È difficile essere adolescenti al giorno d'oggi. Troppe pressioni, tanti input, tante incredibili opportunità, ma anche incredibili ossessioni ed il peso degli occhi altrui sempre più marcato, al punto da rendere il giudizio una manna da cui é impossibile sottrarsi e che può far più paura di un qualsiasi horror.
Proprio di questo tratta la pellicola polacca del 2011 "Sala Samobójców" ("Suicide Room") diretta da Jan Komasa e presentata al Festival del Cinema di Berlino lo stesso anno.
Per Dominik (Jakub Gierszal) tutto sembra andare per il meglio, nel periodo che lo conduce al diploma di scuola superiore, tra sport, amici e la giusta dose di cultura, dalla musica alla lettura.
Ma anche per lui la vita si rivela un campo minato di giudizi, pronti ad esplodere in seguito ad un paio di eventi imbarazzanti che lo vedono protagonista e che finiscono irrimediabilmente sul web. Tutto per lui cambia ed il ragazzo si chiude in casa, trovando conforto online in Sylwia (Roma Gasiorowska) e nel suo gruppo di amici noto come "Suicide Room", dedito alla condivisione di atti e discorsi estremi, tra automutilazione e tendenze suicide. Per Dominik inizia un percorso che, accanto a Sylwia condurrà ad una strada molto pericolosa da cui è difficile sottrarsi.
I personaggi sono molto convincenti, caratterizzati oltre i soliti stereotipi: Dominik, protagonista del film, é un ragazzo sensibile e fragile, facilmente influenzabile e manipolabile, i suoi genitori (Beata e Andrzej, interpretati da Agata Kulesza e Krzysztof Pieczyński) sono menefreghisti e assenti nella vita del figlio, causa effettiva delle scelte dalla svolta macabra e oscura del figlio.
Il film cerca di trovare una rappresentazione visiva dell'ambiente virtuale che fa da sfondo agli incontri dei ragazzi. Jan Komasa, per rendere accattivante la situazione dal punto di vista cinematografico lo fa usando sequenze in CGI semplici, simili alle grafiche dei vecchi videogames poligonali, ma graficamente curate e ben realizzate.
Il film cerca di trovare una rappresentazione visiva dell'ambiente virtuale che fa da sfondo agli incontri dei ragazzi. Jan Komasa, per rendere accattivante la situazione dal punto di vista cinematografico lo fa usando sequenze in CGI semplici, simili alle grafiche dei vecchi videogames poligonali, ma graficamente curate e ben realizzate.
Sylwia è peculiare, i suoi discorsi sono carichi sulla rabbia, e depressione, quasi ispirazionali per Dominik, ma in realtà é anche lei fragile e sola, rinchiusa nella sua camera da tre anni, sperando di colmare la sofferenza con la solitudine e la sua seconda vita virtuale dove può dar libero sfogo a tutti i suoi pensieri senza sentirsi pressare dal giudizio altrui.
Aleksanser (Bartosz Gelner), é un "menefreghista e bullo" ma, non era niente di tutto ciò, anzi, era innamorato di Dominik, ma, pur di non rovinare la sua popolarità a scuola, optò l'idea di reprimere il suo vero io, affrontando anche lui il giudizio in maniera tossica, temendo gli occhi retrogradi, superficiali e omofobi dei suoi coetanei.
Tutti gli attori, inoltre, nonostante la loro giovanissima età danno tutto ciò che possono alla cinepresa entrando in simbiosi perfetta con i loro personaggi a tal punto da farli sembrare quasi personaggi reali e non nati dalla penna di un autore.
A differenza di altri casi cinematografici simili, seppur mantenendosi distante dalla realtà di questi ambienti, la pellicola riesce a riprodurre un certo feeling tra spettatore e personaggio in scena, anche grazie all'alternanza con le immagini prese dalle webcam dei ragazzi, come se li stessimo spiano ed enfatizzando l'aspetto umano del fenomeno, facendoli sentire più vicini, in intimità.
Il film trasmette ai telespettatori, quanto sia importante vivere e quanto sia tragica la morte con scene ed avvenimenti forti, in un ambiente cupo ed ansiogeno, disturbante e deprimente.
Esattamente come le menti dei ragazzi protagonisti.
Articolo di Roberta Abbate e Robb P. Lestinci
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