La morte, eterna fonte d’ispirazione nonché di dannazione in pressochè ogni ambito artistico, diventa la protagonista indiscussa del Trionfo della morte, capolavoro del pittore olandese Pieter Bruegel il Vecchio. L’opera non è firmata ne datata, ma risale, probabilmente, al 1562. Pervenne al Museo del Prado (dove tutt’oggi è ubicata) solo nel 1827, dopo una permanenza presso il palazzo della Granja alla corte della regina di Spagna, Elisabetta Farnese.
L’opera è caratterizzata da una duplice valenza, sia storica che morale.
L’artista, infatti, sfrutta un evento storico realmente accaduto, ossia un massacro avvenuto nelle Fiandre ad opera dell’esercito spagnolo, per descrivere allegoricamente la condizione dell’esistenza umana in rapporto alla miseria ed alla guerra, ma soprattutto rispetto alla morte.
L’apocalittico paesaggio raffigurato descrive l’incombere inevitabile e violento della morte, tragica conseguenza della guerra, attraverso un’immagine tipica della tradizione iconografica palermitana: uno scheletro che, a cavallo, sbandiera la propria falce e miete vittime. Si tratta, tuttavia, di una reinterpretazione più soggettiva del tema, permeato da una moralità volta a condannare vizi e peccati del genere umano.
Lo spazio pittorico non segue un’organizzazione precisa, sembra quasi voluta dall’artista la sensazione di caos e di disordine che viene trasmessa al fruitore del dipinto, come a voler sottolineare la crudeltà e l’insensatezza della guerra, portatrice di morte. La prospetprospettivativa frontale dell’opera ci permette di avere un’ampia visuale della scena, che non si esaurisce neanche al di la dei confini evidenti. La presenza di fumo nero sullo sfondo, infatti, lascia presagire la presenza altri scenari tragici e drammatici, se non addirittura dell’inferno.
Lo sfondo è ricco di spezzoni narrativi inquietanti, come ad esempio l’uomo impiccato in alto a destra, che simboleggia tutti gli ebrei giustiziati ingiustamente perché ritenuti essere portatori di peste, altro grande tema del quadro che si sviluppa attraverso gli scheletri.
Nella parte inferiore del quadro (che raffigura lo stralcio narrativo che si svolge più vicino all’osservatore) si nota come la morte mieta vittime indipendentemente dal loro ceto sociale. In basso a sinistra, infatti, viene raffigurato un imperatore che immerge le mani in barili pieni di denaro, inutilmente accumulato nel momento in cui uno scheletro gli mostra una clessidra che simboleggia la fine del suo tempo. Al centro laici, ecclesiastici, donne, bambini, nobili vengono indistintamente avvicinati al centro del riquadro pittorico, finendo in una rete tesa da due scheletri.
I colori utilizzati sono prevalentemente caldi, desertici, ad aumentare il senso di desolatezza della scena.
L’orrore e lo sgomento sono i primi sentimenti che il fruitore del quadro verosimilmente prova, di fronte alla manifestazione della distruzione che la morte porta con se, e con la consapevolezza che non c’è nulla di eterno o di immortale, se non la morte stessa.
Articolo di Manuela Griffo
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