere o di dispiacere.
L’invito di Callà non è mai stato così attuale come oggi. In una dimensione nella quale la soggettività tende a disperdersi nel caos, è fondamentale ritrovarla tramite l’arte e l’emozione, nonostante i tentativi disperati dell’industria di trasformare in soldi tutto ciò che tocca.
ARTICOLO DI
MANUELA GRIFFO
2 commenti:
Magistrale introspezione nell'animo umano che fa, meritatamente, da grande enfasi all'opera del pittore.
Articolo profondo, completo, bello da leggere, istruttivo.
Complimenti!!!!
Un ottimo articolo che, attraverso l'analisi delle opere dell'artista, è capace di gettare luce sul sistema dell'arte contemporanea.
Complimenti
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