“Caro Ruggero, questo sarà il tuo cavallo di battaglia, ma ti causerà gravi problemi con la giustizia!”
Sergio Leone in una lettera a Ruggero Deodato
Ci siamo già immersi in passato nel macabro universo dei Cannibal Movies, affrontando due dei film che più di tutti cercavano di distaccarsi dagli elementi più classici e tipici del genere, ovvero Apocalypse Domani di Antonio Margheriti e Antropophagus di Joe D’amato, che andavano ad abbandonare l’ambientazione esotica tipica dei capostipiti del (sotto)genere, per collocare le loro storie un un melieu più urbano e rurale.
Ed è tra questi capostipiti che troviamo il celeberrimo Cannibal Holocaust, uscito nel 1980 per la regia di Ruggero Deodato.
Un gruppo di video reporters vengono dati per dispersi dopo una spedizione nella Foresta Amazzonica. Un antropologo decide di andare alla ricerca dei giovani, probabilmente finiti nelle mani di un gruppo di tribù indigene che si dice professino il cannibalismo…
Un film censurato, odiato e massacrato da gran parte del pubblico medio per molteplici motivi, che paradossalmente hanno contribuito alla costruzione di un’aura “mitica” intorno al film, che sicuramente lo ha portato ad un successo incredibile, soprattutto negli ultimi anni, consacrandolo come cult assoluto fra le file degli appassionati e non.
Ma da dove proviene il successo del film?
Sicuramente ci sono varie motivazioni. Se intendiamo considerare la parola “successo” come un sinonimo di “popolarità”, per chi conosce la storia di quest’opera non sarà difficile trovare una risposta. Le violente uccisioni (reali) di diversi animali durante la produzione del film lo hanno portato numerose volte al centro dell’opinione pubblica, sia a quella contemporanea al film stesso che a quella dei giorni nostri, circondando la pellicola di un’atmosfera marcia e sinistra, dove anche il solo sentirne parlare riesce a provocare sensazioni di timore e disgusto.
Se invece ci limitiamo a considerare il successo nel suo significato più “tecnico”, allora possiamo tranquillamente dire che il film deve la sua fortuna alla messa in scena e gli espedienti narrativi estremamente rivoluzionari, sia per l’epoca che per i periodi più recenti. La narrazione è radicalmente divisa in due parti, con la prima totalmente incentrata sulla ricerca di un gruppo di reporter misteriosamente scomparsi nel cuore della Foresta Amazzonica da parte di uno studioso universitario (salvo una piccola cornice iniziale realizzata seguendo gli stilemi di un servizio telegiornalistico), ed una seconda dove vediamo il girato della troupe che il ricercatore ha trovato tra i resti dei malcapitati.
È proprio con questo film che vediamo la nascita del “found-footage” che vedrà il suo boom alla fine nel primo decennio del 2000. Una sorta di manoscritto ritrovato adattato con gli stilemi della settima arte ed in maniera incredibilmente non acerbo. Deodato perfeziona già questo stilema narrativo alla prima opera in cui questo viene messo in atto, dotandolo di una coerenza ed un realismo che, senza alcun dubbio, non è riscontrabile in quasi nessun dei film più recenti che usufruiscono di questo stilema.
È interessante anche vedere come nel film non si voglia esclusivamente mettere in scena una violenza esclusivamente gratuita, ma si voglia anche far riflettere lo spettatore sulla reale o meno “superiorità” dell’uomo occidentale nei confronti di una popolazione retrograda e primitiva, dove anche solo la presenza di un minimo senso di giustizia sembra un traguardo epocale. La brutalità dei reporter, che si scoprirà avere come unico scopo quello di mettere in scena una falsa guerra fra tribù uccidendo uomini donne e bambini in nome di un sensazionalismo spicciolo, e di conseguenza la brutalità di una società estremamente arrivista pronta anche ad uccidere chi consideriamo “meno degno di vivere” perché facente parte di una realtà a sua volta violenta che non riusciamo ad accettare per via dei nostri (pseudo) valori. Crediamo di essere migliori, di far parte di una società migliore e di possedere ideali migliori che ci spingono a considerare (non a caso) animali quelli che in realtà sono esseri umani con una loro dignità. La bellissima scena di sesso dei due protagonisti di fronte agli indigeni superstiti è la summa di queste considerazioni. Loro non sono come noi, quindi non esiste un senso del pudore che dobbiamo rispettare come facciamo normalmente con i membri della nostra medesima società. Sarà poi la sete di vendetta degli indigeni che riequilibrerà il tutto, dove la realtà di un’altra società, quella primitiva e figlia delle, a loro volta, primitive leggi della natura, distrugge la finzione costruita a tavolino dai nostri, una messa in scena da impacchettare e vendere al grande pubblico.
La dura realtà che supera la finzione.
È nel film nel film, girato in 16mm, proprio per voler marcare ancora di più la differenza fra “finzione” (35mm) e “realtà” (“realtà” comunque fasulla, almeno in parte) che troviamo la maggior parte delle celeberrime e criticatissime scene degli animali, prima fra tutte la scena della tartaruga, dove le (bellissime) composizioni musicali del grande Riz Ortolani accompagnano la scena con suoni sinistri che riescono a trasmettere nello spettatore una sensazioni di profondo disagio. Questo modo totalmente “porn” nel mettere in scena le uccisioni e, a volte, gli smembramenti che molti potrebbero trovare (anche comprensibilmente) inaccettabili, accompagnate da un uso magistrale degli effetti speciali pratici (di Aldo Gasparri) e dal realismo della ripresa (apparentemente) amatoriale, contribuiscono a far trasparire un senso di realismo generale nello spettatore, che riescono a rendere estremamente credibili le scene più horrorifiche che ci apprestiamo a vedere. Altre intuizioni geniali, come ad esempio la scena in cui vediamo una ripresa sbagliata dai cameramen perché “il diaframma non era sufficientemente aperto” sono messe in scena proprio in funzione di questa continua e definitiva ricerca del realismo. E non è un caso, quindi, che nel film troviamo riprese documentaristiche vere e proprie che riprendono le abitudini reali degli indigeni del luogo (come l’uccisione delle scimmiette), o la presenza di caimani e giaguari all’interno della foresta. È probabilmente la prima volta che nel Cinema vediamo un così convincente tentativo di simulare la realtà, portando nello spettatore una sensazione di profondo malessere, quasi una complicità nel vedere un qualcosa di così scorretto e disgustoso, esattamente come quando guarda un reale snuff movie su Bestgore.com.
Non è un caso che lo stesso Deodato affermò, in una breve conversazione al Fi-Pi-Li Horror Festival 2018 con me e un altro gruppo ristretto di persone:
“Quando chiedo a qualcuno cosa è peggio guardare tra un video dell’uccisione di un ostaggio da parte dell’ISIS e Cannibal Holocaust quasi tutti rispondono Cannibal Holocaust”
La realtà che supera la finzione. Ancora una volta.
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