L’essenza intrinseca dell’esistenza umana consiste, principalmente, nella sconfinata quantità di fattori che la compongono. Lo scopo di illuminare nonché studiare tale molteplicità è da sempre stato affidato all’arte, una vera e propria batisfera capace di andare a fondo nei sentimenti umani e nelle circostanze dai quali scaturiscono. La ragione per cui tale compito sia stato attribuito all’arte risiede nella possibilità di guardare il mondo attraverso gli occhi di qualcun altro. Per quanto macabra e oscura possa rivelarsi talvolta tale visione si tratta pur sempre di una delle sfaccettature che animano la mente umana, dove i freni inibitori non esistono, rivelandosi molto spesso un universo molto più violento della realtà sensibile stessa.
Uno degli artisti che ha aderito con fervente entusiasmo all’opera di rappresentazione nuda e cruda dei mostri che abitano la mente umana è stato Francisco Goya (1746-1828), pittore spagnolo del XVIII secolo. È a lui attribuita, infatti, una serie di ottanta incisioni realizzate negli anni 90 del XVIII secolo che prende il nome di Los Caprichos. L’opera, realizzata con tecniche quali acquatinta e acquaforte, è di immensa portata sociale: attraverso una satira spietata e pungente Goya denuncia l’oscurantismo, la superstizione e l’ignoranza che dilagavano nella società spagnola del suo periodo.
Una delle tavole più eloquenti dell’intera serie è intitolata Il sonno della ragione genera mostri, realizzata nel 1797 e conservata al Museo del Prado di Madrid. La scena raffigurata vede come protagonista un uomo, forse l’artista stesso, che dorme poggiandosi col capo sul tavolo, mentre tutt’intorno a lui incombono delle figure mostruose e inquietanti. La tavola ha una profondissima valenza metaforica: l’uomo dormiente rappresenta il cosiddetto “sonno della ragione”, ossia quello stato di quiescenza della ragione, di ignavia, che causa, appunto, la nascita dei mostri, delle superstizioni del suo tempo.
Lo spazio pittorico è organizzato in modo brillantemente strategico, in modo da posizionare la figura dell’uomo dormiente al centro dei due segmenti laterali dell’area della scena, nell’emisfero inferiore del quadro, ed è l’unico punto di luce presente nel quadro, insieme al tavolo.
La tecnica dell’acquatinta, un particolare tipo di incisione, ha permesso a Goya di creare ombre turbinose che rappresentano a tutti gli effetti l’inquietudine del suo animo, tormentato dagli incubi irrazionali. Si potrebbe, dunque, parlare di fobia, ossia di paura irrazionale, proprio a causa dell’assenza della ragione.
La crudezza e la profondità di quest’opera, così come il resto dei suoi Caprichos, hanno fatto in modo che Charles Baudelaire scrivesse di lui, affermando che il grande merito di Goya è sicuramente quello di riuscire a creare il “mostruoso verosimile”, specificando, dunque, anche l’attualità dei temi da lui trattati.
Non si può, tuttavia, dare un’interpretazione univoca del quadro a causa del termine “sueño”, che in spagnolo vuol dire sia sogno che sonno. Nonostante oggi la versione universalmente accettata dalla critica sia “sonno”, all’epoca in Spagna, siccome operava ancora l’Inquisizione, si preferiva accettare la traduzione di “sogno”.
È evidente anche il richiamo filosofico al sonno dogmatico di Kant, dal quale si è svegliato nel 1769, l’anno che gli “diede la luce”.
L’enorme attualità dell’opera di Goya lo rende ancora oggi estremamente interessante, grazie anche alla lettura stratificata che è possibile operare rispetto ad ogni sua opera, scoprendone ogni volta nuovi dettagli che vanno oltre l’orrore, oltre il sensibile.
Articolo di Manuela Griffo
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