Dagli anni ‘90, il Giappone è diventato uno dei paesi con il più alto
tasso di suicidi. La ragione non è da ricercarsi soltanto nel lavoro e
nelle conseguenti difficoltà che ne derivano ma anche nei rapporti
umani. Con Kairo, il regista denuncia tale topic dandoci
una lettura più metafisica del fenomeno ma non per questo meno
concreta.
CONSIDERAZIONI
Il film è diretto da Kiyoshi Kurosawa, regista non molto conosciuto a livello internazionale se non per Kyua (Cure) e Kairo (da noi rinominato Pulse ma in realtà si traduce in “Circuito”). Descriverei il suo stile come a “compartimenti stagni”, cioè che mostra a più fasi scandite l’evolversi della trama e dei suoi personaggi, come si potesse leggere uno schema di progressione ben definito. Per la durata del film, riesce ad esprimere tutti i concetti, a condire l’ambientazione con interessanti particolari e a non lasciare elementi narrativi in sospeso. Le inquadrature sono molto tecniche, quasi matematiche, e rendono il film freddo e distante, confermando la sensazione di ansia già presente.
Il film è diretto da Kiyoshi Kurosawa, regista non molto conosciuto a livello internazionale se non per Kyua (Cure) e Kairo (da noi rinominato Pulse ma in realtà si traduce in “Circuito”). Descriverei il suo stile come a “compartimenti stagni”, cioè che mostra a più fasi scandite l’evolversi della trama e dei suoi personaggi, come si potesse leggere uno schema di progressione ben definito. Per la durata del film, riesce ad esprimere tutti i concetti, a condire l’ambientazione con interessanti particolari e a non lasciare elementi narrativi in sospeso. Le inquadrature sono molto tecniche, quasi matematiche, e rendono il film freddo e distante, confermando la sensazione di ansia già presente.
Una interessante riflessione di Harue recita: “I fantasmi e le persone si eguagliano perché queste ultime, perdendo la voglia di vivere, si svuotano e non fanno più niente".
Si evince quindi una interessante rilettura del fenomeno delle anime e dell'aldilà, sia in chiave fisica che metafisica. Durante il film il tutto viene spiegato gradualmente e con tempistiche piacevolmente calcolate seppur posso intendere che l’incedere lento e matematico delle situazioni percettivamente potrebbe aumentare la sensazione di lentezza. Un’altra lettura interessante di questo film è l’accostamento del menefreghismo della società nei confronti degli altri alla necessità dei protagonisti di farsi degli amici (Ryosuke) e mantenere tali relazioni (Kudo) che crea un interessante confronto con la nostra realtà.
Si evince quindi una interessante rilettura del fenomeno delle anime e dell'aldilà, sia in chiave fisica che metafisica. Durante il film il tutto viene spiegato gradualmente e con tempistiche piacevolmente calcolate seppur posso intendere che l’incedere lento e matematico delle situazioni percettivamente potrebbe aumentare la sensazione di lentezza. Un’altra lettura interessante di questo film è l’accostamento del menefreghismo della società nei confronti degli altri alla necessità dei protagonisti di farsi degli amici (Ryosuke) e mantenere tali relazioni (Kudo) che crea un interessante confronto con la nostra realtà.
1. Uno degli amici di Kudo entra in una stanza proibita e, durante l’esplorazione, scopre che il fantasma di una donna lo sta osservando dalla penombra di un sottoscala. Lui, impaurito, indietreggia verso un divano e ci si nasconde dietro. Nel mentre, il fantasma si dirige verso di lui con incedere moderato, claudicante e con un bizzarro movimento delle gambe come fosse una marcia militare. La telecamera poi passa a lui in prima persona osservando il lento sorgere delle mani poi del volto del fantasma, da sopra lo schienale del divano.
2. Verso la fine, Ryosuke torna dentro la fabbrica abbandonata per rifornire di benzina una tanica, lasciando Kudo in macchina ad aspettarlo. Il caso vuole che il coperchio della tanica cade rotolando verso un ufficio oramai non più sigillato dal nastro rosso e lui, pur cosciente di ciò a cui andava incontro, ci entra lo stesso. Qui fa la (macabra, oserei dire) conoscenza di un fantasma cosciente di esserlo (a differenza di tutti gli altri che sono dei semplici esseri persi nella loro solitudine che non fanno altro che chiedere di essere aiutati). Lui, riluttante (e stupido come pochi, oserei dire nuovamente), lo afferra per confermare la sua convinzione che i fantasmi non esistono ed invece… Subito dopo si allontana da egli e la presenza gli si avvicina con incedere lento ma inesorabile. La visuale ora è nella prima persona di Ryosuke e per un buon minuto almeno viene mostrato il suo lento cammino verso lo spettatore. In questo momento si prova una sensazione di ansia che esplode in terrore quando la faccia perennemente sfocata del fantasma si mostra chiara e nitida davanti alla telecamera.
PRO
+ Regia molto fredda e matematica ma efficace
+ Rilettura diversa e interessante del mondo delle anime e della loro interazione con la nostra realtà
+ In questo film non esistono jumpscares ma le scene clou fanno provare forti emozioni
+ Quasi tutte le scene fanno riflettere
CONTRO
- Ritmo monotono
CONTRO
- Ritmo monotono
- Tavolozza dei colori spenta
- Apparentemente lento
VERDETTO FINALE
In un racconto la cui vita e la morte ci vengono narrate come
tragicamente simili, il suicidio e l'isolamento sociale diventano
tematiche di ordine mondiale proprio con l’avvento di internet e
l’effimera fuga dal progresso non fa altro che metterci una fredda e
cinica benda sugli occhi.
ARTICOLO DI
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