Il ritmo cassinese risale al XII secolo, ed è una delle prime testimonianze poetiche in forma scritta della tradizione letteraria italiana. Riprendendo la tradizione dei contrasti, nonché l’antica fonte latina Collatio Alexandri cum Dindimo rege, il testo descrive la discussione intrapresa tra due sapienti, Alessandro Magno e re Dindimo, il primo occidentale e il secondo orientale, che si scontrano sulle loro visioni del mondo: al materialismo di Alessandro Magno si contrappone la visione ascetica e mistica di re Dindimo. L’autore del testo – tutt’oggi sconosciuto – si descrive come una candela, che lentamente si consuma, si distrugge per poter giovare agli altri, come fosse un sacrificio offerto a beneficio dei lettori.
Questa metafora, seppur in modo diverso, viene ripresa spesso nel corso della storia, sia della letteratura che dell’arte. Vincent Van Gogh, ad esempio, ripropone una figura retorica analoga in una delle sue opere giovanili, “Teschio con sigaretta accesa”.
Nello stesso periodo Van Gogh realizzò altri tre dipinti che avevano come protagonisti proprio dei teschi. La scelta del soggetto richiama varie influenze, a partire dalle atmosfere cupe proposte dai celebri pittori Hercules Segers e Félicien Rops, suo contemporaneo.
Sin dal primo impatto risulta un dipinto in grado di causare profonde suggestioni nell’interlocutore, principalmente grazie alla specifica qualità tonale dei colori, che spenti e cupi creano un’atmosfera inquietante e macabra. Il soggetto raffigurato richiama, inequivocabilmente, alla morte, alla tematica della fine, ma soprattutto alla decomposizione: la sigaretta che il teschio regge tra le arcate dentali si consuma lentamente, proprio come la vita consuma e decompone lentamente le qualità organiche del corpo. Si tratta di un memento mori importante e che è piuttosto ricorrente nelle opere di Van Gogh, a causa delle sue pessime condizioni di salute sin dalla giovane età. Nel periodo di composizione di quest’opera, in particolare, l’artista lamentava fastidiosi dolori allo stomaco e ai denti che lo rendevano inquieto, probabilmente spaventato. Tuttavia non è ben chiaro se il dipinto fosse il sussurro un po’ ipocondriaco della coscienza di Van Gogh o l’urlo sfacciato dell’autore, che sfida la sua stessa salute.
Se il teschio simboleggia la morte imminente e la sigaretta il lento consumarsi della vita, allo stesso tempo potrebbe anche rappresentare una vera e propria sfida che l’autore lancia alla sua salute vacillante. Proprio come il protagonista del monologo dell’autore russo Dostoevskij “Memorie dal sottosuolo”, che si rifiutava categoricamente di curare il suo fegato per fargli un dispetto, Van Gogh raffigura se stesso sotto forma di scheletro, con una sigaretta accesa, con un’aria di sfida intrinseca nell’atto stesso del fumare nonostante versasse in pessime condizioni di salute. Si tratta, dunque, di un dipinto dalle mille interpretazioni.
Terzo dipinto con un teschio, 1887/1888 |
Ma la suggestione che il dipinto trasmette, probabilmente, è più esterna che interna al dipinto stesso. Non è il teschio a incutere timore, non è la sigaretta. È l’istinto di conservazione umana che, di fronte alla morte, viene stimolato, e si risveglia più forte che mai. Ma, in fondo, se potessimo parlare con madre natura probabilmente riderebbe del terrore umano per la morte, e ci spiegherebbe che non è altro che un banale passaggio di stato della materia.
ARTICOLO DI
MANUELA GRIFFO
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