Ispirato alla storia realmente accaduta nel 1916 dei 12 giorni del terrore in cui uno squalo (o anche più di uno si dice) seminò il panico nel Jersey Shore, il romanzo “Lo Squalo” (1974) di Peter Benchley terrorizzò la gente tanto da non farla entrare più in acqua con una certa spensieratezza e sicurezza, e chi contribuì a far rimanere le persone fuori dall’acqua fu “Lo Squalo” (1975) del giovane Steven Spielberg. Conquistò l’intero panorama cinematografico mondiale e grazie a questo film ne nacquero numerose copie, delle quali la maggior parte erano italiane. Lamberto Bava, figlio del ben più noto Mario Bava (maestro dell’Horror Italiano), a 9 anni di distanza e soprattutto fuori tempo massimo, venne scelto dal produttore Mino Loy per dirigere anche lui una sua versione del capolavoro di Spielberg, come hanno fatto tutti i registi subito dopo l’uscita del film. Come non biasimarli d’altronde, la pellicola di Spielberg ebbe un successo clamoroso al botteghino, non solo statunitense ma mondiale. Per rendere un aspetto più internazionale, Lamberto Bava si firmò, come faceva nelle sue prime regie cinematografiche, con lo pseudonimo di John Old Jr.; un nome d'arte che adoperava persino suo padre, John Old. Il film non è altro che “Shark – Rosso nell’Oceano” (1984).
Inizialmente, Luciano e Sergio Martino (quest’ultimo regista di “L’Isola degli Uomini Pesce” (1979) con grandi interpreti) pensarono di voler fare “Lo Squalo” ambientato nella città lagunare di Venezia, ma l’idea venne scartata. Successivamente, venne coinvolto Luigi Cozzi (recentemente divenuto celebre per aver realizzato “Scontri Stellari Oltre la Terza Dimensione” (1978), distribuito all’estero come “StarCrash”, una versione italica di “Guerre Stellari” (1977); e “Contamination” (1980), il nostro “Alien” (1979) italiano, infatti uscito anche come “Alien arriva sulla Terra”) che originariamente scrisse un progetto chiamato “Fauci Divoratrici”, naturalmente un chiaro riferimento del titolo originale del film di Spielberg nonché “Jaws”, e poi lo rimaneggiò stimolato anche dal romanzo di Murray Leinster “L’Incubo sul Fondo” (1961). Si aggiunse Dardano Sacchetti che completò la sceneggiatura riscrivendo un finale diverso rispetto a quello previsto da Cozzi.
La storia parla di un mostro marino che divora e minaccia i bagnanti della costa della Florida. Un manipolo di pochi che si accorgeranno del pericolo cercherà di fermare la minaccia.
Una vicenda genuina e senza troppe avversità. L’idea di base, bisogna ammettere, è più che geniale ma i mezzi a disposizione erano pochi, e perciò la produzione fu molto travagliata e ricca di problemi da affrontare. Bava riconobbe che volle fare un film alla ‘squalo’ ma che non doveva essere una copia, bensì semplicemente una strizzatina d’occhio simpatica al film di Spielberg. In effetti, si può dire che non abbia niente a che vedere con la pellicola poiché prima di tutto si svolge in Florida e nelle Everglades, quindi un’ambientazione piuttosto originale, e poi mescolando generi come il giallo e la fantascienza. Lo ‘shark’ del titolo, che poi squalo non è, infatti è un ibrido tra un Dunkleosteus preistorico e un polpo capace di rigenerare le proprie cellule, frutto di un esperimento top secret di una famigerata multinazionale, elemento alquanto innovativo e rinfrescante per il genere che stava diventando fin troppo abusato, anche e specialmente ai giorni nostri. Un po’ debole e fiacca per la trama è l’intreccio spionistico da giallo poliziesco dove c’è l’indagine dello sceriffo di turno, immancabile in film come questi. Non a caso, gli altri personaggi risultano privi di spessore e poco carismatici, non ci si affeziona a nessuno. È ricco di cliché, non c’è che dubbio, ma non per questo è da condannare.
Sequenze e scene prevedibili ne fanno da padrona, ma sono giustificabili rendendo il tutto più accettabile per lo spettatore. Singolari e ben dirette le sequenze con il mostro che viene mostrato in pochissimi e rapidi frame, per far fantasticare lo spettatore con l’immaginazione ma in realtà per renderlo, disse lo stesso Bava, come l’assassino di un film giallo. Questo perché, esattamente come successe per il film di Spielberg, l’animatronic prevedibilmente era ingestibile e giudicato, addirittura, dalla troupe come ingovernabile. Niente da dire sul suo aspetto e sul suo design, personalmente, abbastanza terrificante e autentico. Aumenta a gran numero il body count del mostro accompagnato da una buona dose di sangue nelle sequenze che, col passare del tempo, sono divenute cult. La regia di Bava risulta classica e molto scorrevole. Per niente scontato, invece, il finale leggermente differente dalle altre pellicole del genere.
Venne accolto in maniera abbastanza negativa dalla critica, sia italiana che internazionale, ma ebbe un buon successo al botteghino tanto che guadagno più di 400 milioni di Lire, un incasso non da poco per una pellicola che è stata realizzata con un budget ridotto. Botteghino altrettanto ricco fu quello estero, in particolar modo negli Stati Uniti (distribuito col titolo “Monster Shark” o “Devil Fish” in Home Video) e la Spagna.
Da menzionare, obbligatoriamente, il film per la televisione statunitense, mai giunto in Italia, “Sharktopus” (2010) di Declan O’Brien (già regista degli ultimi tre capitoli, parecchio scadenti, della saga “Wrong Turn” iniziata nel 2003 e conclusa nel 2012) sotto la produzione della leggenda delle pellicole di serie B, Roger Corman. “Sharktopus” si può considerare un rifacimento non autorizzato e non ufficiale di “Shark – Rosso nell’Oceano” di Lamberto Bava, poiché presentano numerosi punti in comune come, appunto, l’esperimento ibrido squalo/piovra. Naturalmente, il risultato del film di O’Brien è mediocre e gli effetti speciali sono al limite dell’amatoriale. Inimmaginabile che vi abbia preso parte un attore come Eric Roberts (noto principalmente per “A 30 Secondi dalla Fine” (1985) con John Voight). Ebbe buoni ascolti televisivi ma la critica fu sfavorevole, com’era ipotizzabile pensare. Corman, come se non bastasse, produsse altri due seguiti. “Sharktopus vs. Pteracuda” (2014) diretto da Kevin O’Neill, regista di “Dinocroc” (2004) e “Dinoshark” (2010), che risulta più divertente e godibile, dal punto di vista trash. Gli effetti speciali sono decisamente più curati del suo predecessore poiché O’Neill, oltre che essere regista, è anche supervisore degli effetti speciali. Infatti, in passato ha lavorato in “Dracula di Bram Stoker” (1992) di Francis Ford Coppola e in “Piranha 3D” (2010) di Alexandre Aja. O’Neill ci riprova con l’ultimo, si spera, “Sharktopus vs. Whalewolf” (2015). Dimenticabile, assurdo e, principalmente, evitabile.
Ritornando all’italico “Shark – Rosso nell’Oceano”, si rivela essere vero cult di metà anni ’80 anche se, ormai, superato in grandezza dai film di Hollywoodiani con effetti speciali più notevoli ma che nonostante sia visibilmente datato, non stanca, al contrario, intriga lo spettatore amante del genere mostro marino, ancor più se italiano. Consigliato a chi vuole vedere una pellicola senza pretese e specialmente semplice.
Articolo di Luigi Santomauro
Nessun commento:
Posta un commento