Siamo nei primi anni '60 e, negli Stati Uniti, diversi film italiani dei generi più disparati stanno ottenendo il favore del grande pubblico. Così grandi e piccole case di distribuzione acquistano i diritti di dozzine di pellicole di genere del Belpaese per importarle nei cinema statunitensi. Una di queste era la American International Pictures nata nel '54 come casa indipendente che sarebbe poi diventata parte del circuito Metro-Goldwyn-Mayer, specializzata nel rilascio nelle sale di doppie programmazioni di film d'intrattenimento a basso costo, che con questa strategia stava riscuotendo un grande successo commerciale. Dal pubblico americano erano stati particolarmente apprezzati film horror nostrani come La maschera del demonio (1960) e I tre volti della paura (1963), due dei più importanti lavori del maestro italiano Mario Bava regista, sceneggiatore, direttore della fotografia ed effettista ligure al tempo sconosciuto e sottovalutato dalla critica che oggi è invece considerato uno dei più geniali ed influenti esponenti del cinema dell'orrore/fantascientifico (oltre che del giallo, dello slasher e del pulp).
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Bava sul set |
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A questo punto i capoccia dell'AIP, Samuel Z. Arkoff e JamesH. Nicholson, decisero di non limitarsi più ad acquistare i diritti di distribuzione di questi prodotti ma di partecipare direttamente alla loro produzione iniziando a co-produrre film di genere con piccole case italiane. Uno dei frutti di queste collaborazioni intercontinentali sarà Terrore nello spazio (1965), unico film sci-fi diretto da Bava dalla produzione italiana, statunitense e spagnola. Conosciuto negli U.S come Planet of the Vampires, questo rappresenta un altro dei più grandi contributi che Bava ha dato al cinema fantastico, tanto da essere ritenuto la fonte d'ispirazione diretta di un film come Alien (1979) oltre che della lunghissima sequela di pellicole fantascientifiche/dell'orrore che lo hanno seguito.
La sceneggiatura fu affidata dall'AIP a Ib Melchior, che aveva già lavorato a film cult di genere come Marte distruggerà la Terra (1959) e Reptilicus (1961), che la basò sul racconto italiano Una notte di 21 ore di Renato Pestriniero. La struttura della storia, per il tempo, fu talmente innovativa che ancora oggi appare come un archetipo immortale: un topos che continua ad influenzare questo genere. Due navi di esplorazione interplanetaria, la Galliot e la Argos, ricevono un segnale d'emergenza da un angolo sperduto dello spazio. Giunte in prossimità del pianeta dal quale il segnale è trasmesso, entrambe le navi riportano un'improvvisa avaria e precipitano all'interno dell'atmosfera. L'equipaggio della Galliot riesce ad assumere all'ultimo il controllo della nave e farla atterrare, ma appena questa si posa sulla superficie del mondo alieno la sua ciurma presa dall'isteria collettiva inizia a lottare violentemente. La colluttazione viene sedata per miracolo, i coinvolti non ricordano già nulla di quanto accaduto come se fossero stati posseduti da una forza esterna. Dunque gli uomini del capitano Mark vanno alla ricerca della Argos e del suo personale, mentre strane voci vagamente comprensibili riecheggiano nel desolanete ambiente del pianeta. Dell'Argos non rimane altro che la nave danneggiata e i corpi della squadra, i cui membri si sono ammazzati a vicenda. In attesa delle riparazioni alla Galliot per poter ripartire si susseguono strani fatti come strane voci che continuano a risuonare nella nebbia o miraggi dei sepolcri, in cui sono stati seppelliti i meno fortunati, vuoti. Esplorando i dintorni del punto in cui è ferma la nave, i sopravvissuti scoprono un antico veicolo spaziale non umano arenatosi ed i resti dei suoi piloti. Successivamente gli esploratori della Galliot scopriranno l'oscuro segreto di questo pianeta, lo stesso che invocava i loro nomi e che faceva apparentemente rianimare i corpi dei loro compagni, un nemico talmente minaccioso che potrebbe segnare la fine della loro civiltà se dovesse riuscire ad ottenere il loro mezzo di trasporto. Questo, come lo ha definito Joe Dante, è uno dei più illustri esempi di pulp science fiction; un film la cui grandezza sta proprio nell'estro e nella creatività del regista che è stato in grado di valorizzare e rendere credibili dei set ed un contesto narrativo fortemente kitsch, sulla carta, a discapito di un basso budget. Muovendo con piena padronanza del mezzo la macchina da presa in questi semplici ambienti che fa apparire come ampi spazi freddi e vuoti, Bava crea un'atmosfera e un senso di tensione unici per tutto il corso del film. Come egli stesso ammise più volte la meravigliosa vallata aliena dal territorio aspro e dal clima nebbioso non erano altro che un paio di rocce avanzate da una produzione di Cinecittà di stampo mitologico, con il supporto di un gioco di specchi e prospettive che le faceva moltiplicare e di una macchina del fumo. Altri due aspetti fondamentali sono: la fotografia espressionista-pop ad opera di Antonio Rinaldi che col suo spettro di diversi colori forti e densi come il blu, il rosso, il viola ed il verde buca lo schermo ponendosi in netto contrasto con il buio pesto cosmico; e la colonna sonora raramente presente di Gino Marinuzzi Jr. che diventa il naturale accompagnamento di questo immaginario lugubre, stregato e allucinante. Il film vive di un'estetica talmente forte da discernere il semplice e specifico contesto in cui è stato prodotto per diventare la matrice di un intero sottogenere infatti, nonostante Ridley Scott abbia sempre negato l'ispirazione da parte di Bava per la saga di Alien, il collegamento tra il relitto di Terrore nello spazio e il juggernaut degli ingegneri di Alien e Prometheus (2012) è lapalissiano: uno la naturale evoluzione dell'altro. Dan O' Bannon, autore del soggetto e della sceneggiatura del capolavoro di Scott, ha riconosciuto Bava come parte della propria formazione e di quegli autori di genere che lo hanno maggiormente influenzato. Oltretutto è uno dei film preferiti del regista e sceneggiatore Nicolas Winding Refn (il che è molto chiaro se si mettono a confronto il suo stile con quello tipico dell'autore danese), che ha contribuito alla sua meravigliosa edizione restaurata del 2015 anche disponibile su Amazon Prime Video.
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I colori del The Neon Demon (2016) di Refn
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Degli effetti speciali, oltre che Bava, se ne è occupato il famoso Carlo Rambaldi. Tra le altre cose, è il debutto come assistente alla regia di Lamberto Bava (figlio di Mario, che diventerà a sua volta un famoso autore di genere). Insomma Terrore nello Spazio rappresenta un tassello fondamentale per l'evoluzione del cinema italiano (così come tutta la produzione artistica del suo regista), una perla di cui dovremmo andare fieri in quanto connazionali del leggendario artista che lo ha firmato e che in patria è stato ingiustamente sottovalutato per troppo tempo.
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