lunedì 17 agosto 2020

Le stanze proibite (Recensione "Kairo")

Dagli anni ‘90, il Giappone è diventato uno dei paesi con il più alto tasso di suicidi. La ragione non è da ricercarsi soltanto nel lavoro e nelle conseguenti difficoltà che ne derivano ma anche nei rapporti umani. Con Kairo, il regista denuncia tale topic dandoci una lettura più metafisica del fenomeno ma non per questo meno concreta.


TRAMA E PERSONAGGI
Il film racconta due storie differenti per poi congiungerle alla fine: Kudo Michi, appena trasferita a Tokyo, trova lavoro come impiegata in un negozio di piante. La stessa settimana, un suo collega che doveva consegnare un lavoro su compact disc non si fa sentire sino al giorno della consegna. Kudo quindi decide di andare a casa sua per controllare se sta bene. Felice di trovarlo vivo ma dal comportamento assente, chiede se può prendere il CD e andarsene. Durante la ricerca, sente un strano rumore provenire dalla stanza di fianco e trova il suo collega impiccato. Ispezionando il CD, lei e i suoi colleghi trovano che l’avvenimento non è accaduto per caso.

Ryosuke Kawashima, uno studente dell’università di economia, si è iscritto da poco ad un provider di servizi per utilizzare internet con il suo PC. Poco dopo aver installato il software, si imbatte in un sito che mostra persone dal comportamento bizzarro in stanze prevalentemente oscure. Terrorizzato, lo spegne e va a dormire ma, al suo risveglio, il PC gli mostra nuovamente quelle persone...
CONSIDERAZIONI
Il film è diretto da Kiyoshi Kurosawa, regista non molto conosciuto a livello internazionale se non per Kyua (Cure) e Kairo (da noi rinominato Pulse ma in realtà si traduce in “Circuito”). Descriverei il suo stile come a “compartimenti stagni”, cioè che mostra a più fasi scandite l’evolversi della trama e dei suoi personaggi, come si potesse leggere uno schema di progressione ben definito. Per la durata del film, riesce ad esprimere tutti i concetti, a condire l’ambientazione con interessanti particolari e a non lasciare elementi narrativi in sospeso. Le inquadrature sono molto tecniche, quasi matematiche, e rendono il film freddo e distante, confermando la sensazione di ansia già presente.

Gli effetti speciali sono generalmente buoni, minimali ma perfettamente inseriti nel contesto. Con i primi piani e alcune viste in soggettiva, rendono molto bene la sensazione di ansia e paura che il personaggio sta vivendo in quel momento. Davvero un bel lavoro.

Parlando della trama invece, il fulcro ruota tutto attorno a due personaggi che si incontrano verso la fine del film per cause di forza maggiore. Sia la semplice e altruista Kudo che l’inguaribile ottimista Ryosuke, affronteranno l’imminente sterminio della razza umana in maniera abbastanza simile. La loro forza d’animo li aiuterà ad affrontare situazioni inimmaginabili e a salvarsi dalla catastrofe (forse).

Il motivo per il quale la razza umana si trova sull’orlo dell’estinzione è perché si sostiene che “il mondo delle anime” abbia una capienza ben definita ed essendo arrivato al suo limite, le anime si riversano sul piano materiale attraverso gli oggetti elettronici, in particolar modo l’Internet ai suoi albori. Per esse, il fatto di essere presenti nella realtà causa una sorta di “depressione” comune, quasi fosse un virus, perchè Harue Karasawa (colei che diventerà l’amica di Ryosuke), una ricercatrice laureata in informatica che lavora presso lo stesso polo universitario del protagonista, attraverso una ricerca di alcuni laureandi, arriva ad ipotizzare che l’aldilà è permeato dalla solitudine quindi anche i fantasmi si sentono soli. Essendo loro stessi eterni quindi soffrendo di tale male illimitatamente, Harue sostiene che, coloro che riescono ad attraversare il portale tecnologico dei vivi (il quale una volta aperto non è più richiudibile), vogliono rendere immortali gli stessi intrappolandoli nella propria solitudine. Deprimendosi sempre di più, muoiono scomparendo in una coltre di cenere o lasciando una macchia nera sul luogo del decesso, rimanendo, in quest’ultimo caso, ancorati per sempre in quel luogo. Per “isolarli” quindi bisogna sigillare la porta del luogo dove sono morti con del nastro rosso (probabilmente anche questo fa parte di una qualche simbologia ma non ho trovato informazioni a riguardo). Le stanze sigillate si chiamano “Stanze proibite”.

Una interessante riflessione di Harue recita: “I fantasmi e le persone si eguagliano perché queste ultime, perdendo la voglia di vivere, si svuotano e non fanno più niente".

Si evince quindi una interessante rilettura del fenomeno delle anime e dell'aldilà, sia in chiave fisica che metafisica. Durante il film il tutto viene spiegato gradualmente e con tempistiche piacevolmente calcolate seppur posso intendere che l’incedere lento e matematico delle situazioni percettivamente potrebbe aumentare la sensazione di lentezza. Un’altra lettura interessante di questo film è l’accostamento del menefreghismo della società nei confronti degli altri alla necessità dei protagonisti di farsi degli amici (Ryosuke) e mantenere tali relazioni (Kudo) che crea un interessante confronto con la nostra realtà.

Registicamente parlando, ci sono due scene in particolare fighissime:
SPOILER
1. Uno degli amici di Kudo entra in una stanza proibita e, durante l’esplorazione, scopre che il fantasma di una donna lo sta osservando dalla penombra di un sottoscala. Lui, impaurito, indietreggia verso un divano e ci si nasconde dietro. Nel mentre, il fantasma si dirige verso di lui con incedere moderato, claudicante e con un bizzarro movimento delle gambe come fosse una marcia militare. La telecamera poi passa a lui in prima persona osservando il lento sorgere delle mani poi del volto del fantasma, da sopra lo schienale del divano.
2. Verso la fine, Ryosuke torna dentro la fabbrica abbandonata per rifornire di benzina una tanica, lasciando Kudo in macchina ad aspettarlo. Il caso vuole che il coperchio della tanica cade rotolando verso un ufficio oramai non più sigillato dal nastro rosso e lui, pur cosciente di ciò a cui andava incontro, ci entra lo stesso. Qui fa la (macabra, oserei dire) conoscenza di un fantasma cosciente di esserlo (a differenza di tutti gli altri che sono dei semplici esseri persi nella loro solitudine che non fanno altro che chiedere di essere aiutati). Lui, riluttante (e stupido come pochi, oserei dire nuovamente), lo afferra per confermare la sua convinzione che i fantasmi non esistono ed invece… Subito dopo si allontana da egli e la presenza gli si avvicina con incedere lento ma inesorabile. La visuale ora è nella prima persona di Ryosuke e per un buon minuto almeno viene mostrato il suo lento cammino verso lo spettatore. In questo momento si prova una sensazione di ansia che esplode in terrore quando la faccia perennemente sfocata del fantasma si mostra chiara e nitida davanti alla telecamera.
Il particolare avanzare dei due fantasmi è interpretabile come un confronto con il lento e inesorabile incedere della morte. Davvero due bellissimi esempi di grande cinema.

PRO
+ Regia molto fredda e matematica ma efficace
+ Rilettura diversa e interessante del mondo delle anime e della loro interazione con la nostra realtà
+ In questo film non esistono jumpscares ma le scene clou fanno provare forti emozioni
+ Quasi tutte le scene fanno riflettere

CONTRO
- Ritmo monotono
- Tavolozza dei colori spenta                      
- Apparentemente lento
- La recitazione è tendenzialmente godibile ma con la solita “qualità” giapponese

VERDETTO FINALE
In un racconto la cui vita e la morte ci vengono narrate come tragicamente simili, il suicidio e l'isolamento sociale diventano tematiche di ordine mondiale proprio con l’avvento di internet e l’effimera fuga dal progresso non fa altro che metterci una fredda e cinica benda sugli occhi.

Kurosawa ci regala un film maturo e stilisticamente ineccepibile, che forse raggiunge la vetta come il migliore J-Horror di sempre. 
ARTICOLO DI

COPERTINA DI

Nessun commento: