La trasposizione di un romanzo su pellicola rappresenta da
sempre un espediente produttivo di grande efficacia, arrivando a favorirne sia
i produttori stessi e chi di conseguenza lavora al film, sia l’autore del
romanzo stesso, o chi comunque ne detiene i diritti. Sul versante horror, non si
contano i film tratti da romanzi del medesimo genere, vista anche l’enorme cultura
letteraria che il terrore ha dettato nel corso dei secoli.
Nel 1922, mentre
il cinema si trovava nel pieno della sua maturazione, nella Germania espressionista,
il Maestro Friederich Murnau gira uno dei più grandi capolavori di
sempre della storia delle immagini in movimento, il celeberrimo Nosferatu,
che segnerà un punto di non ritorno nella lunga storia del Cinema orrorifico.
Sebbene il nome del vampiresco antagonista sia totalmente inventato, la
pellicola rappresenta la prima trasposizione dell’altrettanto celebre romanzo
di Bram Stoker, Dracula del 1897, ispirato alla figura
di Vlad III, Principe di Valacchia. Sebbene più o meno chiunque sia a
conoscenza si questa origine letteraria del personaggio, il temibile Conte deve
grandissima parte della sua fama e della sua entrata nell’immaginario
collettivo internazionale alle numerose versioni approdate sul Grande Schermo
nel corso dell’ultimo secolo. La figura base con la quale Dracula è più
conosciuto in tutto il mondo, ovvero quella dell’uomo affascinante, sinistro,
pallido, e vestito dal suo abito con mantello nero dalle rifiniture rosse, è sicuramente
figlia della trasposizione cinematografica più che del romanzo originario.
Tra la fine degli anni ’20 e l’inizio dei ’30, ebbe un grandissimo
successo un musical teatrale in scena a Broadway tratto proprio dal romanzo di
Stoker, che portò il giovane produttore Carl Leammle Jr. (Figlio di Carl
Leammle, fondatore degli Universal Studios) a realizzarne una
versione per la giovane ma ormai matura industria del Cinema. L’idea iniziale
era quella di avere nel ruolo di Dracula il celebre caratterista Lon Chaney, la
morte di quest’ultimo portò la produzione a buttarsi su Bela Lugosi,
attore ungherese emigrato negli Stati Uniti, che aveva già ricoperto il ruolo
del Vampiro nella serie degli omonimi spettacoli teatrali a Broadway. Una scelta,
questa, che racchiude indubbiamente gran parte del successo del film, vista la
grande capacità espressiva dell’attore e le sue origini est-europee, donandogli
un accento spreciso, ma estremamente particolare e coerente con le origini del
personaggio.
Alla regia viene scelto Tod Browning, regista esperto
che aveva già lavorato, tra gli altri, anche con Griffith, e qui alla sua seconda
opera sonora. E così, dopo una produzione particolarmente travagliata (con le riprese
concluse dal direttore della fotografia Karl Freund, a cause dei numerosi
disguidi fra Browning e la produzione), il 12 febbraio 1931 il film debutta al Roxy
Theatre di New York per poi essere distribuito due giorni dopo in tutti gli Stati
Uniti. Grazie anche ad una sapiente operazione di marketing, con la quale
numerosi giornali riportarono la notizia dei brutti malesseri che alcuni
spettatori avevano accusato ne corso della prima proiezione, la pellicola
riscosse un successo clamoroso, diventando il miglior incasso della Universal nel
1931, e che porterà la casa di produzione alla realizzazione di altre pellicole
horror, dando origine ai cosiddetti Mostri della Universal.
A livello tecnico è di indubbia facilità notare l’origine teatrale
dell’opera, sia per l’utilizzo degli effetti speciali, limitati esclusivamente
a nebbia finta, fulmini e pipistrelli di gomma, sia per l’utilizzo del
montaggio, oltre che del rapporto che questi due elementi hanno nel corso della
(breve) durata del film, dove la trasformazione del personaggio in pipistrello
avviene, per comodità, fuori campo. Nonostante ciò Browning riesce a mettere in
scena il film con la grande eleganza di chi ha lavorato per decenni nel muto, grazie
ad un uso superbo delle illuminazioni volte ad evidenziare le espressioni estremamente
sinistre ed inquietanti dei bellissimi primi piani di Lugosi.
Proprio per
questo motivo nel film primeggiano gli sguardi più che le parole, con i movimenti
dei personaggi volti a voler trasmettere questa sensazione di essere ritornati
ancora al cinema pre-sonoro. Non è un caso, infatti che la colonna sonora sia
totalmente inesistente, salvo un utilizzo nei titoli di testa di Il lago dei
cigni di Cajkowskij, a voler testimoniare il grande attaccamento del
regista alla sua esperienza con la settima arte dei primi decenni del
‘900. Infatti, dopo questo film, il regista girerà appena altri sei film
(tra cui
il suo Capolavoro Fraks), vivendo i restanti 23 anni della sua vita
senza la possibilità di tornare, almeno un'altra volta, dietro la macchina da
presa.
Articolo di Andrea Gentili
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