sabato 27 luglio 2019

Un sogno infinito (Recensione "Long Dream")

"Long Dream" è un mediometraggio horror giapponese del 2000 scritto e diretto da Higuchinsky (regista anche di "Uzumaki" dello stesso anno) ispirato al racconto "Nagai Yume" di Junji Ito.

Mukoda (Shûji Kashiwabara) è un ragazzo che ha un problema particolare: i suoi sogni sono sempre più lunghi. Inizialmente il disagio è minimo, ma quando un incubo dura decenni e il suo corpo inizia a mutare è chiaro che qualcosa non vada e sorge spontanea la domanda: ci si può risvegliare da un sogno infinito?
Sicuramente uno dei prodotti ispirati alle opere del maestro nipponico Junji Ito più fedeli al materiale originale, seppur comunque si tratti di un prodotto a basso costo.

Il budget è, infatti, evidentemente assai ristretto, basti pensare che si tratta di un film lungo circa un'ora per la televisione, ergo ci si aspetterebbero effetti scadenti o minimali, ma Higuchinsky è riuscito comunque a sopperire alle lacune economiche con la sua regia e le snervanti scene riprese da una vecchia telecamera, capaci anche di coprire eventuali imperfezioni del make up. Il tutto mantiene comunque un'aurea si semi amatorialità in alcuni momenti, ma il tutto resta comunque salvabile se amanti di un certo genere di estetica dell'orrore.
Scena del manga originale
I prostetici sono però perfette riproduzioni di ciò che si vede nel manga e ciò è assolutamente inaspettato e sorprendente, qualcosa di raro in operazioni del genere. Interessante anche come si sia deciso di andare oltre l'epilogo della storia originale, modificando le motivazioni del dottor Kuroda rendendolo un personaggio più sinistro e tridimensionale, così come, piccoli dettagli come le scritte sui muri di Mukoda, vanno a renderlo più umano anche una volta mutato. La recitazione, però, è degna di una fiction, delle volte sopra le righe, tranne che per Kashiwabara assai convincente, ironicamente facendo sembrare i personaggi letteralmente usciti dalle pagine di un fumetto.

Il twist finale, del tutto inaspettato, è poi un'inquietante aggiunta lascia forse più turbati addirittura più del finale originale ideato da Ito. Il film, ancora più drammatico del materiale originale, esplora la paura della morte e la dubbia divisione tra sogno e realtà, ponendo l'interrogativo: non è la vita stessa, forse, solo illusione di esistere? Vivere in attimo eterno non è forse come una vita dopo la morte?
Quesiti inquietanti a cui non avremo mai risposta, ma che non possono che restare impressi allo spettatore, posto dinanzi gli enormi occhi di rana di un uomo che ha sognato così tante vite da renderlo un essere estraneo alla sua stessa natura.


Articolo di Robb P. Lestinci

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