Abbiamo già introdotto il terribile mondo in cui prende luogo "South Mill District" di Joe Meredith e, uno dei pochi compianti riguardo il corto del 2018 di Joe Meredith, era proprio che si sentisse la necessità di vedere di più, di avere un ulteriore squarcio su quel mondo distopico e popolato da alieni e mutanti orripilanti. Per fortuna, nel 2019, il regista è tornato sul suo progetto realizzandone un sequel: "Teratomorph".
I 33 minuti del corto girano attorno ad un bambino di soli otto anni, denominato Soggetto X (Elijah Meredith), il primo individuo in cui, l'assimilazione del virus Havoc, sembra aver dato i frutti sperati: in un flash forward iniziale lo vediamo, infatti, nei laboratori della Eon Corp dove viene studiato e tenuto sotto sorveglianza. Il ragazzino, in parallelo con l'evoluzione della sua mutazione, incurante dell'autoamputazione della sua stessa mano in pieno stile "Evil Dead 2", ci donerà un ulteriore squarcio sul mondo post-apocalittico ideato da Meredith, tra robot e mutanti dalle numerose teste armati di ascia mentre, in parallelo, quello che sembra essere un alieno, semina il terrore e miete le sue vittime senza alcuna pietà.
A questo giro Meredith rincara la dose di gore, con effetti speciali decisamente di manifattura superiore a quelli del precedente e, allo stesso tempo, ancora più ambiziosi, pur rimanendo, tutti, effetti pratici. Lo stop motion, preponderante nel primo film, viene utilizzato anche nel suo sequel, nonostante in dose nettamente minore anche a causa del ritmo e dell'atmosfera generale diversa: se il primo film mostrava la quasi quotidianità di due infetti in attesa della loro imminente morte, vittime collaterali di una guerra che viene ulteriormente esplorata dalle narrazioni fuori campo del secondo film, qui abbiamo una breve avventura on the road, con più azione, tra ricercatori corrotti, spie russe e creature d'incubo che divengono vere e proprie minacce. Non tutti i mutanti hanno la fortuna di esser decapitati in tempo come accade nel primo film, insomma. La maggior parte dei props del sequel, oltre ad essere decisamente più realistici, in particolar modo quello di un cadavere nell'acqua all'inizio e quello del robot dal corpo dilaniato, rimediando all'aspetto da bambola dei manichini umani del primo film, sono in realtà indossati da degli attori e raffigurano creature riconducibili più a "La cosa" di John Carpenter ed alle mutazioni organiche dei film di David Cronenberg che a H. R. Giger ed ad "Alien", con l'ovvia esclusione dell'alieno: il capolavoro del regista di "Halloween", infatti, viene direttamente citato in una delle primissime scene con un corpo con due teste fuse, chiaro riferimento all'iconico corpo presente anche nel film del 1982 e nel suo prequel del 2011.
Parlando di references cinematografiche, osservando la pellicola, non si può non pensare alla terrificante trasformazione mostrata nel caposaldo del body horror nipponico "Tetsuo: The Iron Man" del 1989 di Shinya Tsukamoto o, rimanendo in Giappone, al manga "Kiseiju - L'ospite indesiderato" di Hitoshi Iwaaki dove, similmente al Soggetto X, il protagonista Shinchi si ritrova con la sua mano mutata a causa di un parassita alieno. Ovviamente, però, l'opera di Meredith non lascia spazio ad alcun tipo d'ironia o di leggerenza. O a qualsivoglia speranza di guarigione, per chiunque fosse tanto illuso da averci pensato.
Sia la regia che la fotografia, decisamente più chiara e definita, subiscono un miglioramento tra il primo ed il secondo film, pur mantenendo la stessa impostazione generale, con scene non per forza in ordine cronologico, continue degressioni a frammenti passati dell'epidemia Havoc e con la tricomia di verdognolo nauseante, blu neutro e rosso acceso mantenuta. Addirittura, pare che Joe Meredith abbia voluto giocare ulterioremente con quest'ultima, ed in particolare con la bicromia rosso e blu già collaudata da Dario Argento in "Suspiria", ponendo la distinzione tra i due colori direttamente su scena in chiave esplicita: la stanza vuota e morta è blu mentre la porta che porta verso l'orrore alieno è illuminata da un acceso ed innaturale rosso brillante, metafora visiva per il pericole imminente. Seppur si perda alcuna della "sporcizia" perturbante del primo film, le scene risultano decisamente più chiare e, il montaggio più ordinato, non preclude alcuna scena grottesca o raccapricciante come la sequenza dell'amputazione della mano prima citata, assolutamente disturbante, o quella in cui una l'intera parte anteriore di una testa viene divorata tra zampilli di sangue e gli spasmi del cadavere.
La colonna sonora, nuovamente composta da Joe Meredith, che, ricordiamo, ha anche scritto il film, creato parte degli effetti speciali ed il design delle varie creature del film, attinge nuovamente a piene mani dalle classiche composizioni synth dei film anni '80/90, aumentando l'idea di star vedendo un film di quell'epoca che già dona l'uso di luci al neon colorate per l'illuminazione. Il comparto sonora, però, risulta inferiore a quello del primo: il sound design che enfatizzava rumori snervanti di carne strappata sono meno presenti e, la musica, copre la narrazione fuori campo del dottor Bottin (Toby Johansen), rendendo difficile comprendere ciò che viene detto e, di consguenza, seguire il filo della trama che, ricordiamo, era quasi del tutto assente nel primo cortometraggio.
Se Meredith gioca quindi una mano sicura con la stessa ambientazione e lo stesso cast, eccetto alcune aggiunte, alza la posta in gioco con scene decisamente più elaborate ed ambiziose che, però, ripagano l'impegno impiegato per la realizzazione di questo secondo corto horror-fantascientifico dal sapore retrò, non perfetto, ma sicuramente più che buono, con un immaginario interessante ed accattivante, un comparto tecnico ammirevole per il budget risicato e dall'atmosfera inquietante al punto giusto, seppur, forse, non quanto quella del suo predecessore.
Il cortometraggio è acquistabile direttamente sul sito internet di Joe Meredith,
nonostante non sia disponibile una traduzione italiana seppur la
pellicola sia fruibile anche da chi non ha dimestichezza con la lingua
inglese a causa del ruolo quasi "laterale" e ridotto che ha la
narrazione. Potete seguire il regista Joe Meredith sia sulla sua pagina Facebook che sul suo profilo Instagram.
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