La scelta della traduzione che abbiamo dato al nome della serie di radiodrammi (auto)prodotti dalla H. P. Lovecraft Historical Society (proprio quella della pagina Facebook a cui molti saranno iscritti pur non essendo a conoscenza di essa), ovvero “Dark Adventure Radio Theatre”, viene principalmente dall'oscurità in cui, come i Grandi Antichi asspoiti per eoni in cosmiche tane, hanno giaciuto all'insaputa di gran parte del pubblico italiano, o comunque non avendo mai avuto la possibilità di riceverne la benchè minima attenzione nel campo della critica più o meno professionale: ovviamente il limite è più che mai prettamente linguistico, essendo il radiodramma la (ri)proposizione di un testo, letterario, teatrale o totalmente originale, il cui senso diegetico viene portato avanti perlopiù da “scene” composte esclusivamente da dialoghi ed effetti sonori e musicali; e così, sebbene l'Italia non sia affatto estranea a questa peculiare forma artistica pur non più in voga come un tempo, non è difficile spiegarsi come mai non si sia mai parlato dei DART della HPLHS (così li chiameremo entrambi d'ora in poi) più di quanto non si parli dei radiodrammi della BBC o addirittura di quelli della stessa Rai Radio 3. L'espediente narrativo con cui Orson Welles scatenò notoriamente il panico per gli Stati Uniti con l'adattamento del più noto romanzo dello scrittore quasi suo omonimo ed al centro del primo articolo del sottoscritto su questo sito, sembrerebbe essere destinata a soccombere specialmente in Italia alla spinta che il confronto con forme audiovisive più complesse quali il cinema e la televisione le hanno dato sull'orlo del declino.
Tuttavia questa situazione è stata radicalmente cambiata anche nel nostro paese dall'avvento della globale e immediata condivisione e fruizione di produzioni audiovisive, giacchè l'assenza di un approccio ottico al radiodramma viene soppesato dalla sua vicinanza allo sceneggiato cinematografico o televisivo insieme ad una rinnovata immediatezza e gestibilità della fruizione, tenendo anche conto di tutte le nuove e più ampie possibilità acustiche dei giorni nostri: ogni singola miglioria che si poteva trarre dalla natura del radiodramma ed espletamento delle sue potenzialità artistiche la HPLHS lo ha applicato con il risultato migliore possibile, fin da quando nel 2007 (o, come dice il “finto” presentatore Josh Thoemke in maniera simile a conclusione di ciascun episodio, dall'anno «1931... più 75»), produssero il primo esemplare di questa fortunatissima serie, tratto dal romanzo (ovviamente) di Lovecraft “Alle Montagne della Follia”, portando questa postmoderna reinterpretazione della forma e dei chichè dei radiodrammi americani degli anni '30 alla sua venticinquesima incarnazione con il penultimo episodio, che è (ancora una volta) ovviamente “La Paura in Agguato” (“The Lurking Fear”). Ricordiamo pure che Lovecraft visse e scrisse le sue opere più famose e riuscite proprio in quegli anni, affermando una volta con poca lungimiranza: «non permetterò mai che un testo con la mia firma venga banalizzato e volgarizzato in quella sorta di pastone infantile che passa per “horror” al cinema e alla radio» (Selected Letters, vol. IV, p. 156). Come chi scrive già ha fatto con tutti gli articoli redatti finora (operazione a cui dovremmo trovare un nome prima o poi), e prima della conclusione della trilogia sul “Regno dell'Invisibile” (trovate l'ultimo di questi articoli qui), le possibilità di confronto tra cinema e letteratura offerte da questi prodotti saranno ora e, se vorrete con altri articoli, messe accuratamente a setaccio.
Prima di ciò, va detto che i due film prodotti dalla HPLHS, diretti rispettivamente dai due “capoccia” e fondatori dell'organizzazione (la cui nascita, durante una sessione di LARP del “Cthulhu Lives!” cui i nostri mettevano amichevolmente in scena avvenimenti fittizi che non potevano non catturare l'attenzione della polizia, meriterebbe un articolo a sé stante) Andrew Leman e Sean Branney, sceneggiatori di entrambe le pellicole e di tutti i radiodrammi, sono stati già diverse volte esaminati dalla critica italiana del web, e questo in ragione della forte impronta internazionale dell'operato della HPLHS, e sia il mediometraggio muto “The Call of Cthulhu” (2005) che il lungometraggio sonoro “The Whisperer in Darkness” (2011), ottimi adattamenti in bianco e nero degli omonimi racconti realizzati come produzioni nell'epoca in cui HPL era in vita (ma senza gli impedimenti che avrebbe generato questo suo stato organico), giovano di edizioni home video vendute, sullo store del sito, arrichiti pure della presenza di sottotitoli italiani. I DART, molto intuitivamente, non dispongono di sottotitoli, ma confidiamo che in un epoca dove l'onnipresente utilizzo della lingua inglese online ne provoca una collettiva acquisizione spontanea e necessaria, simile a quella che si otterrebbe vivendo in un paese straniero, potrebbe essere fare la differenza il sapere che per ciascuno di questi radiodrammi sono disponibili gli script, molto simili a delle sceneggiature cinematografiche ma con la prevalenza di dialoghi e sole descrizioni sonore, in PDF sulla sezione del sito ad essi dedicata. Sperando dunque, di aver almeno in parte ovviato a questo problema di forma, veniamo al contenuto ed alla qualità.
Fino all'episodio “La Paura in Agguato” uscito qualche mese fa, ogni DART veniva presentato in un'edizione fisica che includeva un CD nella classica custodia di plastica, ora sostituita da una più pratica bustina in cartone, ma resta inalterato il realismo degli stupefacenti props, retaggio degli indizi che i giocatori possono trovare durante le loro investigazioni nel RPG Il Richiamo di Cthulhu e che trasformano in paraphernalia cartacei (ma nello store troverete tranquillamente anche idoli e feticci in “carne ed ossa” che rischieranno di prosciugare tanto la vostra sanità mentale quanto il vostro portafoglio) quali macabri articoli di giornale, documenti di istituzioni statali, sconcertanti fotografie rivelatrici, appunti di malati di mente e chi più ne ha più ne metta, ispirati al racconto di Howard Phillips Lovecraft in questione: ovviamente sono disponibili opzioni più economiche, quali il solo acquisto dei props insieme ad un'edizione digitale del radiodramma o il solo MP3, evitando il fastidioso fardello di una spedizione transcontinentale (almeno finchè qualcuno non si degnerà di distribuire questi magnifici prodotti nel nostro paese). Ma parlando del “racconto in questione” in questione, “La Paura in Agguato” non sembrerebbe dare al purista privo di fantasia molte opportunità di qualità per un adattamento di qualsivoglia natura, dato che Lovecraft lo scrisse su commissione e con un numero di pagine prestabilito per la rivista “Home Brew” nel 1922, da qui tanto la bassa considerazione in cui l'autore stesso, strenuo sostenitore del concetto di “arte per l'arte”, lo teneva, tanto l'effettiva farraginosità della storia che rischia di trasformare i topoi concettuali di Lovecraft in veri e propri clichè formali; ad ogni modo vi leggiamo della scoperta da parte del narratore anonimo di turno dell'orrenda verità che si cela dietro una serie di morti e sparizioni nei pressi di una casa apparentemente abbandonata sui monti Katskills, NY: la famiglia olandese che vi abitava secoli addietro, i Martense, è ancora lì, ma il costante isolamento dal mondo esterno ed i conseguenti accoppiamenti tra consanguinei, li ha portati ad un livello di degenerazione tale, fisico oltre che mentale, da renderli un branco di primati carnivori e subumani abitatori del sottosuolo che rifuggono la luce del sole e dei tuoni.
Albini e dagli occhi di colori differenti (uno azzurro, l'altro marrone), unica vestigia riconscibile della loro perduta umanità, queste creature da incubo figurano fieramente nell'illustrazione principale con cui Darrell Toutchton (giocatore di vecchia data delle partite di Role Play di Leman e Branney) impreziosisce la custodia tanto di questo CD, così pure come fa per quelle di tutti gli altri DART, ma nel racconto i Martense hanno sicuramente una funzione più di maniera rispetto ai non così diversi ibridi de “La Maschera di Innsmouth” dalla complessa mitologia, mentre è strano vederli essere addirittura definiti come «l'incarnazione del caos»; tuttavia, sebbene Lovecraft porti forse anche troppo alle estreme conseguenze gli spunti derivanti dalle sue concezioni razziste (e ci rendiamo conto che la cosa merita un discorso a parte, ma sfortunatamente non è questa la sede per farlo) e le sue inquietudini xenofobe (che non necessariamente generano un prodotto che debba pure essere tale), mancando così di dare il giusto peso alla degenerazione biologica che ha colpito i Martense in favore, per l'appunto, di un'esagerata ed elaborata parafrasi che, al contrario di altri racconti dove passava dall'essere più sapientemente controllata al risultare comunque sovversivamente contestualizzata, sfugge pomposamente fuori controllo, manieristicamente, per cui, insomma, l'orrore è orribile più per modo di dire che per come viene posto - tuttavia, sebbene tutto ciò sia vero, un sottilmente e genuinamente inquietante dubbio ci viene da questo racconto, un dubbio che probabilmente Lovecraft non aveva neppure preso in considerazione in favore di un edulcorata concezione della “civiltà” (famose sono le sue dispute con Robert E. Howard in proprosito), e la scrittura di Branney e Leman, prestandosi particolarmente bene al nostro discorso in bilico tra cinema e letteratura, mostra come un buona reinterpretazione di un'opera è soprattutto comprensione della stessa, nel bene e nel male, e quindi mai un vero “tradimento”: il senso di stupidità umana che si respira per tutto l'audiodramma porta inevitabilmente alla conclusione che, come gli zombi romeriani, queste creature sono esseri umani nella stessa misura in cui lo siamo anche noi, e il fatto che siano potuti cadere in un simile stato più che una falla nel perfetto meccanismo della civiltà rende la civiltà una falla nel (im)perfetto meccanismo dell'universo, dove è mera linea evolutiva a separa, se separati sono davvero, l'uomo dalla bestia.
Non è la prima volta che una sì brillante reinterpretazione viene apportata dalla HPLHS ai racconti di Lovecraft meno riusciti, tanto quanto una doviziosa fedeltà ad i suoi immutabili capolavori: come nel DART ispirato a “L'Orrore a Red Hook”, la venatura di razzismo e il manierismo letterario vengono trasformate in fisime di personaggi che, nei poco affollati racconti di Lovecraft, non compaiono: ne “La Paura in Agguato” Branney e Leman hanno dichiaratamente spostato il punto di vista della storia dalla parte di quelle forze dell'ordine che spesso vengono coinvolte dietro le quinte negli orrori di HPL, ma che raramente ne sono i protagonisti, pure se il metodo di indagine che sottende la ricerca di una verità nefanda a cui vengono a capo tutti i racconti dello scrittore ricorda molto la linea d'azione di un investigatore, come il RPG insegna; i protagonisti del radiodramma sono, infatti, una coppia di poliziotti mandati inizialmente sui Katskills a visionare la presunta distruzione di un villaggio ad opera dei fulmini, ma i cui abitanti parrebbero essere stati fatti letteralmente a pezzi: il più anziano, doppiato da Branney stesso, è uno spaccone razzista («Ci sono anche degli indiani...ma quelli non contano»), mentre quello apparentemente più giovane e ingenuo (Kevin Stidham) è in realtà un reduce della Grande Guerra e, in un modo che molto ricorda le ripercussioni che il background può avere o meno sui PG del Richiamo di Cthulhu, rimane imperturbabile di fronte allo scempio dei mostruosi Martense, certamente non meno orribile di quello delle trincee, mentre il poliziotto più “vissuto” cade al suolo e vomita. I DART mantengono costantemente, grazie anche a l'impeccabile recitazione, siffatto livello di profondità dei personaggi, che raramente in Lovecraft venivano, almeno volutamente, esplorati. Qui, invece, abbiamo persino il frutto di approfondite ricerche linguistiche, a cui di fatto un radiodramma non potrebbe sottrarsi, e le dicussioni che si svolgono tra gli uomini di città ed i montanari sono rese decisamente notevoli dallo stretto dialetto in cui vengono condotte.
Ma quindi il Lovecraft scrittore dov'è che lo ritroviamo in tutto questo? Dappertutto. Anzitutto, come detto sopra, il manierismo del narratore della storia originale è trasformato nel modo di parlare ampolloso ed esaltato del giornalista del “True Crime Magazine” (Leman) e che diventa quindi il verosimile ospite per quella curiosità al limite dell'irresponsabilità che necessariamente sussiste nei narratori di HPL: le esatte parole con cui si apre la storia di Lovecraft le ripete una per una quando comincia a raccontare ai nostri due piedipiatti quello che effettivamente era l'inizio del racconto originale: insistendo nelle ricerche per la propria rivista riguardo alla strage sulle montagne, ha preso rifugio una notte a casa Martense insieme a due guardie del corpo (nel racconto personaggi palesemente ispirati a due amici di infanzia di HPL), che puntualmente spariscono nella notte. E il modo in cui la polizia liquida questo pedante personaggio, che paradossalmente vorrebbe fare loro una confessione, vorrebbe che qualcuno lo ascoltasse, vorrebbe insomma recitare un racconto da pulp magazine con tutti i noiosi sproloqui del caso, è semplicemente irresistibile oltre che concettualmente arguto e geniale: né una critica all'autore che prende scherzosamente vita in questo ciarliero giornalista, né un addolcimento dei suoi difetti personali (come poteva anche essere il razzismo) o letterari: solo un'obbiettiva ed intelligente presa di coscienza che denota una profonda conoscenza dello scrittore. Avrebbe poi senz'altro fatto piacere allo stesso Lovecraft l'aggiunta del piccolo flashback nel passato di casa Martense, anch'esso ricostruito alla perfezione attraverso il parlato dell'epoca e musiche adatte a ricreare l'ambientazione, e la caustica comicità del tutto (quando un inglese chiede ad uno dei Martense – siamo nel '700, il secolo preferito di HPL – ancora sulla via della degenrazione biologica, se sia il fratello maggiore, lui risponde: «più o meno») però torna a ricordare la “reinterpretazione” di cui sopra, a cui, come Stuart Gordon sottopose “Herbert West: Rianimatore” per realizzare “Re-animator”, lo stesso ha fatto la HPLHS per il DART tratto da quel racconto che proprio con “La Paura in Agguato” ha più cose in comune di qualunque altro, essendo stato scritto per la medesima rivista, nel medesimo modo, e quindi sottoponibile al medesimo processo di reinterpretazione (nel DART “Herbert West: Reanimator” l'elemento bellico ha una valenza molto simile a quella di cui abbiamo è parlato a proposito de “La Paura in Agguato”).
Altro elemento in comune tra i due racconti era proprio un certo tipo di violenza esplicita insolito per Lovecraft, che nel radiodramma esplode subito dopo il flashback, proprio come nel racconto, solo alla presenza dell'esperta di storia locale che ha narrato la storia dei Martense: il reporter che accompagnava il nostro giornalista in questa ennesima indagine si è sporto alla finestra per non risollevarsene mai più, visto che il volto gli è stato letteralmente divorato da una delle creature mentre lo aveva così incautamente esposto all'esterno durante un temporale. A quel punto, il giornalista pensa bene di continuare a sfidare la sorte cercando di placare l'ipotetica causa di tutte le morti, lo spettro del giovane Martense ucciso durante il flashback per la sua lontananza dall'atteggiamento autarchico dei suoi consanguinei, e che, come spesso accade in Lovecraft, si rivelerà come nient'altro che una superstizione che nasconde verità ben più atroci, e il giornalista reca per l'escursione finale a casa Martense con i due poliziotti, cosicchè possa, diversamente dal racconto, venire punto per tuttta la propria stupidità con la morte, avendo due testimoni terrorizzati perchè poi possano raccontarlo: per quel che ci riguarda, la resa sonora del climax della storia, dove la musica di Troy Sterling Nies si fonde alle urla degli uomini, al grugnito dei mostri, al suono dei proiettili e alla lacerazione delle carni in un'incredibile mixaggio che permette addirittura di distinguere la diversa posizione dei suoni nello spazio, vale l'intero ascolto del radiodramma. La paura in agguato è venuta allo scoperto, e il giovane poliziotto non può che chiudere amaramente la storia affermando che tenterà di dimenticare l'orrore che ha fatto impazzire il suo collega. «Se la situazione si fa disperata chiudete gli occhi. E conservate sempre un ultimo proiettile...per voi stessi, è ogni volta l'inquietante monito dello speaker di turno che ha introdotto, e che così chiude, l'episodio. Se poi si pensa che appena prima di dirlo aveva sponsorizzato un fucile da caccia per tenere pulito il proprio giardino, fondendo la candida allegria degli attori pubblicitari all'americanissima tradizione del possesso di armi da fuoco nel modo tanto più ipocrita negli anni '30 di quanto non lo sarebbe oggi, non si può non riconoscere come Andrew Leman e Sean Branney, con una cattiveria ed un'arguzia brillanti, non amano incondizionatamente nè lo spirito dell'epoca che cercano di ricreare, nè lo scrittore di Providence che la visse: li amano e li odiano. Che forse è l'unico modo di apprezzare qualcosa con intelligenza.
Proprio l'altroieri Branney, Leman e Stidham hanno portato questa fantastica reinterpretazione del'originale materia lovecraftiana per una rappresentazione dal vivo al NecronomiCon (Providence, RI), tanto più ammirevolmente se si pensa che in tre hanno recitato un'intero sceneggiato affidato, nella versione in commercio, ad una dozzina di attori diversi; inoltre, i partecipanti alla convention hanno avuto la fortuna di ascoltare nella medesima maniera il successivo e, solo per ora, ultimo episodio della serie DART: “Mad Science”, una mini antologia di quattro storie brevi tra cui il nostro amato “From Beyond” (di cui recensione é leggibile qui). Quando avremo tra le mani questo nuovo esemplare potremmo seriamente valutare di portarne una recensione, e chissà che non faremo lo stesso con ogni singolo episodio della serie. Nel frattempo, buttate un occhio al programma del RIFF di quest'anno e vedete un po' voi se non è il caso di rifarsi lì della mancanza di attenzione che finora si è qui riservata alla produzione di questa associazione così oscura e misteriosa. Probabilmente il fatto che per parlarne sia stato necessario usare più sigle di quante ve ne siano in una lista di istituzioni statali fallimentari non è un caso. Nè, fossi in voi, mi sognerei di mettere in discussione l'operato di una simile Organizzazione Occulta, né di porre tempo in mezzo al momento in cui recupererei i loro prodotti per dimostrarmi il devoto divulgatore del Verbo dei Grandi Antichi quale già sono.
Articolo di Donato Martiello
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