Cannibali di città e di campagna
Dell’importanza
ed influenza di Cannibal Holocaust nel genere horror italiano ne
abbiamo già parlato nella nostra recensione di Apocalypse Domani di
Antonio Margheriti. A cavallo tra gli anni 70’ e gli anni 80’ il cannibal
movie si trovava nel suo periodo di maggior splendore, con ben otto
pellicole uscite fra il 1978 ed il 1981 le quali, ovviamente, hanno fatto del gore
il loro principale “punto espressivo”.
La maggior parte di questi film hanno in comune un utilizzo quasi
documentaristico degli ambienti naturali che circondano i loro protagonisti ,
molto spesso foreste amazzoniche da far diventare il regno del terrore di
spietate tribù indigene affamate di carne umana. Tuttavia, come sempre, ci sono
le eccezioni. Se anche il film di Margheriti era già inusuale per la sua
ambientazione urbana/bellica, Arisitide Massaccesi, in arte Joe D’Amato, ne
girerà uno altrettanto insolito, unendovi insieme le caratteristiche dello slasher
che tanto stava andando di moda in quel periodo. Da un soggetto dello stesso Massaccesi e di
Luigi Montefiori, meglio noto come George Eastman, il quale scriverà
anche la sceneggiatura oltre che recitare nel ruolo del “mostro”, nasce Antropophagus,
che diventerà, anche grazie alle sue sequenze estremamente cruente, una
delle pellicole simbolo dello “splatter” all’italiana.
Breve sinossi
Un gruppo di giovani
turisti decide di trascorrere le proprie vacanze in una piccola isola
nell’arcipelago greco, apparentemente tranquilla. Non sanno che qualche giorno
prima quella stessa isola è stata il teatro dell’omicidio di una giovane
coppia, trucidata da un misterioso assassino, con un debole per il dolce sapore
della carne umana...
L’importanza delle sequenze
Partiamo subito con un aneddoto. Il
film è stato profondamente massacrato dalla censura di mezzo mondo a causa di
alcune sue particolari sequenze considerate eccessivamente forti e pesanti.
Quasi paradossalmente il film trova nelle sue scene più crude (e qui parliamo
di scene veramente crude) il suo culmine oltre che il fulcro del suo
successo negli anni avvenire. E’ indubbio che D’Amato decida di premere forte
su questo aspetto (rispettando d’altronde il suo stile) senza perdersi in
eccessive caratterizzazioni o introduzioni superflue. Non è un caso che il film
inizi mostrando la morte dei due malcapitati turisti tedeschi con tanto di mannaia conficcata in
faccia, utile per far capire allo spettatore quale sarà il tono generale che il
film manterrà nel corso dei suoi 89 minuti.
Tuttavia, non staremo qui ad elencare tutte le sequenze più violente,
anche perché sarebbe poi alquanto inutile vedere il film. Dall’altro lato,
sappiate che nel Regno Unito sono state censurate tutte le sue scene forti,
trasformando il film, probabilmente, in un cortometraggio.
Gli aspetti tecnici
Per la maggior parte delle pellicole
horror di genere del tempo, la tecnica non è mai stato un fattore eccessivamente
“importante”. Non si vogliono cercare virtuosismi particolari, piani sequenza
mozzafiato o scelte di montaggio geniali. Basta una regia quadrata e un certo
gusto nell’inquadratura in grado di supportare l’effetto speciale (questo sì
curato in maniera maniacale) che la scena richiede. In Antropophagus assistiamo
proprio a questo. Il regista romano, totalmente dedito al cinema di genere,
decide di non osare eccessivamente, ma, appunto, di far parlare il sangue, le
viscere, la carne, ovvero i veri protagonisti del film. L’asticella della
tensione si mantiene comunque alta, grazie anche alla sporchissima fotografia
di Enrico Biribicchi, in grado di evidenziare al meglio le bianche
rovine del paesaggio greco, la polvere della grande mansione abbandonata, e lo
sporco che ricopre i vetri delle abitazioni, impedendo di ammirare il
bellissimo panorama marino, aiutato anche dall’insolita idea di girare il film
in 16mm, convertito successivamente a 35mm, per le proiezioni in sala. Ottima persino la colonna sonora del veterano
Marcello Giombini, qui a una delle sue ultime apparizioni nella settima
arte, mai invadente (ed utilizzata in misura molto ridotta) e posizionata
perfettamente nelle scene più simboliche.
L’eredità
Come
numerosi altri film horror prodotti nella nostra penisola Antropophagus si
è ritagliato il ruolo di cult assoluto nella cerchia di appassionarti del
genere soprattutto, ahimé, stranieri. Il regista tedesco Andreas Shnaas,
grande appassionato del cinema di genere italico (a discapito di una tecnica
cinematografica poco invidiabile), ne girerà un remake nel 1999 dal titolo Antropohagus
2000, ambientato non in Grecia, ma a Borgo San Lorenzo, in provincia di
Firenze. E chissà se forse non ne riparleremo in futuro, sempre qui, su Horror
Moth...
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