Essere figli d'arte è sempre stata un'arma a doppio taglio. Se da un lato è indubbio che si tratti di una comoda rampa di lancio, dall'altro è innegabile che questa possa essere vista come una situazione soggetta ad una pressione non indifferente, dove si è portati a fare i conti con il lavoro del nostro predecessore, e di conseguenza ai paragoni che l'opinione pubblica non riesce, di natura, ad evitare.
E' questa la situazione che uno come Lamberto Bava si
è trovato ad affrontare, una situazione certamente non semplice, soprattutto
quando tuo padre fa di nome Mario Bava, uno dei maestri più influenti
nella storia del cinema nostrano. Mettiamo subito in chiaro una cosa. In una sfida fra i due,
il buon Lamberto ne uscirebbe sicuramente sconfitto. E di buona distanza.Tuttavia non possiamo certamente dire che il suo cinema sia
pessimo e indegno di nota, d'altronde il talento è un fattore ereditario.
Nella sua filmografia di 15 pellicole (perlomeno quella
cinematografica, visto che il regista ha all'attivo numerosi progetti
televisivi, primo fra tutti lo sceneggiato fantasy “Fantaghirò”), il film
che sicuramente più rappresenta il suo modo di fare cinema (e, forse, quello di
maggiore qualità) è sicuramente “Dèmoni” del 1985, del quale è
anche sceneggiatore. Ispirandosi ai classici zombie movie di stampo romeriano,
Bava mette in scena un soggetto che, tuttavia, attua uno schema inverso
rispetto al canone classico del genere.
Un gruppo di persone viene invitato da un sinistro individuo
mascherato, alla prima di un nuovo e misterioso cinema, nel quale proiettano un
altrettanto misterioso film horror. Presto scopriranno di trovarsi dentro un
incubo, quando si accorgono di essere rimasti intrappolati all'interno
dell'edificio, mentre una donna viene posseduta da un'entità sovrannaturale,
con lo scopo di contagiare ed uccidere gli altri malcapitati. A differenza dei classici film sui morti viventi, qui la
minaccia non proviene dall'esterno, ma dall'interno, dove la salvezza si
raggiunge una volta riusciti a fuoriuscire dal luogo in questione. Questo meccanismo, unito all'atmosfera lugubre, alle stanze
piccole e persino ai condotti dell'aria, dona al film un'aura totalmente
claustrofobica e ansiogena, insieme ad una regia che predilige spesso
soggettive e primissimi piani.
L'occhio di papà Mario è visibile in ogni scena, un modo di
fare cinema che Lamberto ha avuto modo di sperimentare al fianco del genitore
nel notevole “Shock” co-diretto dai due.
La gestione delle luci, dove i colori caldi la fanno da
padrone, ad esempio, è solo uno dei fattori ereditati dal cinema del padre. Ma non aspettatevi eccessiva raffinatezza nella messa in
scena. Qui la parola d'ordine è violenza, ed il sangue scorre che è una
bellezza, grazie anche agli incredibili effetti speciali del grande Sergio
Stivaletti, che raggiungono il loro culmine nelle scene di “trasformazione”.
Notevole è la scelta di porre a contrasto la paura indotta
dalle scene di suspense, di cui parlavamo sopra, alle scene puramente action,
come quella, ormai divenuta cult, in cui il personaggio di George (Urbano
Barberini) uccide i demoni con una katana a bordo di una motocicletta, con
in sottofondo il classico “Fast as a Shark” degli Accept.
Tutti elementi, questi, che alzano indubbiamente la qualità
di una pellicola che conta, ma non ne facciamo un'eccessiva colpa, diverse
ingenuità a livello di sceneggiatura, sebbene il fattore metacinematografico
funziona alla grande, fornendo al film un'ulteriore tematica sociologica dello
“spettatore al cinema”, visto che la sala in cui si svolgono le vicende è una
sala come tutte le altre, estremamente simile a quelle in cui lo spettatore
reale si recava nel 1985.
Un nuovo modo di trasmettere la paura, che persino Carpenter
affronterà nel suo capolavoro “Il seme della follia”.
Comunque, l'enorme successo di Démoni, porterà Bava a
dirigerne un diretto seguito, anch'esso notevole, del quale, sicuramente,
parleremo in seguito.
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