martedì 10 settembre 2019

...eat me alive (Recensione "Apocalypse Domani")

Il tema del cannibalismo ha sempre suscitato grande interesse nel nostro panorama cinematografico. A cavallo fra gli anni 70 ed 80, numerosi autori di genere come Sergio Martino ("La montagna del dio cannibale”), Umberto Lenzi (“Il paese del sesso selvaggio”, “Mangiati vivi!”, “Cannibal Ferox”), Joe D'Amato (“Antropophagus”), influenzati dall'enorme successo del magnifico “ Cannibal Holocaust” di Ruggero Deodato, decisero (sotto l'influenza della scalpitante produzione italiana) di mettere in scena i propri “mangiatori di uomini” nelle pellicole sopracitate. Caratteristica comune di questo sotto-genere era (anzi è, come ci ha dimostrato Eli Roth nel suo notevole “ The Green Inferno” ) un'ambientazione prevalentemente “selvaggia”, fatta di giungle e villaggi, con il verde della vegetazione in primissomo piano, accompagnato dal rosso del sangue e della carne dei malcapitati di turno, fino a far prevalere quest'ultimo, con scene di violenza estramamente efferata, che unite, appunto, al “taboo” del cannibalismo, contribuivano a shockare lo spettatore, fino ad allora abituato ai ben più “semplici” zombie movie
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Possiamo dire che questo shock provato dallo spettatore non sia dato tanto dall'atto, già inquietante di per sé, ma ormai non più inedito, di “essere divorati”, ma piùttosto dal sapere “chi divora chi”. Un morto che mangia un vivo è sì inquitante, ma non provoca quella sensazione di disagio che crea vedere un vivo mangiare un vivo, ed è questo il fattore che, molto probabilmente, ha portato al successo il filone in questione.  Ma come per ogni genere, non tutti i film che vi appartengono seguono le medesime convezioni. Siamo tra il 79 e l'80 quando il grande regista romano Antonio Margheriti decide di evitare lo stiole ormai rodato del cannibal movie, girarando “ Apocalypse Domani”. Il titolo già suggerisce una tematica importante, quella del conflitto bellico, delineato alla perfezione da Francis Ford Coppola l'anno prima, con l'indescrivibile “ Apocalpse Now".
La storia è quella del capitano Norman Hopper (interpretato dal grandissimo John Saxon), reduce del Vietnam rimasto traumatizzato dalla visione di due suoi commilitoni, prigionieri dei vietcong, intenti a sbranare il corpo di una giovane. La situazione degenera quando uno di questi due, Charlie Bukowski (Giovanni Lombardo Radice) evade dall'ospedale psichiatrico nel quale era rinchiuso seminando il panico per le strade della città, in un delirio di violenza provocato dalla drammatica esperienza della guerra e da una strana fame che lo pervade. È solo l'inizio di un terribile incubo.

Possiamo già notare da questa trama quella rottura di convenzioni che accenavamo prima. Qui l'ambientazione (fatto salvo per i primi, folgoranti, cinque minuti del film) è esclusivamente urbana, andando ad esplorare la città in ogni suo angolo, dalle strade, alle stazioni di polizia, agli ospedali e persino alle fogne. E' l'incubo dell'uomo-mangia-uomo, normalmente considerato come appartenente ad una realtà estramamente tribale e sottosviluppata, trasportato nella nostra “civiltà”, nel nostro mondo, non più esclusivo di terre lontane e, fortunatamente, irraggiungibili.
 
Ma la nostra è davvero una “civiltà” tanto migliore? Sembra questa la domanda che Margheriti vuole fare al pubblico. E' da considerarsi civile un paese che manda al macello i propri cittadini per un benessere superiore, che li fa uscire di testa, per poi piazzarli in delle cliniche psichiatriche? Non è forse anche questa una forma di cannibalismo? Così fosse, parleremmo di un cannibalismo certamente peggiore di quello indigeno, perché non provocato dagli istinti corporei, ma dagli interessi, per i quali siamo disposti anche a “ mangiarci ” fra noi.Tuttavia, dal momento in cui stiamo parlando comunque di cinema di genere, vien da sé che queste tematiche profonde non rappresentano il perno centrale della pellicola, ma solo il contorno di un secondo piatto abbondante a base di

Le scene splatter, infatti, sono innumerevoli ed estramamente crude, in alcuni casi persino gratuite, oltre che molto convenienti, frutto del lavoro del veterano Giannetto De Rossi, un nome che a molti lettori del nostro sito risulterà estremamente familiare. Per dare ancora più forza alle scene più violente, Margheriti predilige una regia retta prevalentemente dai primi piani e dai dettagli dei particolari più cruenti, come ad esempio nella scena, ormai divenuta cult, del “buco nella pancia”, in cui la macchina da presa inquadra, attraverso lo stomaco della vittima, i poliziotti intenti a sparare).

 
Altro elemento interessante è sicuramente la caratterizzazione e l'evoluzione dei personaggi principali, soprattutto quella del protagonista, che porterà lo spettatore a non essere mai totalmente dalla parte di qualcuno, rendendolo un osservatore passivo delle vicende in atto, vicende nelle quali anche i personaggi appartenente meno importanti iniziano ad avere un loro ruolo sempre più fondamentale, culminando in un finale dove capiamo, anche quando sembra tutto finito, che l'Apocalisse , una volta scatenata, è inarrestabile, e soltanto Domani ce ne accorgeremo.

Articolo di Andrea Gentili

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