Quando nella fine degli anni '80 la Warner aveva annunciato un lungometraggio in uscita dedicato a Batman, in un periodo in cui i più rivedevano il personaggio nella sua versione televisiva intepretata negli anni '60 da Adam West, e quando il cinema di genere era estremamente limitato e aveva conosciuto come grande successo solamente il "Superman" di Donner (1978); pubblico e critica reagirono a questa notizia con sbigottimento, anche perché la fonte cartacea da cui avrebbe tratto ispirazione, al tempo, non godeva della sua popolarità attuale.
Così il progetto che era da anni in cantiere presso gli studios iniziò a concretizzarsi prima con il successo commerciale di "Pee-Wee's Big Adventure" (1985), poi con quello del "Beetlejuice" (1988) con Michael Keaton, portandolo nelle mani del giovane regista che fu responsabile di entrambi: Tim Burton. Venne richiamato nel cast anche Keaton, a ricoprire il ruolo del protagonista. I fan del pipistrello, a cui venne promessa una versione del personaggio più vicina al suo clima e atmosfere tipiche originali, non reagirono bene a questa notizia e mossero numerose critiche (e petizioni) contro questa scelta di casting.
Illustrazione di Cristiano Baricelli |
Al contrario, tutti si dimostrarono interessati in quella del famoso attore Jack Nicholson come antagonista: il pagliaccio principe del crimine, fortemente voluto da Bob Kane (uno dei due creatori delle storie di Batman su "Detective Comics").
L'interpretazione del crociato incappucciato di Burton entrò, peró, nella leggenda, e in questo articolo scopriremo perché: Nel film i due elementi da subito messi in risalto e che avranno estrema rilevanza per tutta la durata sono indubbiamente la colonna sonora di Danny Elfman (che ne incarna perfettamente lo spirito e lo stile voluto dal regista), e la raffigurazione della città di Gotham. Questa si è conseguita con la realizzazione di fondali dipinti a mano, e riprese di dettagliati modelli in scala che hanno dato vita a una bellissima metropoli che va dalla New York dei noir anni '30, al "Metropolis" di Fritz Lang, alla Los Angeles di "Blade Runner", una città immensa, caotica e allo stesso tempo silenziosa, lurida e sublimemente monumentale.
Senza mezzi termini, la storia si apre con le ronde notturne del vigilante: che posa in maniera leggiadra e terrorizzante, come una macabra danza fra le tenebre. Rivedendolo oggi a mente fredda la scelta di Keaton per la parte fu molto azzeccata, infatti si dimostra molto versatile nei panni di Bruce Wayne, dato il suo forte carisma, addirittura più che in quelli di Batman il cui costume stesso risulta meno convincente rispetto a quello che indosserà nel sequel (di cui abbiamo già parlato).
Paradossalmente, il protagonista ha una certa quantità di minutaggio e battute a lui dedicate senza mai eccedere, mentre per il resto dei personaggi è riservato molto poco spazio, alcuni sono dei semplici arricchimenti alla storia: come il giornalista Knox o Harvey Dent, anche riguardo all'interesse amoroso dell'eroe in questo film, interpretato da Kim Basinger, quello portato in scena da Keaton e Pfeiffer nel sequel risulterà più efficace.
L'unico che fa eccezione, e che si può definire il vero lead della pellicola, è il Joker di Nicholson. Un'interpretazione destinata a diventare iconica negli anni a venire, almeno fino ai film di Nolan, che regge su di sè l'intera pellicola, e a cui è dedicata così tanta attenzione da mettere in secondo piano lo stesso Batman.
Protagonista di scene grottesche come quella della sua operazione facciale in uno scantinato, o della stretta di mano mortale; o di momenti di assoluta follia come l'attacco nella galleria d'arte accompagnato da un inedito di Prince. È palese come l'attore giochi con il personaggio esagerando, e superando ogni limite, in un ruolo a dir poco indimenticabile.
Oggi, abituatici ad un certo standard di cinefumetto, questo "Batman" potrebbe risultare come attempato sia nel suo look, che negli effetti speciali, che nello storytelling (che intorno alla metà subisce un forte calo, forse data una durata un po' eccessiva) ma resta meritatamente un cult: un piccolo gioiello da cui traspare l'abilità registica di Burton (che nel seguito si perderà un po' a favore dei suoi numerosi virtuosismi), un forte primo atto che sorge dal connubio tra la mano del regista ed un montaggio serrato, il suo gusto retro, urbano e sporco e dei personaggi sopra le righe, ma portati portati in scena con maestria e basati su un solido script.
Articolo di Lorenzo Spagnoli
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