Il clown principe
del crimine, Joker, un personaggio iconico, amato e conosciuto da
quasi tutto il mondo, certamente uno dei villains più apprezzati di
ogni media, che si parli di quello fumettistico o di quello
videoludico o ancora cinematografico, il personaggio è riuscito ad
imporsi ovunque come un antagonista carismatico, spaventoso,
inquietante e dotato di quel fascino che solo pochi riescono ad
eguagliare, un tragico malvagio senza alcun rimorso per le sue azioni, alla ricerca del divertimento, una crociata sanguinosa contrapposta a
quella del Cavaliere Oscuro, due opposti costantemente destinati a
scontrarsi, a controbilanciare i propri ideali e le proprie azioni,
così in conflitto da essere legati a doppio filo tra loro. Il chaos
assoluto contro la giustizia cieca, la sconfinante follia del male
contro la razionalità del bene.
È per questo che,
probabilmente, molti avevano arricciato il naso quando venne
annunciato un film sul Joker senza Batman, carattere fondamentale del
personaggio, il suo unico motivo d’essere. Era fin da subito
indubbio, dunque, che non ci trovassimo dinanzi qualcosa di fedele ai
fumetti, dinanzi qualcosa che intendeva traslare l’universo
cartaceo su celluloide con quella semifedeltà apparente (sufficiente
ad accontentare i fan più “hardcore” o, semplicemente, pignoli)
dei film che compongono il Marvel Cinematic Universe o, seppur in
dose minore, il DC Extended Universe. Molti temevano, dunque, un
personaggio snaturato, un tipo qualsiasi chiamato Joker, una seconda
nube mangiamondi col nome di Galactus, insomma. E molti,
effettivamente, hanno trovato questo, non riconoscendo la possibilità
di un Joker senza la sua nemesi giurata, non riuscendo a
metabolizzare che il proprio personaggio tanto amato fosse stato
rinarrato allontanandosi dal materiale originale il più possibile, creando un film che difficilmente è stato definito un cinecomic
dalla critica, sia per la qualità maggiore e l’autorialità, sia
per, appunto, le differenze con la carta stampata, troppo lampanti
per affermare che il Joker di Joaquin Phoenix fosse lo stesso che ha
paralizzato Barbara Gordon o che ha ucciso Jason Todd.
Eppure non è così.
Eppure è un Joker ben più fedele di quanto si possa pensare che,
pur partendo da un punto distante anni luce dal prodotto finale,
entro la fine del film, prende i binari che, potenzialmente, lo
porteranno a scontrarsi con un possibile Batman, a ricalcare quasi
fedelmente i tratti del personaggio che conosciamo ed amiamo,
stravolgendolo, solo per ricodificarlo in qualcosa di familiare,
senza andare ad intaccare in alcun modo le storie che conosciamo,
riuscendo a generare anche un legame tra Bruce e Joker ben più forte
di quello che lo stesso Tim Burton tanto forzatamente aveva tentato
di ricreare nella sua prima pellicola del 1989 dedicata al Crociato
Incappucciato o di quello solo apparente, che de facto non esiste e
che serve solo a far sorridere i fan ed a dare un senso al suo
villain, del “Il cavaliere oscuro” di Cristopher Nolan.
“Joker” di Toad
Phillips riesce a creare una storia inedita, nuova, mai narrata
prima, un dramma fruibile sia ai lettori che ai “laici”, capace di
fomentare entrambe le categorie, portandosi a casa 8 minuti di
standing ovation alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e
un Leone d’Oro, oltre che un premio come miglior attore per Joaquin
Phoenix al Toronto International Film Festival, vanti che nessun
altro “cinecomic” ha mai potuto annoverare tra i suoi traguardi e
che separano con un brusco distacco questo prodotto dal resto dei
suoi simili, un unicum in questo panorama di cinema d’intrattenimento
per famiglie dove i supereroi ed i rispettivi antagonisti sono più
oggetti di scena che personaggi a tutto tondo, dove tutti i film
sembrano uguali e l’impronta tecnica del regista, o la scrittura
stessa della pellicola, scompaiono seguendo le stesse linee guida che
erano state gettate agli albori del genere (ovviamente con le dovute
eccezioni, quali i due Batman di Burton, gli Hellboy di Del Toro,
sotto certi versi anche i Guardiani della Galassia di James Gunn, pur
restando in ambito di cinema d’intrattenimento puro, esattamente
come, seppur più contestabile, l’atipico Thor di Taika Watiti). Il
Joker, magnificamente interpretato da Joaquin Phoenix, con le dita
incrociate per, almeno, una nomination agli Oscar come miglior
attore, è una persona più che un personaggio, una persona
estremamente infelice, malata e sola, abbandonata e bistrattata da
tutti, in un modo inquietantemente plausibile e verosimile, portato a
divenire il clown principe del crimine (in questo caso,
l’annoverazione, ha effettivamente senso) figlio di Gotham City
stessa (tutti i suoi abitanti senza alcuna esclusione sono la causa della sua trasformazione), destinato ad essere “più di un
uomo”, “una filosofia”, come direbbe Jerome Valeska di
“Gotham”.
Illustrazione di Cristiano Baricelli |
Il comparto tecnico
è stellare, a partire dalla colonna sonora di Hildur Guðnadóttir, capace di conferire quello spessore in più alle scene magnificamente
girate da Phillips, con la fotografia mozzafiato di Lawrence Sher ed
un funzionale montaggio, seppur vago in un paio di scene, di Jeff
Groth, senza dimenticare le scenografie di Mark Friendberg e i
costumi di Mark Bridges, che rendono Gotham City più viva che mai,
perfetta interpretazione del suo spirito fumettistico, capace di
trasmettere quel sudiciume riposto sia esteriormente che
interiormente tra le strade di una città che ha nel suo cuore stesso
la corruzione. Una città che fa paura, una città che si tramuta in
antagonista avente i vari personaggi del film come sue estensioni,
affrontate dall’unico che è riuscito a svegliarsi dal sogno (o
incubo?) in cui è costretto a vivere, proprio il nostro Athur
Fleck/Joker.
Ma Arthur non è un
eroe, non va assolutamente considerato tale e, seppur il regista cerchi di
farci empatizzare col nostro tragico protagonista, di cui anche la stessa risata è sinonimo di un malessere profondo, sintomo della sua malattia, non cerca di rendere la
sua giustificazione più di tanto accettabile, in un crescendo di
atti criminali che confluiscono, infine, in violenza fine a se
stessa, oramai non più bagnata dalla giustificazione iniziale, non
più soggette ad un piano ben definito, la morte diviene
semplicemente un divertimento, qualcosa che da senso a Joker di
esistere e gli permette di avere il suo pubblico, alla quale era in
costante ricerca, qualcosa che gli permetta di distaccarsi dalla città divenendo
il suo centro di corruzione distaccato e personale, un satellite di
follia che orbita attorno alla città, di una follia, però,
inesistente, una follia solo pensata, così intensamente, da
divenire reale: un uomo sano costretto alla pazzia che diventa il peggiore
dei pazzi e libera tutto ciò che reprime dopo un brutto giorno, ricorda qualcosa?
La messa in scena è
chiaramente fortemente influenzata dal cinema di Martin Scorsese,
addirittura il personaggio di Murray, brillantemente interpretato da
Robert De Niro, è un omaggio a “Re per una notte”, mentre sono
numerosi i richiami a “Taxi Driver” dello stesso regista. Altre
fonti d’ispirazione sono “The Killing Joke”, sotto certi punti
di vista, “Telltale Batman” e, molto pesantemente in una scena in
particolare, “Il ritorno del cavaliere oscuro” di Frank Miller,
strizzando l’occhio anche al “Cavaliere oscuro” di Cristopher
Nolan ed al “Batman” del ‘66 per un paio di scelte e di
sequenze.
Fondamentale anche
la componente di critica sociale: Joker, come già sottolineato, è
un prodotto della corruzione di Gotham ed il film va a criticare ciò
che sono alcuni temi scottanti dell’America, da una critica al
possesso di armi, causa in primo luogo del sanguinolento declino di
Arthur Fleck, ad una meno velata al sistema sanitario americano, di
come lo Stato se ne freghi di “quelli come lui”, di come l’America
viva in un costante menefreghismo, tagliando fondi a discapito della
povera gente, di come i grandi magnati, per quanto possano
dichiararsi filantropi, abbandonino chi ne ha effettivamente bisogno
nel momento in cui la loro figura pubblica o fama non ne guadagna, di
come il mondo estranei i diversi, li tema, in un concetto quasi
pirandelliano di adattamento alle maschere che vengono date.
Insomma, “Joker”,
è probabilmente il cinecomic più cinematografico, se la cosa ha
senso, che l’industria ci abbia mai offerto, dimostrandoci che un distacco alle storie tradizionali, pur tenendo conto delle origini del personaggio trattato, possa portare a grandi risultati, dopotutto che senso ha traslare con la tanto agognata "fedeltà" dei fanboy un qualcosa che comunque funziona meglio col linguaggio fumettistico? Le storie ed i personaggi andrebbero adattati, esattamente come successo in questo film, considerabile d’autore, capace di trattare temi sociali forti, e di omaggiare le proprie radici fumettistiche
e le ispirazioni filmiche in un prodotto che difficilmente
abbandonerà i pensieri degli spettatori.
Articolo di Robb P.
Lestinci
1 commento:
Ottima recensione
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