1998, Ohio, alla Herrington High cinque studenti denunciano misteriose attività
extraterrestri, convinti che alcuni alieni stiano prendendo possesso dei corpi dei loro docenti e compagni di classe tramite una sorta di parassita infilato nelle loro orecchie sotto ordine di una loro compagna, in realtà l’Aliena Regina sotto mentite spoglie umane.
Quella che avete appena letto non è una reale notizia di cronaca, ovviamente, bensì
la premessa della pellicola del 1998 “The Faculty”, un horror a tinte fantascientifiche diretto da Robert Rodriguez (proprio il pupillo di Quentin Tarantino regista di “Planet Terror”,
“Machete”, “Sin City” e del più recente “Alita”) con Elijah Wood nel ruolo del protagonista disadattato Casey, uno dei sei ragazzi che oppongono resistenza all’invasione d’oltremondo.
Il concetto di
alieni che “prendono in prestito” le apparenze o i corpi degli
uomini in modo da conquistarli dall’interno non è però un concept
inedito ed innovativo, infatti, trova le sue origini già nel 1955
con due racconti, uno più famoso ed uno meno, rispettivamente
“L’invasione degli ultracorpi” di Jack Finney (che ha poi
ispirato l’omonimo film del 1956 di Don Siegel) e “La cosa-padre”
di Philip K. Dick: in entrambi i racconti assistiamo ad un’invasione
extraterrestre mediata attraverso la sostituzione degli umani con gli
invasori spaziali che s’infiltrano, imitano i nostri comportamenti
ed il nostro aspetto, cercando di infettare, conquistare, tutto il
genere umano. Nel primo, alcuni semi cadono dal cielo e, crescendo,
assumono le fattezze esatte di un umano che, una volta che la sua
replica prende forma, muore, dissolvendosi nell’aria, in modo che
il suo sosia possa prenderne il posto senza destare sospetti,
subdolamente infiltrandosi nella popolazione che intende conquistare:
«Gli
uomini, le donne e i bambini della comunità erano diventati
qualcos'altro, dal primo all'ultimo. E ognuno era nostro nemico,
compresi quelli che avevano le facce, gli occhi, i gesti e il modo di
camminare dei nostri amici e parenti. Non c'erano alleati per noi,
chiusi là dentro, e già il contagio andava diffondendosi fuori
città.».
Se, come visto, da un lato abbiamo un’invasione aliena di grande
portata e di origine “conosciuta”, nel racconto di Dick abbiamo, invece, una situazione ben più tendente al misterioso, senza alcuna
esplicazione di ciò che leggiamo, lasciando addirittura anche la
stessa supposizione che si tratti di alieni tale: una congettura. Nel “La cosa-padre”, infatti, assistiamo a due uomini, Charles e
Peretti, fronteggiare un sosia malevolo del padre del primo,
che da il titolo al racconto, mentre cerca di catturarli, rivelando
poi, nel finale, che anche un'altra creatura si sta formando in una
sorta di bozzolo.
Le motivazioni di questi temi di sostituzione, infezione aliena,
marcate agli inizi degli anni ‘50 si configurano con la storia del
paese americano fino proprio al 1955, il cosiddetto periodo
maccartista, chiamata così dal disegnatore satirico Herbert Lock per
il senatore Joseph McCarthy, presidente della commissione
parlamentare d’inchiesta che aveva accusato alti gradi
dell’esercito di “simpatie comuniste”: in quegli anni, infatti,
gli USA vivevano in uno stato di terrore per la superpotenza
sovietica, temendo “influenze comuniste” nelle istituzioni
statunitensi, anche a causa dei recenti casi di spionaggio sovietico
venuti a galla, della rivoluzione della Cina comunista e della guerra
di Corea. L’America, in sostanza, viveva in una vera e propria
isteria di massa, in un periodo di terrore “fascista”, come lo
definì l’attivista Eleanor Roosevelt, che non poteva non
trasmettersi nel genere che da sempre fa da specchio della società:
la fantascienza.
Questo tema si rispecchia nuovamente nel 1960 con un episodio della
celebre serie antologica “Ai confini della realtà” (“The
Twilight Zone”) diretto da Ronald Winston e scritto da Rod Serling,
“The Monsters are Due on Maple Street” (in Italia “I mostri di
Maple Street”), dove, in un vicinato, assistiamo ad una crisi
paranoica che porta alla convinzione che degli alieni stiano per
invaderlo, trascinandone ogni abitante in una psicosi collettiva, tutti gli uni contro gli altri in una "caccia alle streghe" (o agli alieni in questo caso), ironicamente,
permettendo proprio così agli effettivi invasori di conquistarli,
generando in loro sospetti e ostilità reciproche, non avendo
bisogno di fare, de facto, nulla di persona e lasciando che il
timore, le insicurezze e la paura dell’umanità stessa li
annientassero, “un vicinato alla volta”.
Se parliamo di paranoia e di incapacità di fiducia verso il
prossimo, non può non venire subito alla mente un altro grande
classico del cinema horror fantascientifico, il capolavoro di John
Carpenter del 1982 con Kurt Russell, “The Thing” (“La cosa”).
Nonostante sia considerato dalla massa il remake del film del 1951
“La cosa da un altro mondo” di Christian Nyby e Howard Hanks, in
realtà, i due film non hanno molto da spartire in quanto, la stessa
creatura, differisce e solo la premessa iniziale di una spedizione in
Antartide che libera un’inarrestabile forza da un altro pianeta
(“un altro mondo”, appunto) è in comune. Le similitudini, però,
sono dovute al fatto che entrambe le pellicole, più che essere in
stretta relazione tra loro in sé, s’ispirano allo stesso racconto,
ancora più vecchio de “L’invasione degli ultracorpi”,
precedendone i temi trattati di quasi 20 anni: “Who Goes There?”
di John W. Campbell Jr. del 1938, pubblicato sulle pagine della
rivista del settore “Astounding Science-Fiction” sotto lo
pseudonimo di Don A. Stuart. In esso, similmente al film di
Carpenter, una misteriosa forza mutaforma prende il posto dei membri
della spedizione in Antartide generando un clima di tensione e
paranoia tra i sopravvissuti, costretti a mettere in dubbio l’umanità
dei loro stessi amici e colleghi ed a dimostrare ad ogni costo la
propria per sopravvivere.
Spostandoci dal capolavoro di Carpenter e dal suo ambiguo finale,
oggetto di numerose ipotesi ed interpretazioni, di cui, magari,
tratteremo in futuro, passando per "Essi Vivono" dello stesso regista del 1998, che narra di un operaio che scopre come degli alieni impostori controllino l'umanità tramite messaggi subliminali, e per gli extraterrestri rettiliani infiltrati
nel nostro mondo con sofisticati travestimenti umani di “V –
Visitors” del 1983, e precedendo di una decina di anni il suo
prequel, torniamo nel 1998, anno in cui, in parallelo all’uscita di
“The Faculty”, lo scrittore di horror per ragazzi (ma non solo,
nonostante le sue opere per pubblico maturo siano inedite in Italia),
R. L. Stine, pubblica, sulle pagine della serie antologica di romanzi
per giovani lettori “Goosebumps” (“Piccoli Brividi”) un
tributo all’opera di Jack Finney, “L’invasione degli
stritolatori”: Jack Archer è un ragazzo normale che inizia a
sospettare che il vicino Fleshman nasconda qualcosa legato a delle
strane creature extraterrestri che, nella seconda parte dell’opera,
possederanno i corpi degli umani abbracciandoli e costringendoli al
loro controllo, in una delle opere più adulte dell’intera serie di
libri.
Come avrete potuto constatare voi stessi, dunque, il tema di “alieni
infiltrati” è un qualcosa di trasversale nel corso dei decenni,
che va ad identificarsi con una reale condizione psichica umana, seppur
assai rara, la cosiddetta “sindrome di Capgras”, teorizzata per
la prima volta nel 1923, ossia una condizione nella quale, chi ne è
afflitto, è convinto che chi lo circonda non sia chi conosce
realmente, bensì un perfetto sosia, sostituto, e che non smette di
pensare ciò neanche dinanzi a prove schiaccianti del contrario. Se
volete approfondire su questa particolare condizione clinica
consigliamo la lettura di questo articolo che offre numerosi ulteriori spunti d’indagine.
Se vogliamo, invece, spostarci alle credenze popolari umane ci
basterebbe pensare alla credenza del doppelgänger (letteralmente
“doppio viandante”), ossia il doppio di se stessi o di un proprio
conoscente, una sorta di gemello malvagio o, addirittura, di origine
paranormale, che porterebbe morte o sventura a coloro che ci
s’imbattono. Addirittura Marco Giunio Bruto, uno dei congiurati e
figlio adottivo di Caio Giulio Cesare, racconta Plutarco, viveva nel
terrore del proprio doppio, profetizzatogli in sogno dallo spettro
dello stesso Cesare che aveva ucciso, e che, effettivamente, incontrò
tre volte la notte prima della battaglia di Filippi, descrivendolo
come un’ombra che si sarebbe etichettato il suo “cattivo demone”.
Ancora, Flavio Claudio Giuliano, vide il fantasma di un suo
conoscente ancora in vita, il Genius Publicus, una notte che non
riusciva a prendere sonno; Abrahm Lincoln raccontò alla moglie di
aver visto un suo secondo riflesso allo specchio; John Donne e Guy de
Maupassant anche avrebbero entrambi avuto incontri simili, il primo
con il doppio della propria moglie ed il secondo con il proprio,
riportato in un reportage di cui autenticità è, ovviamente, messa
in dubbi dagli scettici.
Nigel Watson arrivò alla conclusione, a seguito dei suoi resoconti
di avvistamenti di dischi volanti, che il fenomeno doppelgänger
fosse collegato proprio ad essi, notando come, spesso, venivano
vissuti proprio in relazione all’avvistamento di UFO, come se questi ultimi ne fossero la diretta causa. Che siano i Doppelgänger
proprio dei sosia, delle imitazioni, dei sostituti extraterrestri?
Beh, questo ci è impossibile dirlo con certezza, ma, nel dubbio, se
fossi in voi, controllerei due volte l’identità dei miei amici,
colleghi o conoscenti: potreste star vivendo una subdola invasione
aliena e non esservene nemmeno resi conto.
ARTICOLO DI
Per approfondire l'argomento consigliamo la
lettura del saggio “La cosa da un altro mondo: Da H. P. Lovecraft aJohn W. Campbell, tutto sui due film di Howard Hawks e John Carpenter” di Luigi Cozzi, edito da Profondo Rosso Store
Sempre riguardo la sindrome di Capgras, abbiamo, inoltre, recensito un film che ne tratta e di cui potete leggere qui
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