Emily
Wants to Play è un videogioco horror indie sviluppato da Shawn Hitchcock e
pubblicato nel dicembre del 2015 dalla SKH Apps per piattaforme Windows, OS X,
HTC Vive e Oculus Rift, ricevendo nei mesi successivi porting su iOS, Android,
PlayStation 4 e Xbox One.
Il
giocatore vestirà i panni di un fattorino delle pizze, il quale, giunto ad una
casa per una consegna, la troverà vuota e, dopo che la porta gli si chiuderà
alle spalle, si troverà intrappolato all’interno dell’abitazione. Ben presto il
protagonista si renderà conto degli eventi sovrannaturali che hanno luogo nella
casa, quali l’apparizione di tre bambole apparentemente possedute e la manifestazione
del fantasma di una ragazzina, chiamata appunto “Emily”.
I
dettagli della trama verranno rivelati gradualmente al giocatore tramite indizi
visivi, quali la posizione dei mobili e lo stato generale dell’abitazione, note
disseminate per la casa e registrazioni vocali della madre di Emily, le quali
fanno emergere un’inquietante storia di abusi e patologie mentali. Nonostante
ciò il gioco lascerà ampio spazio di interpretazione di questi eventi passati,
rispettando l’intelligenza del giocatore e creando un interessante mistero dalla
dubbia soluzione, oggetto di moltissime lodi da parte della critica videoludica.
Il tutto sarà ulteriormente arricchito da una grande quantità di easter egg e
segreti, tra cui possiamo anche annoverare un finale nascosto.
L’obiettivo
del gioco sarà quello di sopravvivere per sette ore (dalle 11 di sera alle 6
del mattino) all’interno della casa, venendo attaccati, inizialmente a turno e
infine collettivamente, dalle bambole e dal fantasma di Emily. Il giocatore
dovrà trovare il modo di contrastare queste entità grazie ad indizi disseminati
per la casa e scritti su una lavagna, che spesso indicherà l’esatto opposto di
ciò che si deve fare. I metodi per contrastare le bambole ed Emily ricalcano
quelli che sono i classici giochi per bambini, quali il gioco del cucù o
nascondino. Sebbene le prime volte le varie meccaniche risulteranno
interessanti e intrattenenti, ben presto queste ultime diventeranno tediose e
ripetitive, riducendo il gameplay a semplice routine e nuocendo alla rigiocabilità
del titolo.
I
design delle bambole sono di qualità accettabile e molto diversi tra di loro: Mr.
Tatters è un semplice clown pupazzo, Kiki è una bambola di porcellana e infine
Chester è un pupazzo da ventriloquo. Ironicamente il design più generico e meno
accattivante è da attribuirsi alla stessa Emily, che non presenta nessun tratto
particolare che la contraddistingue.
Purtroppo
i modelli 3D di Emily e delle bambole si trovano in netta antitesi con l’ambiente
di gioco, che presenta un design simil-realistico che non si sposa con l’eccentrico
aspetto delle bambole e di Emily, che tende molto di più verso il cartoonesco.
Altra
critica che ci si trova costretti a muovere nei confronti del gioco è quella
relativa ai jumpscares, un cliché fin troppo comune negli indie horror, che
risulta presente anche in questo titolo: purtroppo oltre a non risultare
spaventoso finiscono per suscitare l’effetto opposto, ovvero l’ilarità, a causa
delle animazioni di qualità discutibile e delle espressioni poco curate degli
antagonisti del gioco.
Uno
dei grandi punti forti del titolo sono le atmosfere: fin da quando metteremo
piede nella casa dove il gioco è ambientato risulterà chiaro, tra luci lasciate
accese, mobili sottosopra e scatoloni da trasloco mezzi pieni, che qualcosa non
va. Il tutto è arricchito da un ottimo sound design, relativo non solo alle
entità che incontreremo durante il gioco, ma anche all’ambiente intorno al protagonista,
che trasmettono un senso di ansia ed urgenza; tra i suoni più efficaci possiamo
annoverare: la pioggia e i tuoni dell’esterno, il forte rumore di apertura
delle porte e gli assordanti rintocchi dell’orologio a pendolo, che ci ricorderanno
continuamente del passaggio del tempo.
La
colonna sonora è alquanto generica e di per sé non presenta nulla di interessante
e innovativo, ma il titolo riesce a compensare ampiamente per queste mancanze grazie
ad un uso sporadico ma efficace di quest’ultima, che permette al gioco di
enfatizzare i momenti più salienti di cui il giocatore sarà testimone, creando così
un continuo senso di suspence che arricchisce l’esperienza di gioco.
In
conclusione, Emily Wants to Play è un buon gioco, con meccaniche interessanti,
sebbene alla lunga ripetitive, e un’ottima atmosfera; si tratta di un titolo
che mi sento di consigliare a tutti gli appassionati del genere e a coloro che hanno
un po’ di tempo da investirci.
ARTICOLO DI
COPERTINA DI
Nessun commento:
Posta un commento