Era il 1981 quando un allora ventiduenne Sam Raimi debuttava
nel mondo del cinema con "The Evil Dead", un film che lasciò un segno profondo
nella storia del genere horror di stampo splatter e che diede inizio a una
trilogia memorabile nonostante le difficoltà prima di produzione e poi di
distribuzione, tra censure e rallentamenti(basti pensare che il film arrivò in
Italia dopo tre anni dalla sua uscita con il titolo di "La Casa").
IL REGISTA
Prima di analizzare un film di tale portata però, dobbiamo
conoscere la mente che lo ha realizzato. Quarto di cinque figli, Sam Raimi
coltiva fin da piccolo la sua passione per il cinema ed è proprio grazie a
questa passione che incontrerà tra i banchi di scuola del liceo uno dei suoi
amici e collaboratori più stretti, l’attore Bruce Campbell. Nel 1975, quando
suo padre gli comprò una cinepresa, cominciò a dedicarsi alla regia e, assieme
all’amico Campbell, realizzò nel giro di appena tre anni circa una cinquantina
di cortometraggi in formato super 8mm, nei quali venivano coinvolti anche i
fratelli di Raimi e alcuni amici.
Durante i primi mesi alla Michigan State University, i due
amici conobbero Robert Tapert, futuro produttore esecutivo della trilogia, che
li portò a una scelta decisiva: realizzare un corto da presentare a possibili
investitori per finanziare i film successivi.
Fu così che nacque "Whitin the Woods", il corto che pose le
basi per la storia di "The Evil Dead", considerato dagli amanti della trilogia
come una sorta di prologo. L’idea per il corto nacque mentre Raimi preparava un
compito di letteratura che prevedeva lo studio di un libro dei morti egiziano,
che in seguito avrebbe ispirato, assieme alle opere di Lovecraft, il
Necronomicon che compare nella trilogia. La storia segue a grandi linee quella
del primo film sebbene ci siano dei cambiamenti come il numero e i nomi dei
protagonisti e l’oggetto che evoca le forze del male, ovvero un coltello
appartenuto a uno stregone indiano la cui tomba viene profanata da Campbell. A
causa del budget di appena 1.600 dollari, il copione fu riscritto più volte da
Raimi fino ad essere ridotto a circa dieci pagine e molte delle scene, che poi
sarebbero state riprese nel film, non furono provate ma improvvisate dal cast,
come la scena in cui Campbell si stacca una mano a morsi o l’inquietante e
iconico “join us...” dei demoni, pronunciato sempre da Campbell nel corto.
Gli effetti speciali, nonostante la cura di Tom Sullivan,
che lavorò anche al primo film della trilogia, erano rozzi e causarono alcuni problemi a Bruce
Campbell, che soffrì di irritazione cutanea per le maschere in lattice.
Il corto venne proiettato in un cinema locale nel 1978
accanto a "The Rocky Horror Picture Show" e fu ben apprezzato dalla critica,
consentendo a Raimi di raccogliere i fondi necessari per produrre "The Evil
Dead".
Nel corso degli anni, il corto, nonostante la sua importanza
nella creazione del film, è stato distribuito tra i fan della trilogia tramite
bootleg di VHS e DVD e Raimi non ha mai reclamato il diritto d’autore su di
esso. L’unica volta in cui si tentò di realizzare una release ufficiale fu nel
2002, quando la casa di distribuzione Anchor Bay si apprestava a realizzare
un’edizione speciale di "The Evil Dead". Il corto, restaurato, doveva figurare
tra i contenuti extra del DVD ma la release non andò in porto a causa della
musica contenuta al suo interno, che faceva parte della colonna sonora di Death
Wish (titolo italiano Il giustiziere della notte) del 1974.
Per finanziare e produrre "The Evil Dead", allora chiamato
“Book of Dead”, però, gli incassi del corto non erano sufficienti, e Campbell
e Raimi furono costretti a chiedere aiuto a tutte le loro conoscenze: ciò portò
al coinvolgimento del già citato produttore ed amico Robert Tapert e di Phil
Gillis, l’avvocato di un amico di Raimi, che offrì preziosi consigli in ambito
legale.
Inizialmente le riprese si sarebbero dovute svolgere nella
città natale di Raimi, Royal Oak, ma in seguito si optò per Morristown,
collocata nel Tennessee, unico stato a non mostrarsi avverso al progetto. Il
team di produzione fu costretto a risiedere in una piccola baita lontana dalla
città e, come è facile immaginare, le condizioni non erano delle migliori: date
le dimensioni ridotte dell’abitacolo, i membri della crew erano costretti a
dormire in gran numero nella stessa stanza, era difficile ottenere assistenza
sanitaria a causa della distanza dalla città e, come prevedibile, sorsero svariati litigi che rischiarono di compromettere in maniera definitiva il
progetto.
PRODUZIONE
Le riprese furono altrettanto difficili: gli attori subirono
più volte infortuni a causa dei mezzi limitati a disposizione, come
lenti a contatto troppo spesse che causarono irritazioni oculari, la maschera
che strappò le ciglia di Betsy Baker (Linda) nel processo di rimozione o le
molteplici occasioni in cui gli attori vennero involontariamente pugnalati.
Altro grande problema fu il freddo gelido che sopraggiungeva durante la notte,
che negli ultimi giorni di riprese costrinse il team a bruciare quasi tutti i
mobili della casa.
Raimi sfruttò lo stress nato da questi imprevisti, talvolta
anche intenzionalmente incrementando la sofferenza provata dagli attori
(emblematico è l’episodio che lo vede punzecchiare con un ramoscello una
ferita riportata da Campbell durante le riprese), per rendere il comportamento
dei personaggi del film più realistico; secondo il regista, infatti, il dolore
e l’infelicità provati si traducevano perfettamente in un ottimo film horror.
DISTRIBUZIONE
La prima cut del film durava 117 minuti e comprendeva molte
scene in cui i personaggi lamentavano di non aver potuto salvare le vittime,
ma, poiché la pellicola fu reputata troppo deprimente e cupa, le scene vennero
rimosse e la durata del film ridotta a 85 minuti. A causa della scarsa qualità
dell’audio molti dei suoni dovettero essere nuovamente registrati in studio,
come le urla di Campbell e il suono della carne mutilata, ottenuto pugnalando
carcasse di polli.
"The Evil Dead" apparve dal nulla in qualche cinema degli Stati Uniti nel 1981 e si ripropose l’anno dopo nella parte meno abbiente e chic del festival di Cannes
grazie agli sforzi del produttore e pubblicitario Irvin Shapiro, che era stato
convinto dalla creatività con cui il giovane Raimi lo aveva confezionato. La
maggior parte delle poche persone che in quell’occasione assistettero alle
proiezioni rimase disgustata, e si aggregò alla cerchia dei detrattori che
invitavano a boicottarlo sin dai primi e limitati screening statunitensi (gli
stessi che lo avrebbero portato ad essere inserito nelle liste di proscrizione
dei cosiddetti video nasties, cioè film scandalosi di cui molte organizzazioni
criticavano la distribuzione tanto da richiederne la censura più totale). La
maggior parte a eccezione del celebre scrittore Stephen King, che rimase
talmente estasiato dalla visione da definirlo ‘’il più ferocemente originale
film horror dell’anno’’; un epiteto che, prontamente riportato su tutte le
successive locandine e confezioni delle VHS, garantì letteralmente una seconda
vita alla pellicola e la aiutò a diffondersi per poi diventare un film di
culto. Oggi risulta abbastanza difficile parlare di "The Evil Dead"
senza farsi
influenzare dall’immensa eredità culturale che si trascina appresso.
IL PROTAGONISTA
Ormai sono pochi a non conoscere Ash Williams, el Jefe, lo
sterminatore di demoni annunciato dalla profezia armato di frasi a effetto,
motosega e bastone di tuono. Eppure la particolarità di questo piccolo b-movie
girato nel corso di più di un anno con un budget, un cast e un’equipe rimediati
è proprio quella di essere molto diverso dai suoi successori che lo
consacreranno e lo renderanno ancor più immortale. Non è una commedia nera
bensì un horror apparentemente canonico dall’ambientazione molto classica, in
cui lo spettatore non viene risparmiato da improvvise esplosioni splatter
pirotecniche o da momenti incredibilmente disturbanti. Non è la storia di un
osso duro che massacra non-morti, ma quella di un protagonista (che in questo
primo film viene addirittura chiamato Ashley, nome ambigenere) timido e
impacciato, che trova difficoltà a difendersi dai suoi mostruosi aggressori e
spesso rimane impietrito anziché contrattaccare.
Il primo impatto per qualcuno che non lo conosce, alla luce
della popolarità dei futuri componenti della saga, può essere spiazzante.
Dunque in cosa risiede la forza di un film realizzato con così pochi mezzi, e
che si rifà ad un immaginario sfruttato al massimo nel mondo dell’horror? Tanto
per cominciare nell’applicazione pratica del detto il meno è di più; furono
impiegate diverse controfigure, i fake shemp, a sostituire gli attori una volta
che erano state portate a termine le riprese principali. Raimi e co. avranno
pure avuto un budget modesto, e un ambiente lavorativo alquanto disagiante
(quando la crew si recò per la prima volta alla baita, la trovò ridotta in
condizioni disastrose: i pavimenti erano ricoperti di detriti ed escrementi di
animali, dunque dovettero persino ristrutturarla) ma si impegnarono per rendere
ogni minuto di girato al meglio, tant’è che anche per le scene più brevi
vennero eseguiti decine, se non centinaia, di take diversi. Oltretutto è
affascinante l’occhio con cui Raimi ci immerge in questo mondo: una prospettiva
generalmente intima, limitata (ad esempio inquadrando la scena da sotto dei
vecchi scalini, o dall’angolo di uno stanzino) che contemporaneamente va alla
ricerca di una visione più globale, impegnandosi a raccogliere più dettagli ed
elementi possibili per permetterci di ricostruire perfettamente il settting e
calarci a pieno in esso.
Come si fa a non conoscere la storia de "La Casa"? È il
classico racconto dell’orrore di un gruppo di studenti universitari che si
ritira in cerca di un po’ di quiete in un luogo isolato, le fitte foreste del
Tennessee, per poi rimanere intrappolato in un terribile incubo. Non appena
Ashley, Cheryl, Scotty, Linda e Shelly (tutti personaggi interpretati da attori
giovanissimi, alcuni dei quali vennero reclutati semplicemente perché amici del
regista o dei produttori, con scarsa esperienza alle spalle e convinti che
questo horror come tanti non sarebbe stato visto da nessuno) raggiungono la
cabina iniziano a percepire da subito la strana aura che la circonda.
L’atmosfera di tranquillità e di allegria iniziale di cui godono i ragazzi
viene minata da una sensazione di pericolo, di timore, che si instaura nello
spettatore a causa di alcuni momenti ambigui: come il ponte pericolante, o i
passanti che continuano a salutare in modo macchinoso e innaturale la mitica
Oldsmobile 88 del ‘73, tanto cara al regista.
Questa bipolarità tonale opprimente viene sottolineata dalla fotografia
sporca e polverosa, di cui si occupò Tim Philo, sempre alla ricerca della
penombra degli anfratti del minaccioso chalet che accoglie le sue vittime con
il lieve ma incessante battere suscitato dal vento della panca in legno della
veranda.
Non solo nel primo atto, ma in tutto il corso del film sarà
forte la componente horror ambientale dal gusto un po’ gotico: ricordiamo le
meravigliose scene ambientate nel buio pesto del bosco nebbioso, con la luna
alta nel cielo che si tinge di nero. Tutto questo porta i personaggi, e noi che
ci caliamo nei loro panni, a sentirsi terribilmente osservati dal disteso nulla
che li circonda. Quando una botola sul pavimento dello chalet si spalanca da sé
attira l’attenzione dei ragazzi che esplorano lo scantinato sottostante e tra
le tante cianfrusaglie trovano uno strano libro, un raccapricciante pugnale
sacrificale e un registratore (e un poster logoro de ‘’Le colline hanno gli
occhi’’, film del 1977 di Wes Craven!).
Sfogliando le pagine del libro e ascoltando la registrazione
scoprono il suo macabro contenuto: questo testo si chiama Naturom Demonto (solo
successivamente assumerà il più celebre nome di Necronomicon-ex mortis) ed è
uno scritto sumero rilegato in pelle umana, e inchiostrato col sangue, che tratta
di magia nera e di incantesimi per resuscitare i demoni. A questo punto la voce
registrata dell’archeologo responsabile del suo ritrovamento recita i criptici
passaggi e risveglia qualcosa che era vivo, ma assopito, nella foresta
permettendogli di entrare in contatto con il nostro mondo possedendo i viventi:
il demone kandariano. Da questo momento, lo spirito malvagio inizierà a
tormentare i giovani nelle maniere più terribili e reclamerà le loro anime una
dopo l’altra... o quasi. Quella del primo lungometraggio di Raimi, Campbell e
Tapert è una storia che si veste di vari cliché del genere ma, nonostante
fossero già motivi ripetuti al tempo, è riuscito nel compito di farli propri e
reinventarli diventando l’archetipo che è oggi.
Il punto forte della pellicola è senza dubbio il modo
innovativo ed incredibilmente semplice con cui il regista mette in scena la
prospettiva in prima persona del demone che, un po’ alla maniera spielbergiana,
corre furibondo tra i boschi, abbattendo alberi e sfondando porte senza mai
rivelarsi. La crudele entità e le sue manifestazioni fisiche, i deadite,
tortureranno il nostro protagonista nei modi più folli e sadici portandolo
sull’orlo di un crollo nervoso in più di un’occasione (va citata la
meravigliosa scena ambientata nella cantina, in cui un Ashley terrorizzato
viene accolto da litri di sangue che grondano dai tubi e dalle prese
elettriche, e da proiettori e giradischi che si azionano da soli coronando con
luci sgargianti e musiche gioiose una delle sequenze dell’orrore meglio
riuscite di tutto il film).
LA SCENA DEI RAMI
Tra le scene più iconiche e scioccanti del capolavoro di Sam
Raimi c’è sicuramente quella dell’attacco/stupro a Cheryl Williams,
interpretata da Ellen Sandweiss, ad opera dei rami posseduti dall’entità. Una
scena che rimane impressa nella mente dello spettatore, tanto semplice quanto
inaspettata, nonché tra le più amate e geniali sequenze mai concepite nel
cinema horror. La sorella di Ash, avendo percepito la presenza di qualcuno
fuori dalla baita, esce per controllare.
È notte fonda, la luna è piena e la nebbia aleggia nell’aria
come un fantasma. Si sente l’ululato di un lupo, l’atmosfera è tetra e
sinistra. Cheryl si addentra nel fitto e lugubre bosco, indossa solo una
vestaglia bianca. È come se qualcosa la stesse chiamando, come se fosse
inconsciamente ipnotizzata da un’entità che l’ha spinta ad uscire allo scoperto
per farle del male. La ragazza è spaventata, sa che là fuori c’è qualcuno. “Vi
ho sentito! Vi ho sentito nella cantina!”, esclama Cheryl. L’unica risposta che
ottiene sono dei fragorosi rumori di alberi spezzati e inquietanti lamenti
provenire dall’oscurità del bosco. Qualcosa si sta avvicinando; non sappiamo
cosa sia, ne percepiamo solo il minaccioso incedere suggerito dall’uso della
soggettiva, una tecnica che Raimi renderà molto personale e riconoscibile.
L’entità stradica gli alberi al suo passaggio, Cheryl urla di terrore. È sempre
più vicina, qualunque cosa sia. La musica si alza, la ragazza sgrana gli occhi
e si guarda attorno. Di nuovo silenzio, poi ancora soggettiva. Sta arrivando.
Il male si manifesta, inaspettatamente, sottoforma di semplici rami di alberi;
rami che cominciano ad animarsi e a prendere vita, posseduti da qualcosa di
soprannaturale.
I rampicanti si avvinghiano a Cheryl come un serpente con la preda: prima le gambe, poi le braccia, le mani e infine il collo. Cheryl
grida, è terrorizzata, ma le sue urla si perdono nell’immensità del bosco. La
ragazza cerca un contatto che possa darle un minimo di protezione; si aggrappa
ad un fusto, lo stringe con forza e lo usa come appiglio. Poi, i rami
cominciano a strapparle la vestaglia bianca, in preda ad un’innaturale
eccitazione. Il bianco, simbolo della purezza e dell’innocenza, strappato via
dal corpo di una giovane fanciulla indifesa. L’indumento viene squarciato e
trascinato via da questo maniaco invisibile.
Cheryl rimane con le gambe scoperte e la pelle nuda esposta.
I rami la graffiano come artigli di strega, ferendola con violenza. Il sangue
comincia a scorrere. Poi le si avvinghiano alle caviglie, strattonandola e
facendole perdere la stretta dal fusto. Cheryl, con un tonfo, cade a terra
sdraiata sulle umide foglie autunnali. È sola, inerme, spaventata. L’entità ha
preso il pieno possesso del suo corpo, può fare di lei ciò che vuole. I
rampicanti le si avvinghiano addosso, la loro forza è micidiale. Cheryl cerca
di lottare e di strapparseli da dosso, invano. Poi, un ramo lungo e sottile
striscia verso la sua gamba destra come un pitone alla ricerca della preda. Le
si avvinghia sulla coscia tenendola ben salda, in modo che non possa dimenarsi.
Anche le mani di Cheryl sono strette tra di loro e incapaci di compiere
qualsiasi movimento. Le braccia le vengono allargate con violenza e distese sul
terreno. È in una posizione quasi cristologica, simile a quella di Gesù nel
momento in cui è stato crocifisso. Un ramo si avvolge al seno nudo della
ragazza, altri due le avanzano sulle cosce. Poi, con orrore, Cheryl alza la
testa e osserva davanti a sé, con gli occhi sgranati e increduli: i rami cominciano
ad allargarle le gambe, sempre di più, sempre di più.
Ormai, sia Cheryl che lo spettatore hanno capito cosa
accadrà, la tensione è sempre più palpabile. La macchina da presa percorre le
gambe di Cheryl fino a inquadrarla per intero, con le gambe ormai spalancate.
Come un fulmine, uno spesso ramo le si conficca negli organi genitali e Raimi
mette in scena quella che è, a tutti gli effetti, una vera e propria violenza
carnale. La natura che prende possesso di un corpo femminile e che domina
l’essere umano. Cheryl è scioccata, le sue urla miste a gemiti sono
terrificanti e mettono a disagio lo spettatore. La nebbia è onnipresente come
una sorta di Provvidenza oscura incapace di intervenire. Poi, finalmente,
Cheryl usa tutta la forza che ha in corpo e riesce a liberarsi dalla stretta
dei rami; comincia a scappare verso lo chalet, in cerca di aiuto e inseguita
dall’entità. Ovviamente, non sa ancora che il male le si è insinuato nel corpo
e nell’anima, come se, tramite questa violenza, i rami avessero piantato in lei
il seme del demonio.
È una scena importante in quanto si tratta del primo, vero
contatto tra uno dei protagonisti e l’entità demoniaca che si aggira per i
boschi. È il momento in cui la presenza colpisce per la prima volta rivelando
la sua natura soprannaturale e palesandosi agli occhi della povera Cheryl,
vittima impotente di questo attacco, sottoforma di rami senzienti. È una
sequenza spiazzante per vari motivi: fin dall’inizio del film, Raimi lascia
intendere che qualcosa si aggiri per i boschi grazie all’innovativa tecnica sopracitata della soggettiva. Questa “Forza”
(come la definisce Bruce Campbell) non si mostrerà mai per quello che è
realmente, ma si manifesta prendendo possesso dei corpi umani; i rami sono
dunque la prima, vera manifestazione tangibile dell’entità. Inoltre, nessuno,
prima d’ora, aveva mai realizzato una sequenza di violenza carnale così atipica
ed estrema, in grado di sconvolgere per la sua rozzezza ed imprevedibilità. La
natura che domina l’essere umano (e non il contrario, come radicato nella società moderna) e che addirittura lo viola a livello sessuale. Non a
caso, fu una scena che, all’uscita del film, fece molto scalpore e che scioccò
gran parte del pubblico, soprattutto quello femminile. Lo stesso Sam Raimi ha
ammesso che è il momento del film che ha fatto etichettare lui e il suo team
come dei “folli” e che ha spinto diverse persone ad abbandonare la sala.
È una scena che Raimi riprenderà, in maniera più dinamica ed
edulcorata, nel suo "La Casa 2" e che verrà rielaborata anche da Fede Alvarez
nell’ottimo remake del 2013. A differenza dei suoi due seguiti, molto più
umoristici e cartooneschi, il primo "La Casa" è un horror sporco, cupo e
cattivo, e questa scena ne è forse l’esempio per eccellenza. Questa sequenza
venne in mente a Robert Tapert, storico produttore della saga e amico di Raimi,
che venne ispirato da una scena del Macbeth di Shakespeare. La scena in
questione è quella in cui i soldati di Macduff e del figlio di Duncan si
mimetizzano con i rami tagliati dalla foresta di Birnam, per far credere a
Macbeth che il bosco abbia preso vista e si stia scagliando contro di lui, come
profetizzato dalle streghe. È una scena che Raimi e Tapert avevano già
inserito, in maniera più semplice ed embrionale, nel corto “Within the Woods”.
La scena del film è dunque una versione più strutturata, estesa e curata di
quella del corto.
È una sequenza realizzata con tecniche semplici e
artigianali (come d’altronde tutto il film), eppure, ancora oggi, è
estremamente potente e in grado di far provare allo spettatore un senso di
disagio e tensione molto forti. I rami che si avvinghiano al corpo di Cheryl
vennero ripresi a marcia indietro e la pellicola venne poi riavvolta in fase di
montaggio per dare l’effetto di rampicanti vivi e in grado di muoversi; alcuni,
invece, furono mossi grazie a dei fili. Uno degli aspetti più incisivi del film
è il reparto sonoro, curatissimo e onnipresente in tutta la pellicola: da
quella sorta di ronzio spettrale emesso dall’entità durante le sue marce
notturne, agli alberi che si spezzano durante il passaggio della presenza fino
alla colonna sonora vera e propria composta da Joseph LoDuca, "Evil Dead" è un
concentrato di suoni e rumori terrificanti, e questa scena non fa eccezione.
Raimi si inventò alcuni trucchetti sonori per rendere la scena più incisiva: ad
esempio, quando i rami colpiscono con violenza Cheryl, quelli che si sentono in
sottofondo sono rumori di frusta. Per Ellen Sandweiss questa scena fu particolarmente
faticosa e stressante, in quanto i rami la graffiarono veramente, cosa che non
dovrebbe stupire visto il modo in cui vennero trattati gli attori di cui
abbiamo precedentemente discusso, e fu costretta a girare all’aperto, in mezzo
al bosco, vestita con abiti leggeri nonostante il freddo.
CREW E TECNICA
Tuttavia, l’intero cast ricorda con estremo piacere
l’esperienza sul set. "La Casa" è anche e soprattutto questo: la sua
realizzazione è una vera e propria epopea diventata simbolo della volontà,
della fantasia e della capacità di realizzare con pochissimi mezzi a
disposizione e condizioni di riprese estreme un capolavoro divenuto
leggendario. Quel geniaccio di Sam Raimi ha creato un caposaldo divenuto
d’ispirazione per tutte le generazioni future, che ha spianato la strada ad una
serie infinita di imitazioni e omaggi da parte di cineasti che, motivati da
questo film, si sono messi in gioco realizzando opere a bassissimo budget ma
ricche di inventiva.
La scena dei rami è solo una delle tante invenzioni di questo
straordinario regista, capace di affermarsi come autore poliedrico, fantasioso,
folle e visionario. Non a caso, è anche una delle scene preferite di sua maestà
Bruce Campbell in persona. Groovy!
Da sottolineare anche il comparto degli effetti speciali ed
il make-up, ad opera di Tom Sullivan, che risultano abbastanza dozzinali;
questo però è giustificabile per le grandi limitazioni con cui l’artista era
costretto a convivere e lavorare. Anche la romance che viene creata tra Ashley
e Linda, nell’economia del film, risulta abbastanza irrilevante e sarà
decisamente più esplorata nei sequel (una storia d’amore che oltretutto non
viene incentivata dalle loro mediocri capacità attoriali).
La parte finale è sicuramente la migliore del film, quella
più ansiogena ed emozionante. Qui sia il Campbell che il Raimi ventenne, al
tempo ancora lontani da essere i signori rispettivamente dei b-movie e del
cinema fantastico, hanno i loro guizzi migliori e insieme danno vita a delle
sequenze al cardiopalma in cui emerge finalmente lo stile ipercinetico
distintivo di Sam Raimi che valorizza le incredibili reazioni di Bruce
Campbell, che cerca di sopravvivere alle deliranti angherie dei suoi aguzzini
in un climax di terrore e di violenza esagerata. Probabilmente, quello che ha
reso così influente "The Evil Dead" è soprattutto lo speranzoso messaggio che
rappresenta nel settore: un lavoro realizzato da delle persone qualunque, prive
di qualsiasi tipo di esperienza professionale, che sono state in grado di
produrre un film con meno di 400’000$ e di fargliene incassare molti di più,
rendendolo anche leggendaria fonte di ispirazione per i cineasti a venire.
Il successo del film fu immediato specialmente in due paesi
emblematici per comprenderne sia l'impatto che l'eredità: Inghilterra ed
Italia. Nel primo, all'alba dell'arcinoto, e già menzionato, Video Recordings Act 1984 del
Parlamento riguardo la controversia dei Video Nasties, film rimossi
per decenni dagli scaffali britannici, venne rimosso quasi un intero minuto di
"The Evil Dead" dalla British Board of Film Classification prima che
l'opera potesse essere proiettata nei cinema del paese, rigorosamente, con un
divieto di 18 anni all'ingresso, procedura tutt'ora applicata ai film di genere nell'isola britannica. Come ricorda nel 2008 Tom Sullivan in una mailindirizzata al critico J. C. Macek III, però, il rischio era decisamente
maggiore ed il regista e l'effettista riuscirono a terminare la promozione
della pellicola giusto in tempo: "Sentimmo della controversia dei Video
Nasty e che vi era stato un raid di polizia armata in un negozio di noleggio
della linea Mom and Pop per rimuovere "The Evil Dead" dal territorio
inglese. Whew! Fortunatamente siamo scappati vivi eppure l'Inghilterra ebbe il
sopravvento!"
Va ricordato che, anche il sequel, di cui parleremo presto,
ricevette un trattamento simile, venendo vietato ai minori sia in UK che in
USA, ma non Italia dove viene vietato solo ai minori di 13 anni non
accompagnati.
I SEQUEL APOCRIFI
Proprio nel panorama dell'uscita di questa pellicola, a
causa del successo immenso delle due opere di Sam Raimi sul territorio
italiano, il produttore Joe D'Amato, già noto per aver girato "Zombie
5" e "Zombie 6" prima che il 3 ed il 4 fossero addirittura in
cantiere, decise che era ora che un terzo capitolo della saga avesse la luce,
lucrando sul successo del franchise de "La Casa", producendone un
secondo sequel apocrifo, spacciato, come consono, come ufficiale. Umberto Lenzi
diresse, dunque, quel disastro che fu "La Casa 3" nel 1988, non
avendo, probabilmente, nemmeno ben chiaro a che film si stesse rifacendo e
sembrando riprendere più "Poltergeist" e la bistrattata saga
"House" che il film di cui si spacciava seguito. Il film, in seguito
rilasciato come "Ghosthouse", fu un tale insuccesso di pubblico e
critica che, invece di ricorrere a pseudonimi come solito, sia il regista che
il produttore si dissociarono costringendo la rimozione dei loro nomi dai
crediti dell'opera.
Ci volle solo un anno, ed una distribuzione della pellicola
con il titolo di "The Hitcher 2", per far sì che D'Amato e Lenzi
tornassero a mungere la mucca di "The Evil Dead" con un "La Casa
4" che, oramai, nemmeno più tentava di ricordare il film da cui traeva il
titolo. Tra David Hasselhoff, Leslie Cumming (che, a parte aver lavorato in
"Zombie 5" non prese mai parte a nessun'altra produzione per il resto
della sua vita) ed ad un'oramai adulta Linda Blair, nuovamente posseduta da
demoni come ne "L'esorcista" che la rese un'icona del genere, il film
spostò il suo focus su un hotel in un'isola sperduta, ricordando, molto, molto,
lontanamente, le atmosfere dell'immenso "Shining" di Kubrick,
soddisfacendo a sufficienza D'Amato che, a questo giro, seppur con lo pseudonimo
di John Hancock, non si dissociò del tutto dalla produzione.
Se tutta l'operasse non risultasse ridicola a sufficienza,
nel 1990, ergo solo un dopo anno dall'ennesimo sequel apocrifo, D'Amato, unito
al team creativo dietro il "miglior peggior film di sempre" "Troll 2",
ossia Rossella Druidi e Claudio Fragasso, firmò "La Casa 5",
distribuito anche come "House 5", nella speranza di accalappiare
ignari ed ingenui fan di entrambe le serie. Quest'ultimo franchise, inoltre,
venne collegato in Italia al franchise di Sam Raimi quando "House II: The
Second Story" venne rilasciato come "La Casa 6" (e successivamente ridisttibuito come "La casa di Helen"). Inutile dire
che anche un "La Casa 7" ebbe luce, solo nella nostra penisola, come
adattamento di "The Horror Show" con tanto di sottotitolo "Evil
Dead 7" e, se non fosse abbastanza confusionario in questo modo,
ridistribuito come "La Casa III".
L'impatto del film fu però tale da generare un vero e
proprio filone di film, slegati da sequel apocrifi di dubbio gusto, come
"Splatters - Gli schizzacervelli" di Peter Jackson che, apertamente,
si risolve a "The Evil Dead" come un punto di partenza, riconoscendone
l'impatto decisivo nell'affermazione del genere splatter nel mercato mainstream
dell'horror. Anche l'ambientazione di una baita sperduta nei boschi divenne un
caposaldo dell'horror da quel momento, riutilizzato in film come "Cabin
Fever", "Lake Nowhere" o "Tucker and Dale vs. Evil" e,
venendo addirittura scelto come location di "Una casa nel bosco",
un'opera metacinematografica che si fa beffa di ogni cliché del genere. Anche
elementi stessi dell'opera vennero ripresi in altre produzioni, a partire dal
concetto stesso di deadite, di pugnale kandariano e di deadite in "Jason
va all'Inferno" dove proprio il killer titolare torna in vita come
quest'ultimo. Il libro di matrice lovecraftiana, con lo stesso design di quello
che sfoggia nell'opera di Raimi, farà poi capolino anche in "Pumpkinhead
2: Blood Wings", ed in numerose altre produzioni horror, divenendo
l'interpretazione per antonomasia del fittizio libro dell'arabo pazzo Abdul
Alhazred che faceva da collante dei vari racconti di H. P. Lovecraft e degli
autori che lo seguirono.
PRE-PRODUZIONE DEL SEQUEL
Lasciandoci alle spalle queste farneticazioni su opere
derivate e sequel dal dubbio gusto, sia etico che non, giungiamo, finalmente, a
trattare dei reali seguiti dell'opera di Raimi inevitabilmente menzionati,
seppur solo brevemente, precedentemente. Già dalle riprese di "The Evil
Dead" e ancor di più dopo il grande successo recepito, infatti, Raimi
prese subito in considerazione l’idea di realizzarne un seguito nel quale il
nostro Ash veniva inghiottito da un tunnel spazio-temporale ritrovandosi
catapultato nel Medioevo; un’idea, questa, che Raimi decide di accantonare per
un futuro non eccessivamente prossimo, preferendo dedicarsi ad altri progetti
originali. Nel 1985 esce "Crimewave", la sua seconda opera come regista, una
commedia-noir prodotta dai Fratelli Coen, che si rivelerà un completo flop al
botteghino statunitense. Questo deludente risultato porterà il regista di Royal
Oak a dedicarsi completamente ad un progetto quasi esente da rischi, ovvero al
suo tanto agognato "Evil Dead II".
Dino de Laurentiis si dichiara interessato al progetto su
consiglio di Stephen King, che come sappiamo aveva tanto aveva apprezzato il primo capitolo, non
riuscendosi a procurare (o non volendosi procurare) la somma richiesta da
Raimi. L’idea del film in costume ambientato nel Medioevo dovette quindi essere
accantonata in favore di un più semplice seguito diretto del primo film,
ambientato nella medesima location di sei anni prima.
LA CASA 2
Per la scrittura di soggetto e sceneggiatura, il regista si
appoggiò ad il suo vecchio amico Scott Spiegel, col quale aveva collaborato in
gioventù per la produzione di alcuni cortometraggi di carattere comico. Sarà
proprio questo, di conseguenza, lo spirito con il quale il secondo capitolo de
"La Casa" viene messo in scena, ovvero quello di una vera e propria
horror-comedy, senza tuttavia abbandonare le atmosfere lugubri e splatter del
precedente capitolo.
L'incipit del film è sicuramente particolare, ripercorrendo
in chiave sintetica gli avvenimenti del primo film cambiandone tuttavia il
risvolto finale. Da questo punto di vista "Evil Dead II" è, difatti, un seguito
non convenzionale, che cambia completamente gli episodi finali del primo
capitolo, offrendo allo spettatore un sequel che si svolge in un altro binario
temporale. Possiamo quindi dire che questo espediente potenzia in maniera netta
il totale cambio di tono che Raimi vuole dare a questo capitolo, in quanto si
va a separare dal precedente anche all’interno della diegesi stessa del film.
Tutti gli espedienti comici che si trovano all’interno del film, come ad
esempio la scena in cui Ash lotta contro la propria mano, sono frutto di
precedenti progetti dello stesso Spiegel, già messi in scena nei suoi
cortometraggi degli anni '70 e ‘80, come ad esempio The Attack of the Helping
Hand, al quale si ispira la sequenza sopra citata.
Grazie anche al budget estremamente superiore rispetto a
quello offerta regista per il primo "The Evil Dead", gli effetti speciali ovviamente
pratici di Hyde, Aupperle e Belohovek risultano estremamente convincenti e si
fondono bene con l'atmosfera cupa e surreale che si viene a creare nel film
durante la sua intera durata. La pellicola rappresenta anche una svolta, una
maturazione tecnica di Raimi, che qui adotta uno stile di regia molto meno
acerbo di quel adottato per la sua opera prima del 1981, notando una maggior
consapevolezza dietro la macchina da presa.
Nonostante una distribuzione non eccelsa, essendo il film
distribuito in soltanto 300 sale degli Stati Uniti, la pellicola riscuote un
bel successo al box office, gettando le basi per un eventuale terzo
capitolo.
È il 1993 e sono passati sei anni dall’uscita de "La Casa II".
Raimi, nel frattempo, aveva diretto "Darkman", uscito nel 1990 e che si era rivelato
un ottimo successo al botteghino contribuendo a lanciare ulteriormente la
carriera del giovane regista statunitense che, grazie ai fondi ottenuti, riesce
a farsi produrre il secondo seguito di "The Evil Dead", in modo da rispettare,
finalmente, quella che doveva essere l'idea originale del secondo episodio,
ovvero l’ambientazione medievale.
Un terzo capitolo era prevedibile anche grazie al finale di
"Evil Dead II", dove il nostro protagonista veniva catapultato nel 1300 aprendo di conseguenza le porte ad una storia interamente ambientata
in quel periodo storico, e dando così vita a Army of Darkness, titolo ben più
suggestivo di quello che sarebbe stato un banale "Evil Dead III". Esattamente
come era venuto tra il primo ed il secondo film, gli avvenimenti finali del
precedente vengono leggermente cambiati e riassunti durante i minuti iniziali.
L'ARMATA DELLE TENEBRE
La sceneggiatura del film venne avviata già durante la
preproduzione e la conseguente produzione di "Darkman", dove il regista decise di
contattare nuovamente Scott Spiegel, il quale però si trovava già impegnato
nella lavorazione de "La Recluta" di Clint Eastwood. Raimi, di conseguenza,
decise di affidarsi a suo fratello maggiore Ivan, già co-sceneggiatore dello
stesso "Darkman", che contribuì a questa evoluzione definitivamente comica della
serie, a partire anche dalla caratterizzazione di un Ash sempre meno ingenuo ma
bensì antieroe puro, dotato quindi di una personalità e di un carisma
assolutamente sopra le righe, rifacendosi ai protagonisti dei film action figli
della Nuova Hollywood, come ad esempio lo Snake Plissken di "1997: Fuga da New
York" di Carpenter, una caratteristica, questa, che già si era avuta in parte in
"La Casa II", puntando ulteriormente sulle “battute ad effetto” che
contribuiranno a portare la pellicola nella sua attuale dimensione di cult
assoluto e alla completa ribalta di Bruce Campbell come caratterista.
Sfruttando la ambientazione inedita de L’Armata delle
Tenebre, Raimi decide, inoltre, di omaggiare in maniera particolarmente
esplicita numerosi film classici del panorama fantastico/fantascientifico
hollywoodiano, come ad esempio Il Settimo Viaggio di Simbad, Gli Argonauti e
Conan il Barbaro, omaggiando il maestro Harryhausen anche nell’utilizzo degli
effetti speciali, in particolar modo nelle scene che utilizzano il metodo
Introvision.
Sebbene Dino De Laurentiis avesse dato praticamente carta
bianca al regista durante la lavorazione, in postproduzione la Universal non si
rivelò soddisfatta del finale pessimistico che il film aveva in origine, nel
quale Ash si risvegliava in un futuro post-apocalittico, avendo “dormito
troppo” a causa di un errato dosaggio della pozione in grado di riportarlo nel
presente. Alla base di questa decisione
vi era, probabilmente, il pessimo rapporto fra il produttore italiano e la casa
di produzione americana, nato per una diatriba sui diritti del personaggio di
Hannibal Lecter, che la Universal voleva acquistare per intero per un possibile
seguito de Il Silenzio degli Innocenti. Tuttavia, questo susseguirsi di eventi
contribuirono a rafforzare la mitologia interna della saga nel corso degli
anni, tanto che lo stesso Raimi arrivò a dichiarare di apprezzare la presenza
di due finali per lo stesso film, tanto da affermare come questo fatto fosse
come “…avere due universi paralleli nei quali in uno Bruce è fottuto, mentre
nell’altro è un eroe fuori di testa!”.
IL REMAKE E LA SERIE TV
Per esattamente vent’anni non si sono più trasposizioni
filmiche della saga, escludendo quelle apocrife, ovviamente, sino al 2013, quando
il regista uruguagio Fede Alvarez viene scelto per essere messo dietro la
macchina da presa del remake/reboot "Evil Dead", tornando ad un’atmosfera horror
pura, in linea con le esigenze del periodo. A differenza di altre operazioni di
rifacimento di classici dell’orrore avute nel corso di questi anni, quali
Halloween the Beginning di Rob Zombie o The Texas Chainsaw Massacre di Marcus Nispel, il film in questione non
cancella totalmente gli avvenimenti del film originale, ponendosi come una
sorta di sequel del film originale, un espediente già affrontato da Matthijs
van Heijningen per il suo La Cosa del 2011, il quale narra gli episodi avvenuto
in precedenza al capolavoro di Carpenter del 1982, e quindi collegandosi
nettamente alla sua opera originaria.
Tuttavia, per tornare alla timeline “ufficiale” della saga,
bisognerà aspettare sino al 2015, anno in cui viene prodotta la serie tv "Ash
vs. Evil Dead", ambientata trent’anni dopo il primo film e che segna il ritorno
di Bruce Campbell nel ruolo di Ash Williams, che tuttavia verrà cancellata nel
2018, dopo tre stagioni dagli ascolti altalenanti.
I FUMETTI
A seguito della serie cinematografica diretta da Raimi che
vede come protagonista Ash Williams, giunsero finalmente in Italia anche i
primi fumetti dedicati all'opera. Protagonista di tali fumetti sarà sempre il
nostro prode eroe armato di motosega, seppur gli avvenimenti inerenti al terzo
capitolo verranno bellamente ignorati riprendendo il discorso lasciato in
sospeso con "Evil Dead 2". La serie a fumetti è scritta da Frank
Hannah e disegnata da Barnabay Bagenda e Oscar Bazulda, e vedrà come
protagonista principale Annie, personaggio presente per l'appunto nel secondo
film. Ella, a contrario di ciò che il finale della pellicola ci dà a intendere,
sfuggirà alla morte grazie ad un incantesimo, riuscendo a ricongiungersi con
Ash in un'altra dimensione (che però non coinciderà con quella in cui si trova
il protagonista maschile). Parlando del fumetto in sé, i disegni, oltre ad
essere ben fatti, sono davvero ottimi sotto ogni punto di vista. Facili da
capire, non confusionari, ogni azione descritta è messa in risalto dai colori.
Per quanto riguarda i dialoghi, sono anch'essi ben impostati, chiari, e
soprattutto non eccessivi onde evitare di mandare il lettore in confusione.
Prendendo visione del primo volume di "Evil Dead" si
riuscirebbe in modo chiaro e diretto, a vivere la stessa emozione che si
potrebbe provare durante la visione delle pellicole stesse, magari optando per
un modo diverso e per evadere dal classico. Senza dimenticare che ovviamente,
per riuscire ad entrare completamente nel mondo di questa saga, recuperare
anche i film è sicuramente necessario.
I VIDEOGIOCHI
Se vogliamo invece parlare di un adattamento in forma di
videogioco, gli sviluppatori non si sono fatti mancare nemmeno questo. Nel
lontano (ma nemmeno così tanto) 2005, venne infatti rilasciato "Evil Dead:
Regeneration", un gioco per PlayStation 2, Xbox e Windows basato per
l'appunto sulla saga "La Casa". Questo viene ambientato dopo la fine
del secondo film, ed inizia con un flashback del protagonista che questa volta
si ritroverà rinchiuso in un manicomio. "Regeneration" è
indubbiamente un picchiaduro a scorrimento. La struttura degli stage è lineare
e rende difficile perdersi. Ogni tanto ci si imbatte in un potenziamento e si
trovano nuove armi che Ash può usare in coppia, in modo indipendente o
combinato.
Quando si affronta un nemico, lo si può sconfiggere
utilizzando una serie di combo per poi finirlo con una vera e propria
“fatality” (un classico per questo genere di videogiochi). Queste combo sono
una quindicina in tutto e dipendono principalmente dal tipo di arma
equipaggiata. L'utilizzo delle armi è talvolta obbligato, nel senso che ognuna
di esse è necessaria per poter compiere una determinata azione come ad esempio
sfondare un muro, tirare a sé una rampa di legno e così via.
Il personaggio di Ash è inoltre molto ben realizzato e vanta
un gran numero di animazioni. Insomma, chi ha amato la saga di Sam Raimi e chi
apprezza i videogiochi ben fatti troverà in questo titolo un prodotto
decisamente valido, divertente e coinvolgente. Come unico difetto, il gioco
potrebbe però avere l'eccessiva facilità. La grafica è abbastanza fluida e gli
ambienti, pur essendo lo stereotipo del classico film horror sono poco diversificati e troppo spogli a volte. I fan dei
film ritroveranno le stesse atmosfere cupe, lo stesso protagonista e le stesse
immagini cruente (per non dire decisamente splatter) che hanno amato nelle
pellicole. Ovviamente, per chi è nuovo alla serie, è consigabile sempre
prendere prima visione delle pellicole stesse per poi dedicarsi
all'approfondimento di questa bellissima saga.
FREDDY VS JASON VS ASH
Tornando nuovamente al discorso fumettistico, emblematiche
sono le due miniserie che vedono Ash scontrarsi con Freddy Krueger e Jason
Voorhees, serie che rafforza le connessioni già mostrate in "Jason va
all'Inferno" dove, per chi non fosse familiare, o per chi, invece, ne
fosse completamente all'oscuro, fa capolino anche il killer di Elm Street
Freddy Krueger in persona. Il fumetto si pone come sequel diretto del crossover
cinematografico "Freddy vs Jason" e come adattamento, molto libero e
rivisto per il linguaggio fumettistico, del film mai realizzato in cui i due
killer per antonomasia dello slasher si sarebbero scontrati con Ash Williams,
progetto abortito sin dalla nascita, come conferma lo stesso Robert Englund, a
causa di alcuni disguidi artistici legati alla ferrea volontà di Sam Raimi di
avere Ash come vincitore indiscusso dello scontro, desiderio che cozzava con i
piani della New Line che già aveva sacrificato il suo personaggio più di
successo, Freddy, nella pellicola precedente e che voleva avere in questa una
sua ribalta. La lettura dell'opera cartacea, oramai vera e propria opera di
culto, che si pone come perfetto epilogo dei tre franchise trattati, con il
ritorno di personaggi storici come Tommy Jarvis della saga di "Venerdì
13" e di Nancy Thompson di "A Nightmare on Eml Street", è
comunque assolutamente consigliata, sia per la scorrevolezza nella lettura che
per l'ottimo apparato grafico che accompagna abilmente le emblematiche scene
che non potranno non emozionare i fan delle tre serie.
IL FUTURO DELLA SAGA
Negli anni, ovviamente, vi furono decine e decine di altre trasposizioni fumettistiche e videoludiche (ultima delle quali un ben recepito titolo multiplayer nel 2022), delle qualità più disparate, così come centinaia di pezzi da collezione e di merchandise, tra t-shirt, figures, statue e gadget, ma tutto ciò è qualcosa che risulta scontato se si guarda a quanto "The Evil Dead" abbia rivoluzionato per sempre il cinema horror e quanto, ancora adesso, a quasi 40 anni di distanza, sia ancora così amato, con tanto di un nuovo capitolo, apparentemente un reboot, dal titolo di "The Evil Dead: Legacy" in uscita nel 2022.
In conclusione, per chi non ne volesse sapere ancora di più
su "The Evil Dead", consigliamo la visione del documentario "The
Untold Saga of The Evil Dead", diretto da Gary Hertz, che racconta della
creazione del film e contiene le interviste ad alcuni membri del cast, ai
registi Edgar Wright e Eli Roth, e al truccatore ed effettista Greg Nicotero.
Articolo di Lorenzo Spagnoli, Andrea Gentili, Riccardo
Farina, Robb P. Lestinci, Maria Teresa, Sergio Novelli e Sharon
Illustrazioni originali di Cristiano Baricelli, Chiara
Bonanni e Aaron Rizla
Potete
acquistare "The Evil Dead", "Evil Dead II", "Army of Darkness", "Ash vs Evil Dead" ed "Evil Dead" su Amazon.
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