domenica 12 giugno 2022

• Ecosofia del Pianeta Instabile, vivere in un mondo destinato al cambiamento (Miskatonic Archives)

Le trasformazioni che avvengono in un pianeta durante miliardi di anni sono innumerevoli. Gli effetti di alcune di queste trasformazioni sono molto dilatati nel tempo, poco percepiti o ignorati durante un breve arco di vita umana. Anche la nostra mente si trasforma insieme al mondo, in un continuo gioco di influenze. Il principio entropico e i modelli di meccanica non classica descrivono gli spazi sempre in perenne metamorfosi. 

La rapidità di trasformazione di un pianeta aumenta proporzionalmente al livello tecnologico raggiunto dalle civiltà che lo popolano. La scala di Kardashev ha ipotizzato delle categorie cardinali per i livelli di civilizzazione in base alla resa energetica della tecnologia applicata. Il nostro mondo è collocato al di sotto del primo livello, dal momento che non siamo ancora in grado di usare al meglio l’energie solare. 

Spesso rappresentato come statico ed immutabile, per semplicità di giudizio o per difetto di scopo, il nostro habitat è invece un sistema fisico in continuo cambiamento e governato dal caos. Lo studio dell'evoluzione planetaria è suddiviso da diverse materie scientifiche, in base all'oggetto di riferimento, seguendo classi descrittive e culturali a volte anche in disaccordo tra di loro.

Secondo il biologo evoluzionista Klaus Rohde, l'ecologia è stata a lungo plasmata da idee che sottolineano la condivisione delle risorse e la competizione per quelle risorse, e dal presupposto che popolazioni e comunità tipicamente esistano in condizioni di equilibrio in habitat saturi sia di individui che di specie. Tuttavia, molte prove contraddicono queste ipotesi, e nel suo libro afferma che il disequilibrio è molto più diffuso di quanto ci si potrebbe aspettare (Nonequilibrium Ecology, Cambridge University Press – 2006). 

La tesi del non equilibrio mette alla prova qualsiasi tentativo logico di fronteggiare l'incertezza del futuro e le sue crisi caratterizzate da trasformazioni fuori portata, inarrestabili ed irreversibili. Ho sempre apprezzato la potenza descrittiva nel raccontare un mondo in continua trasformazione. Riflettere sulle basi e sulle cause dei cambiamenti mondiali è un esercizio mentale dinamico e speculativo, stratificato all’interno del mondo della letteratura, in un simbolismo intrinseco di interconnessione tra l’arte e la vita, tra il macro ed il microcosmo, tra l’autore e lo spettatore, tra l’oggetto ed il soggetto.

In questo breve articolo confronterò le storie di alcuni pianeti fantastici della narrazione cinematografica, teatri di rivoluzioni globali e galattiche in grado di trasformare drasticamente l’aspetto del pianeta ed i suoi abitanti. Geomorfismi metatrascendentali per veicolare al pubblico una catarsi ricercata nella metodologia della presa coscienza. Epifanie ritardate e retroattive. Trasformazioni molto spesso innescate dall’uomo e pilotate per lunghi secoli, conferiscono anche allo spazio scenico il ruolo di ecoprotagonista all’interno di saghe e cicli epici. 

Arrakis e Trantor
Illustrazione di Cristiano Baricelli
Arrakis, o Dune, è il pianeta ideato dalla penna di Frank Herbert nel 1965, nell’omonima epopea che ci ha donato lo scorso anno la sua prima degna trasposizione cinematografica a cura di Denis Villeneuve, vincitrice di ben sei premi Oscar. Trantor, invece, è il pianeta capitale ed ecumenopoli dell’Impero Galattico nel ciclo della Fondazione di Isaac Asimov del 1942, recentemente adattata per il piccolo schermo da Davis Samuel Goyer e Josh Friedman per Apple TV+ nel 2021

In un intervallo temporale lungo migliaia di anni, il pianeta-deserto Dune prenderà le sembianze di un pianeta verde ed ospitale al seguito di lotte di potere, guerre, messianizzazioni, ascensioni, abominazioni, cospirazioni politiche e religiose. Ciclo già noto, prototipo preistorico anche del terzo pianeta del sistema solare. Nel suo universo, Dune è il pianeta più importante in quanto unica sede di produzione della spezia: misterioso elemento psicoattivo che permette i viaggi interstellari, prodotto da vermi mastodontici abitatori del deserto, anime e vessilli divini di un mondo che si autodivora. Un universo futuristico privo di robot o intelligenze artificiali che lascia spazio ad azioni sovraumane espresse all’interno di una civiltà galattica feudale e biotronica. Un pianeta mistico che non seduce, trappola della fede e del suo misticismo. 
Bene Gesserit – Philippe Bertrand (bashi.buzuk)
Su Trantor, invece, assistiamo all’ascesa e alla caduta dell’Impero Galattico, reminiscenza storica dell’antico Impero Romano, collocato nello spazio cosmico e siderale. Anche su Trantor assistiamo alla profezia pleiotropica, solo che questa volta non ha origini religiose, bensì accademiche: la psicostoria ha calcolato matematicamente che l’Impero è destinato a collassare, forse perché, a causa del linguaggio, le relazioni gerarchiche e istituzionali tendono sempre verso una certa decadenza autodistruttiva. Non serviva scomodare la matematica per sottolinearlo, dal momento che milioni di pianeti, sotto l’egida dell’Impero, eseguono gli ordini di un imperatore clone tripartito in tre diverse forme di età, ognuna vittima e carnefice della macchina tecnopatriarcale. Temendo le profezie accademiche della psicostoria, il triumvirato genetico permetterà la formazioni di nuove colonie umane su pianeti esterni, in posizioni estreme dell’Impero: le Fondazioni.
Emperor Cleon – Philippe Bertrand (bashi.buzuk)
Nella serie, le geometrie dell’urbanistica di Trantor cambiano fin da subito, definendo immediatamente la caducità di qualsiasi privilegio.

Entrambi i pianeti riflettono sul potere delle predizioni e la forza dei sogni, descrivendo la guerra come un orgasmo collettivo perpetuato dalla politica corrotta e decadente. Su Dune, la reciproca empatia tra l’uomo e la terra culminerà con la simbiosi tra l’uomo e il verme in contrasto alle istanze di razzismo ambientale mediate da un linguaggio rituale utilizzato come arma per manipolare le persone. Su Trantor, invece, è l’olonomia capitalista che minaccia la coscienza costruita attorno ad antiche credenze disabitate da cui fuggono, nello spazio, i flussi migratori: l’ultimo baluardo di sopravvivenza per una civiltà. In entrambi questi mondi il messaggio che traspare è quello di non fidarsi delle figure carismatiche, di dubitare dell’eredità del passato ridescrivere il rapporto uomo-natura, anche attraverso tecnologie invasive interspeciste ed intraspeciste.
Leto II, God Emperor of Dune - Aaron Rizla
Sicuramente esistono altri modelli planetari letterali in cui il tempo ha decretato la metamorfosi del pianeta, ad esempio, Il Pianeta della Scimmie (1963) o il più recente 2067 - Battaglia per il futuro (2020). Queste espressioni letterali sono forse la manifestazione di paure più ataviche, come l’impotenza umana nei confronti della natura primigenia e selvaggia. 

L’ambientalismo razionale prefigge il superamento di certe ideologie antiquarie e in questo articolo ho cercato di descrivere le metafore ecologiche che trovano larga espressione anche oltre i limiti artistici e scientifici. Esistono anche molti artisti e attivisti che lavorano per rendere il mondo un posto migliore. Scientist rebellion è un collettivo di scienziati che da un paio d’anni si espone affinché i governi mondiali si adoperino per il compimento di leggi a difesa del clima. Non tutte le nazionalità sono sensibili a questo tema e anche la percezione del problema ecologico è diversa a seconda della latitudine di riferimento. 

Personalmente mi ritengo molto fortunato di aver conosciuto artisti sensibili a questa tematica, non a caso, in Finlandia, dove il tessuto urbano è in semiperfetta simbiosi con la natura feroce e ferale delle foreste. Sono due gli interventi artistici che più mi hanno colpito. Il primo é il progetto Performative Habitats di Egle Oddo, nella quale l’artista entrando in comunione con ciò che la circonda, costruisce dei giardini evolutivi destinati ad autosostenersi senza l’intervento umano. Il secondo, invece, è stato l’altare per Greta Thunberg di Kamila Sladowska al Yö Festival di Helsinki in cui alla giovinezza è affiancato il mito della santità futura in missione per salvare il mondo! 
Altare per Greta Thunberg – courtesy of Kamila Sladowska 
Photo: Robert Prokopovich

 Buona Fortuna!

ARTICOLO E ILLUSTRAZIONE DI
ILLUSTRAZIONI ORIGINALI DI












REVISIONE DI
GIULIA ULIVUCCI E


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