Elsa Schiaparelli (Roma, 10/9/1890 - Parigi, 13/11/1973) è stata una stilista, costumista e sarta italiana naturalizzata francese; proveniva da una famiglia di intellettuali, il padre Celestino fu professore di lingua e letteratura araba all’Università di Roma e fu il primo bibliotecario dell’Accademia dei Lincei; Elsa studiò filosofia e si dedicò alla scrittura di poesie, ma la pubblicazione della raccolta “Arethusa” nel 1911 creò attriti con la famiglia, che la mandò in un convento della Svizzera Tedesca. Nel 1913 partì per Londra, dove conobbe e sposò il conte William de Wendt de Kerlor, teosofo con cui si trasferì a New York nel 1916. Dopo il fallimento del matrimonio e la malattia della figlia, Elsa entrò in contatto con la scena dadaista, grazie a Francis e Gaby Picabia, coppia che le fece conoscere il fotografo Man Ray e Marcel Duchamp.
A Parigi ebbe il primo contatto con la moda, visitando la casa dello stilista Paul Poiret, di cui divenne allieva e per cui disegnò alcuni modelli; nel 1925 divenne per breve tempo stilista della Maison Lambal, ma dopo essere stata respinta dall’atelier Maggy Rouff iniziò a lavorare nel suo appartamento, creando gli iconici maglioni neri decorati con disegni bianchi trompe-l’oeil. Il maglione era considerato ancora un indumento da campagna, non adatto alla moda cittadina perché informe, ma l’ispirazione venne da una donna americana e dalla sarta armena Aroosiag “Mike” Mikaëlian, che aveva un piccolo laboratorio artigianale familiare. Sebbene già Coco Chanel avesse iniziato a produrre maglieria a macchina, l’innovazione di Mike e poi di Schiaparelli fu nell’uso di due fili di lana a contrasto; il maglione a doppio nodo della Schiaparelli, con scollo a V e nodo disegnato a trompe-l’oeil, suscitò l’interesse di Vogue nel dicembre 1927 e quello dei produttori di massa degli Stati Uniti, che lo imitarono, portando la moda fuori da Parigi e all'attenzione della ditta di New York Abraham & Straus, con cui la Schiaparelli iniziò un sodalizio.
Nel 1928, grazie alla grande richiesta, Elsa Schiaparelli fondò la Schiaparelli - Pour le sport, caratterizzandosi per i suoi maglioni tatuaggio, i pullover con ossa, costumi da bagno e accessori; le decorazioni della prima collezione erano papillon trompe-l’oeil, scheletri, righe, motivi geometrici, tatuaggi marinari, animali marini dai colori accesi. Ben presto la sperimentazione decorativa divenne sperimentazione nei materiali, con borse di metallo, abbinamenti fra lana e seta, o gomma e pelle. Il crollo dell’haute couture parigina del 1929 permise comunque alla Schiaparelli di lavorare con l’America, aprendo un negozio anche a New York. Nel 1932 la maison cambiò nome in Schiaparelli - Pour le sport, pour la ville, pour le soir, espandendo la propria produzione, aprendo un negozio a Londra e degli uffici a New York, portando la Schiaparelli sulla copertina del Time nel 1934, prima stilista donna a comparirvi.
Sono da ricordare le boutique aperte a Place Vendome a Parigi, decorate dai disegnatori e designer Jean-Michel Frank e Diego Giacometti; la Schiaparelli rivoluzionò la moda parigina aprendo una sezione pret-a-porter nei propri negozi e divenendo la prima a creare collezioni composta da elementi legati ad un unico tema, esposte in sfilate spettacolo, con musica ed effetti di luce, diventando opere teatrali. Fra le più assidue clienti vi erano attrici di tutto il mondo come Marlene Dietrich, Katharine Hepburn, Greta Garbo e Ginger Roberts, e personaggi illustri come Wallis Simpson (duchessa di Windsor e moglie di Edoardo VII dopo la sua abdicazione) e Gala Dalì (modella, artista e commerciante d’arte, moglie di Salvador Dalì); i modelli di Elsa Schiaparelli entrarono nell’arte, con il ritratto di Nusch Eluard creato da Picasso, e nella movida francese, con la creazione di costumi per numerosi balli in maschera, con ispirazioni orientali, dalla moda della maharani Sita Devi, fatte di turbanti e sari.
Negli anni ‘30 la Schiaparelli visitò numerose volte New York e nel 1935 anche una fiera commerciale in Unione Sovietica; divenne costumista per il teatro e il cinema, creando opere come l’abito aragosta per Mae West in Every Day’s a Holiday (1937). Sebbene l’arte in generale sia sempre stata una importante fonte di ispirazione per Schiaparelli, si possono ricordare le iconiche collezioni Pagana, ispirata all’arte di Botticelli, L’art italien de Cimabue à Tiepolo, il vero influsso artistico venne dall’arte surrealista e da quella cubista, con rapporti stretti con artisti del calibro di Jean Cocteau, Salvador Dalì, Tristan Tzara, Jean Dunand, Elsa Triolet, Alberto Giacometti e Meret Oppenheim. Il lavoro con questi artisti fu diretto, disegnando modelli, creando accessori veri, come i guanti con artigli, cicatrici, unghie fatte di pitone rosso e non, fino ai guanti finti dipinti sulle mani da Picasso. In questo periodo nacquero i celebri cappelli di feltro con piume di metallo, cappelli a tricorno o a bombetta con velette da abbinare tanto a vestiti da sera quanto ad abiti sportivi. Il surrealismo di Schiaparelli si declinò anche nei materiali, come il tessuto simile alla carta basato sulla tecnica, usata da Picasso e Braques, del Papier collé, oltre alle decorazioni di stile cadavre exquis, con articoli sulla Schiaparelli e disegni di Cecil Beaton. Molte furono le creazioni surrealiste che suscitarono scalpore, come il cappello a forma di cervello, bottoni che sembrano lucchetti, arachidi e graffette prodotti in collaborazione con Jean Schlumberger. Elsa Schiaparelli utilizzò anche tessuti innovativi, creando abiti da sera in tessuti sintetici o tweed, un abito effetto corteccia d’albero e un mantello da sera in rhodophane, chiamato cape de verre.
Ad Elsa Schiaparelli si deve anche l’invenzione di un nuovo colore, il rosa shocking, forse ispirandosi a un colore usato dal pittore Christian Bérard; il nome della tinta divenne anche nome per il profumo Shocking! del 1937, con flacone creato dalla scultrice Leonor Fini riproducendo la silhouette dell’attrice Mae West.
Nel 1935 creò il primo accessorio con Dalì, un portacipria a forma di quadrante telefonico: l’oggetto meccanico divenne così opera d’arte, tema che ritornò in una borsa a forma di telefono; con Dalì nacquero abiti in organza decorati con prezzemolo e aragoste, decorazioni con labbra rosse a patchwork, cappelli a forma di scarpa rovesciata o di calamaio con tanto di piuma, oppure di cosciotto di montone e di nido di gallina: questi pezzi vennero esposti all’Exposition internationale du surréalisme del 1938.
Nel 1936 Schiaparelli creò un tailleur decorato con cassetti, ispirandosi alla Venere di Milo con Cassetti di Dalì e Dalì stesso creò una decorazione per una boutique della maison, un orso impagliato, dipinto rosa shocking e decorato con cassetti.
Le collezioni del 1938 si distinguono per i temi molto diversi, la prima, Il circo, ricamata da Fracois Lesage, comprendeva il vestito da sera nero con uno scheletro imbottito, mentre la seconda, Pagana, sfoggiava ricami più elaborati, di fili di metallo, e decori a specchio, che formavano delle armature per la donna, ispirandosi agli abiti ecclesiastici medievali e alle divise militari dell’800. le decorazioni trompe-l’oeil, spesso derivate dall’Antica Grecia, e i bottoni gioiello diventarono elementi chiave dello stile Schiaparelli.
La seconda guerra mondiale causò il declino della casa Schiaparelli, con la diminuzione della produzione a causa della guerra e poi con il mutamento della silhouette femminile a causa dell’avvento del New Look di Dior e dei modelli di Balenciaga; tuttavia Schiaparelli fu fondamentale per lanciare nuovi volti della moda come Hubert de Givenchy, Pierre Cardin e Philippe Venet. Nel 1954 Schiaparelli dichiarò bancarotta e chiuse la casa di moda, per poi morire nel 1973 a Parigi.
Questa non fu la fine della maison, che venne comprata e rilanciata dall’imprenditore Diego della Valle a partire dal 2007, cominciando una parabola ascendente che continua fino ad oggi, partendo dall’haute couture e dedicando dal 2016 risorse anche a collezioni di pret-a-porter. Lo stile Schiaparelli è stato finora portato avanti e rinnovato da quattro direttori creativi: Christian Lacroix (tra 2012 e 2013), Marco Zanini (tra 2013 e 2015), Bertrand Guyon (tra 2015 e 2019) e, oggi, Daniel Roseberry.
Le caratteristiche dello stile di Schiaparelli sono rimaste sinonimo del marchio, anche nella rinascita negli anni 2010 e, soprattutto, nel lavoro dell’odierno direttore creativo Roseberry: abiti neri con intarsi e accessori dorati, ispirati alla natura, allo spazio, ma anche all’anatomia umana, gioielli e accessori vari che diventano il punto focale del completo, stampe trompe-l’oeil. L’emblema delle parti del corpo dorate sembrerebbe derivare sia dalla tradizione dei santi tedeschi, incrostati di gioielli e oro (celebre è lo studio del fotografo e storico dell’arte Paul Koudounaris, cristallizzato nel libro Heavenly Bodies: Cult Treasures & Spectacular Saints from the Catacombs, che riecheggia l’omonimo tema del MET Gala del 2018), e la più lontana pratica decorativa dell’Antico Egitto, fatta di parti del corpo dorate, quasi maschere funerarie (bisogna ricordare che Ernesto Schiaparelli, senatore del Regno d’Italia, ma soprattutto egittologo e direttore fino alla morte nel 1928 del Museo Egizio di Torino, era il cugino di Elsa e la sua influenza può essere individuata in decorazioni di questo tipo).
La statuaria delle opere di Schiaparelli è reminiscente della metafisica del contemporaneo De Chirico, ma il contrasto con le forme sciolte, colate fluide di metalli che sembrano ancora caldi e tessuti avvolgenti, sono degne delle influenze più che dirette di Dalì, come se si trattasse di perle barocche (pluri-mediali) su tessuti semplici. Ma la duplicità continua con le stampe e i ricami, fantasie caleidoscopiche, spesso composte da innumerevoli perline colorate e appliques, che formano spirali, fiori e raggi di corpi celesti.
Anche le silhouettes risultano ambigue, con contrasti di geometria e fluidità, con spalle estremamente enfatizzate in larghezza quanto in verticalità, sopra semplici tubini di tessuto morbido e avvolgente. Il risultato complessivo ha qualcosa di alieno, esterno al piano umano, maschere faraoniche o accessori extraterrestri che portano all'ennesima potenza oggetti del tutto naturali: l'ammirazione iniziale nel vedere sbocciare da un punto vita peonie e steli rende ancora più grande lo stupore nel trovare al centro di esse bocche e occhi, in un gioco di scatole cinesi che rende l’oggetto dinamico e surreale.
Il sentimento preponderante è quello di vedere una rappresentazione della natura e dell’uomo dal punto di vista di qualcosa o qualcuno di oltre-umano, che enfatizza i dettagli ponendoli in un contesto insolito, quasi fossero elementi messi in mostra, gioielli creati da un anatomista o da un botanico. Questa visione, seppure in qualche modo aliena, si presenta come una celebrazione della sfera naturale, in cui scultura, stoffa e corpo umano coesistono e collaborano per creare un’unica opera d’arte. L’evoluzione stilistica di un altro marchio già nominato, Balenciaga, risulta sì altrettanto aliena, ma sembra celebrare una vittoria della stoffa sul corpo, sulla natura, con geometrie che estremizzano le proporzioni o, al contrario, con tessuti high-tech che avvolgono il corpo diventando una seconda pelle, sostituendosi ad essa.
L’ultima frontiera dell’innovazione della moda sembra venire dalla digital fashion, in cui i prodotti non sono più vestiti e accessori tangibili, ma modelli digitali proiettati su di una scansione 3D del corpo umano. La base di questo concetto sta nella biomimicry/biomimesi, ossia l’emulazione dei modelli, dei sistemi e degli elementi della natura per l’innovazione tecnologia e la missione ecologica, uno strumento versatile e, in questo caso, applicabile anche alla moda. Un esempio è la maison digitale Auroboros (debuttata il 12 giugno 2021 con una linea totalmente digitale alla London Fashion Week), che unisce moda e scienza per creare “digital only ready-to-wear”, ponendo come propri principi l’innovazione, la sostenibilità e il design immersivo. Il futuro della moda, vista l’importanza dell’immagine nel nostro secolo, sembrerebbe essere la realtà aumentata, in cui mondo fisico e mondo digitale si uniscono e interagiscono per creare opere d’arte visiva e, allo stesso momento, indumenti di haute couture.
ARTICOLO DI
GIULIA ULIVUCCI
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