Luglio 1971, in uno sperduto paesino messicano, all’interno di un piccolo locale di gestione familiare, parenti e amici spensierati gustano dei deliziosi tamali preparati in casa con carne freschissima, un taglio particolare e assai ricercato, nonostante di difficile reperibilità. Una carne tenera e succulenta sazia le papille gustative di tutti i clienti. Per chi non lo sapesse, il tamale è un piatto di origine messicana a base di carne trita con peperoncino piccante e farina gialla, che viene cotto avvolto nel cartoccio del granoturco, un piatto, tutto sommato, abbastanza semplice, difficile da sbagliare: la cosa fondamentale per un ottimo tamale è solo un buon taglio di carne.
E, fidatevi, Trinidad, la cuoca, ne sapeva abbastanza di tagli di carne.
Il ristorante era, infatti, mantenuto da lei e dal marito Pablo, un uomo alcolizzato e violento che non esitava di abusare e recare violenza nei confronti di moglie e figli, usando come attenuante per le sue violente gesta l’alcol che, a litri scorreva, nel suo corpo quotidianamente. Non ebbe mai alcun ostacolo, nessuna resistenza, fino a quando, un giorno, Trinidad, oramai stanca di ciò che era costretta a subire come se fosse una routine non voluta e tanto meno necessaria, fece ciò che di più ragionevole le passò per la testa: prese una mazza, una di quelle di legno duro, di quelle che ti fanno saltare i denti con un colpo ben assestato, e massacrò il marito nel sonno colpendolo ripetutamente, ancora ed ancora, fin quando non fu certa che nessuna traccia di vita potesse risiedere in un quell’ammasso di carne sanguinante.
Il passo successivo fu altrettanto ragionevole e calcolato, dopotutto avrebbe dovuto disfarsi del cadavere senza che venisse ritrovato, e cosa meglio che prendere due piccioni con una fava? Staccando i brandelli di carne dal letto di cui il colore originale era oramai indistinguibile, lo trasportò nella cucina del ristorante e, con un affilato coltellaccio che era solita usare per tagliuzzare la carne, fece esattamente ciò che faceva normalmente ogni giorno per vivere. Le braccia dell’uomo vennero spezzettate, arricchite di peperoncino piccante e farina gialla e riposte in cartocci di granturco pronti per essere serviti a tutti i suoi affamati clienti. Il corpo dell’uomo restò in cucina, sarebbero durato abbastanza ad occhio e croce, mentre la testa, probabilmente fusa con il cuscino, venne lasciata nell’ultimo luogo in cui si era posata.
Oppure no.
Forse la donna, Trinidad, non era stanca del marito Pablo, pover’uomo, magari alzava sì il gomito qualche volta, ma era uno di quegli ubriaconi bonaccioni che trasmettono allegria a chiunque sia loro intorno. Forse era la donna la squilibrata e, vedendo il saldo del ristorante, chiaramente in fallimento, pensò che, a ragione, la carne più tenera è quella dei cuccioli e che, seppur non ci fossero molti vitelli nei paraggi, vi era una scuola elementare piena di cuccioli d’uomo che ci si perdono attorno. Chi mai si sarebbe accorto di star mangiando i propri figli dopotutto?
Eppure potrebbe non essere nemmeno questa la storia, forse questa storia non è mai esistita in primo luogo, dopotutto si tratta di una leggenda popolare, una di quelle che cambiando negli anni, ad ogni narrazione, arricchendosi di grotteschi dettagli o impoverendosi di ben congegnati colpi di scena che il narratore precedente aveva posizionato strategicamente sul finale.
In realtà sappiamo la presunta verità su questa storia, ossia che la donna effettivamente uccise il marito e ne cucinò la testa, ma quale sia la sua veridicità non è in realtà ciò che c'interessa appurare in questa sede specifica, ciò che c’importa è quello che ha ispirato e che, similmente alla leggenda originale, resta avvolto in un alone di mistero: “El alimento del miedo” (“The Food of Fear”, “Il cibo della paura”), un film horror del 1993 diretto dal maestro dell’orrore messicano Juan López Moctezuma, uno dei cineasti preferiti del premio Oscar Guillermo Del Toro che lo annovera tra i suoi principali ispiratori dal punto di vista stilistico.
Cristina Ferrare in "Mary, Mary, Bloody Mary' |
La pellicola, girata in America tra febbraio e marzo del 1993, basata su una sceneggiatura di Jorge Victoria, ispirata alla leggenda di cui avete appena letto due variazioni, purché non attinga strettamente a nessuna di loro, risultando un’interpretazione più autoriale e originale del mito; dopotutto anche il suo “Mary, Mary, Bloody Mary” del 1974, nonostante il titolo, narra di un’artista che realizza di essere una vampira bisessuale di nome Mary (Cristina Ferrare) che semina il terrore in Messico in parallelo agli omicidi di suo padre (John Corradine), un vampiro mascherato impazzito per la fame: una storia ben lontana da quella del fantasma evocato allo specchio che siamo soliti immaginare.
La trama vedeva infatti, come protagonista, Petra (Isaura Espinosa), la moglie del proprietario di circo Don Ramón (Moctezuma stesso), responsabile della figlia dei vicini finiti in carcere per traffico di droga, Flea. Quest’ultima viene costretta da Petra a lavorare in casa e a cercare un lavoro nonostante abbia solo cinque anni, finendo per stringere amicizia con Pepito, un pagliaccio che si esibisce per strada. Tutto sfocia nell’orrido quando un satanista si avvicina al circo e inizia un rapporto amoroso con Petra, finendo per uccidere Flea che, in modo da occultarne l’omicidio per proteggere l’amante, viene servita in tamali dalla donna che avrebbe dovuto vegliare su di lei.
Juan López Moctezuma |
Il film, nonostante fosse stato proiettato in diverse sale messicane, da quanto è noto, finì velocemente perso e, se non bastasse, non fu apprezzato dai pochi che ebbero l’opportunità di vederlo. Anche un altro progetto girato in parallelo del regista, morto nel 1995, un anno dopo le presunte proiezioni, è considerato ad oggi perso, “Yo el vampiro” (“I the vampire”, “Io il vampiro”), una miniserie di tre episodi su cui non si sa assolutamente nulla e che, probabilmente, non vide mai la fine delle riprese a causa del ricovero del regista in un istituto psichiatrico a causa dell’Alzheimer.
Sfortunatamente non pare esista alcuna copia dell’opera disponibile e sembra poco probabile che verrà mai rilasciato a causa della morte della quasi totalità del cast e della crew, con alcuni dei pochi ancora in vita lontani dai social network, anche se la Cineteca Nazionale Messicana ne conferma l’esistenza sul proprio portale online, lasciando speranza che una copia possa esser conservata nel loro archivio fisico.
Qualsiasi sia la realtà ed il fato del film, è improbabile che lo vedremo mai, così come è improbabile che, se in un ristorante ti venisse servita carne umana, tu potresti accorgertene,
Buon appetito.
Articolo di Robb P. Lestinci
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